Intervista a Il Resto del Carlino, Il Giorno, La Nazione
di Raffaele Marmo
«Per uno che ha conosciuto per tanti e tanti anni quella gente e quei territori è come quando ti arriva una disgrazia in famiglia. Una sensazione di sbigottimento». È l’esordio di Pier Luigi Bersani, che, prima di diventare ministro e leader del Pd, è stato un carismatico presidente dell’Emilia-Romagna. E, prima ancora, uno degli angeli del fango nella Firenze dell’alluvione. Ed è da quella esperienza che vale la pena cominciare.
Quando ha visto i ragazzi a spalare ha pensato a lei a Firenze?
«A 15 anni sono andato a Firenze e poi a 16 in Valle Mosso nel Biellese dove c’era stata un’altra alluvione. Ho il ricordo di un’esperienza di condivisione straordinaria, con un sacco di giovani».
Anche oggi sono in campo in massa.
«E mi auguro che anche a loro rimanga quello che è rimasto a me: un’esperienza eccezionale di solidarietà e anche di spirito di rinnovamento e di cambiamento, perché in quegli anni tirava quell’aria lì. E spero che gli rimanga quella voglia di essere solidali e di cambiare le cose. Perché mai come oggi su questi temi ambientali di cambiamento c’è molto bisogno».
Le polemiche non mancano su quel che è accaduto: si è fatto poco per la prevenzione?
«Mi pare ormai evidente che sia per dove si è fatto bene sia per dove si è fatto male, tutti quanti in Italia, ma non solo, siamo parametrati su un altro film, su un’altra fase climatica. E io credo che a chi fa il maramaldo o lo sciacallo su queste cose, bisogna dirgli: “Senti mo’, mi dici se c’è un posto in casa tua o magari in giro per l’Italia o in Europa dove, con una pioggia che arriva in 36 ore e scarica quel che di solito arriva in sei mesi, non succederebbe un disastro? Insomma, ci vuole la consapevolezza che siamo fuori parametro rispetto a un cambiamento climatico enorme. Basta che pensi alla mia esperienza per rendermi conto».
Si riferisce a quando faceva il Presidente della Regione?
«Io sono stato sedici anni in regione e in sedici anni tutti gli anni il problema era portare acqua alle colture della Romagna mentre a Parma, Piacenza, dove sto io, di acqua ne davamo a Genova. Da un po’ di anni dalle mie parti c’è la siccità e laggiù arrivano le alluvioni. Dobbiamo capire che sta avvenendo qualcosa di profondo. Dobbiamo porci in un’altra logica. Non pensiamo di fare quel che c’era prima».
È un messaggio per chi sta a Roma?
«Le cose sostanziali che vorrei dire al governo, ai partiti, al Parlamento sono due. Una di prospettiva. Cerchiamo di non fare i No vax sul clima. Ci vuole un grande piano di piccole opere. Io non ho niente contro l’idea del Ponte di Messina. Ma mi scandalizza che si pensi di spendere 14 miliardi per un ponte quando viene giù l’Appennino non solo da noi, ma in tutta Italia».
E il secondo avviso ai naviganti qual è?
«Noi abbiamo una terra che si chiama Romagna che, come si è visto anche in queste ore, è una terra con gente abbastanza organizzata al punto da invertirti il Canale emiliano-romagnolo, che è abbastanza generosa da fare come la cooperativa di braccianti che fa allagare i propri campi per evitare che l’acqua vada alle case, che è abbastanza creativa per cui un bagnino prende un pedalò per andare a salvare un anziano. Ebbene, quando hai questa gente e hai i sindaci che hai, allora devi fare attenzione perché tutto quello che dovrai fare non lo si faccia sopra la testa del territorio».
Teme che il governo voglia centralizzare la gestione della ricostruzione?
«Ho apprezzato che la Meloni sia andata a vedere e a parlare con gli amministratori. Non ho elementi per dire che non si faranno bene le cose. Anzi, sono sicuro che ci sarà abbastanza buon senso. Quello che dico è: cerchiamo di fare le cose come Dio comanda. Si punti sui sindaci. Il governo non faccia niente senza sentirli. Sono lì. Non facciamo cose che lì non possano essere capite».
È stato evocato il modello del post-terremoto nella regione.
«È la via da seguire. È quella giusta. C’è tutto. Sulla governance, sulle procedure, su come dare i contributi. Con il terremoto si sono state efficienza, trasparenza e legalità. Da Roma devono fare da sponda. Bisogna mobilitare le enormi risorse che quel territorio può esprimere. La governance della fase della ricostruzione tenga conto del territorio e della gente, perché se si facesse qualcosa a prescindere sarebbe un danno enorme. Lo stesso documento della Regione e delle parti sociali è ricavato da quella esperienza».
Ultima, ma fondamentale domanda: come trovare le risorse?
«Noi abbiamo davanti una fase nella quale ci vorrà una barca di soldi. I governi servono a trovarli e questo li deve trovare e a me interessa poco che li prendano dal Pnrr o da altri fondi europei o rinunciando ad altri progetti o da un contributo di solidarietà degli italiani che hanno di più. Vanno trovati. E vanno spesi bene e perché questo avvenga non deve esserci un meccanismo a cascata: da Roma a Bologna e via di seguito. Bisogna animare dal basso la capacità di reazione dei cittadini: si facesse come si fece con il terremoto con crediti di imposta che fanno mettere in moto le persone, senza attendere altro».