Bersani: giusto aiutare la resistenza di Kiev, si lavori per pace e difesa Ue

Politica e Primo piano

Intervista a La Stampa

di Annalisa Cuzzocrea

Pier Luigi Bersani non ha dubbi. Aiutare gli ucraini a difendersi è giusto. Perché «il revanscismo imperiale di Putin ha scatenato una guerra di aggressione e ha aperto il vaso di Pandora di violenze e barbarie di ogni genere».

Ci sono evidenze di crimini di guerra.

«Che vanno sanzionati. Il problema è capire quale sia la sede di giurisdizione per farlo. Non mi pare utile evocare Norimberga perché fa pensare alla Shoah e a venti milioni di russi morti: questo può solo attizzare il nazionalismo russo».

Lei era d’accordo sull’invio di armi?

«Credo sia assolutamente giusto aiutare ad aiutarsi un Paese aggredito: con interventi umanitari, con sanzioni e anche con aiuti militari. La domanda da porsi però è un’altra: perché lo facciamo? Perché l’Ucraina stia in piedi in vista di un cessate il fuoco, di un negoziato, di un compromesso, e per prepararci a un dopo che sia un futuro di sicurezza reciproca e di pace? O perché la guerra duri fino a vedere chi è il vincitore e chi è il vinto? Per poi magari predisporci a trent’anni di guerra fredda?».

Cosa pensa di chi dice che l’Ucraina dovrebbe arrendersi, per salvarsi?

«Rispondo che non abbiamo mica deciso noi se loro resistono o no. Sono stati gli ucraini a decidere di resistere. Se non si parte da questo si finisce per voltarsi da un’altra parte davanti a uno spregio così micidiale del diritto internazionale. E più giusto chiedersi perché lo facciamo. Se fosse per la seconda ipotesi, avrei dei dubbi anch’io».

Crede che qualcuno speri così che Putin possa cadere?

«Sono obiettivi da lasciare alle fantasie notturne. Significa dimenticarsi di chi si ha di fronte. Bisogna fermare questa guerra, anche col contributo di questa resistenza».

È davvero possibile farlo?

«Non lo sanno gli strateghi cosa ha in mente Putin, come può saperlo uno di Bettola? Quello che ho sempre pensato è che il colpo del ko Putin voglia sferrarlo intorno alle aree russofone. Il resto è un indebolimento ai fianchi. Se ci sarà un negoziato, mentre su temi come la neutralità dell’Ucraina e l’avvicinamento all’Unione europea sarà più facile arrivare a un accordo, si porrà il problema di un particolare statuto delle regioni russofone garantito internazionalmente. I modelli non mancano, penso al Kosovo, al Nagorno Harabah, all’Alto Adige, e non manca la possibilità di inventarne di nuovi».

È giusto arrivare al 2% di Pil di spese per la Difesa?

«Si è fatta una polemica con scarso costrutto in cui si è risolto il tema ovvio e non si è affrontato quello necessario. Era ovvio che avremmo diluito questo impegno. Il problema però è: se in quest’occasione non impostiamo un meccanismo di difesa europeo a partire come dice Prodi dalla cooperazione rafforzata tra i 4 Paesi principali, aspettando che gli altri arrivino, non lo faremo mai più. È lì che dobbiamo misurare risparmi e spese».

Conte ha sbagliato ad alzare i toni? Secondo il governo nessuno pensava di spendere 15 miliardi in due anni.

«Qualcuno ci pensava».

Quindi ha fatto bene?

«La cosa avrebbe dovuto risolversi senza polemica. Perché è chiaro che da questa guerra usciremo in un’altra situazione. Bisogna capire che l’Europa non è la Nato e che i loro interessi non possono essere sempre sovrapponibili. Adesso pare che dire questo significhi essere un disertore o un filo-Putin, ma noi nella guerra in Iraq ci siamo forse sovrapposti agli Usa? C’è un atlantismo che questa differenza non vuol vederla».

È diventato difficile anche il confronto su questi temi.

«Siccome la guerra non ci ha chiuso il cervello, nessuno deve farsi chiudere la bocca».

Giusto che gli opinionisti considerati filo-Putin vadano in tv?

«Ognuno dice la sua e prende la responsabilità di quel che dice. Ma non bisogna contraffare le posizioni».

L’Anpi su Bucha ha chiesto di “appurare cosa è davvero avvenuto e chi sono i responsabili”. Ma a Bucha sono andati già molti osservatori internazionali producendo prove, non possono esserci dubbi.

«Non l’avrei scritta così, sapendo come vien presa, ma non credo affatto conoscendo l’Anpi e un po’ la conosco che abbia una posizione neutrale, che non riconosca l’aggressore e l’aggredito».

Sono contrari all’invio di armi.

«Se uno legge l’articolo 11 della Costituzione, se non ci fosse la seconda parte che parla di limitazioni di sovranità, non sarebbe infondata una perplessità su questo. Non li demonizzo».

E giusto fermare il gas russo per non finanziare la guerra di Putin, come dice Letta?

«Sono purtroppo scettico per un motivo elementare: non riusciamo neanche a livello europeo a mettere un tetto al prezzo, non prenderlo mi pare complicato. In più, non va sottovalutata l’opinione pubblica, che difficilmente reagirebbe bene davanti a un razionamento dell’energia chiesto da noi. Questo non significa che non si possano rafforzare le sanzioni».

La convince Salvini che dice no alle armi e chiede pace?

«Nel calcio si dice salvarsi in corner. La verità è che la destra è stata affascinata dal modello autocratico, è un amore, non credo neanche tanto corrisposto. E davanti a un innamoramento venir via non è semplice. Tanto è vero che alla fine per non parlare di Putin fanno l’applauso a Orbàn. In quell’impostazione c’è stata una costante sottovalutazione di un revanscismo latente legato alle antiche condizioni imperiali che può diventare aggressività».

Giorgia Meloni, pur plaudendo a Orbàn, ha portato FdI su una linea atlantista.

«Un colpo al cerchio a un colpetto anche alla botte».

La destra confidava come Putin e Orbàn nella crisi delle democrazie liberali?

«Probabile, ma su questo bisogna stare attenti a non andare alla guerra di civiltà tra le liberaldemocrazie e tutti gli altri. Rischiamo una contrapposizione tra Eurasia e Occidente che non conviene a nessuno».

Teme una grave crisi economica?

«Abbiamo davanti un problema serissimo col rischio di stagflazione: aspetti di recessione con un’inflazione che viaggia intorno al 6%.E bisogna andare a vedere cosa sta determinando questo in termini di diseguaglianze».

A parte chiedere scostamenti di bilancio, cosa fare?

«Raffreddare quei dati inflattivi che intanto derivano dall’energia. E farlo in un meccanismo di concertazione. Va bene dare una mano alle imprese con forniture calmierate, ma non dimentichiamo salari fermi da 15 anni e rinnovi contrattuali fatti solo in parte e con un’inflazione calcolata al 2%. L’autorità dell’energia ha il compito di capire come si determina esattamente il costo del gas. A quel punto, se la situazione non migliora, dovremo ragionare non tanto in termini di extra-profitti, ma di controllo del prezzo al dettaglio. Non dico che le società debbano rimetterci, ma guadagnino il giusto».

La coalizione di centrosinistra è entrata in crisi?

«Arrivano le amministrative e quest’area che qualcuno chiama campo largo, e io e altri chiamiamo campo progressista, si presenterà assieme un po’ dappertutto. Non credo che nel 2022 andrà male e mi auguro che questo induca a una riflessione proiettata alle politiche. Cominciando a discutere di legge elettorale».

È per il proporzionale?

«E non da oggi. Con questa storia di volere leggi che la sera stessa ti dicono chi governerà, in questa legislatura abbiamo avuto tre maggioranze diverse e se non ci fosse stata la guerra ne avremmo avute quattro. C’è l’urgenza di riprendere daccapo il rapporto con i cittadini. Non si facciano accrocchi per vincere, ma trattative per governare come in Germania e in gran parte d’Europa».

Il Parlamento non sembra al lavoro su questo.

«Un pezzo di destra pensa di essere avanti col sistema attuale. E ci sono formazioni varie che lavorano sull’utilità marginale. Sul piano politico spero si possa andare con il campo progressista formato da Pd, Articolo Uno e altri insieme ai 5 Stelle, che stanno cercando di darsi un profilo programmatico più leggibile. Criticarli su questo può essere giusto, ma serve rispetto. L’insulto rispetto alla critica è una scorciatoia che allunga la strada. Ammucchiarsi comunque non basterà se non riusciamo a metterci qualche visibile novità politica e programmatica».