Intervista a Il Corriere della Sera
di Monica Guerzoni
Per il leader che nel 2013 sfidò «il giaguaro» alle elezioni politiche, i funerali di Silvio Berlusconi saranno «come quelli di un regnante». Perché il fondatore di Forza Italia aveva un grande dono, che Pier Luigi Bersani gli riconosce e che gli ha consentito di conquistare gli italiani: «L’empatia».
Berlusconi scese in campo quasi 30 anni fa «per salvare il Paese dai comunisti». Qual è il primo pensiero che le è passato per la testa quando ha saputo della sua morte?
«Mi è tornato in mente un convegno che avevo organizzato anni fa, in cui un demografo francese mi disse “scientificamente non posso dire che l’immortalità non esiste, ma ha un bassissimo grado di probabilità”. Se si fosse fatto un concorso fra le persone più attaccate alla vita, io credo che Berlusconi non avrebbe avuto rivali. Parliamo di una personalità non riproducibile, il cui principale tratto era il vitalismo inesausto».
Il ricordo più forte che ha di lui?
«Quella mezz’ora faccia a faccia al San Raffaele».
Era il 13 dicembre del 2009, l’allora premier era stato colpito in viso da una statuetta e lei, il suo principale avversario, gli tenne per mezz’ora la mano.
«In verità fu lui a tenere la mano a me. ci sconoscevamo reciprocamente un tratto di umanità, anche se io pensavo che la sua fosse più controversa. Dentro quel vitalismo c’era una capacità che mi ha sempre colpito. Era uno che si faceva i suoi affari, ma trasmettendo una generosità che affascinava. Io ne ho avuto tante prove incontrando la gente anche più umile».
Qual era la chiave con cui conquistava l’elettorato che un tempo votava a sinistra?
«Insieme agli interessi che lui certamente rappresentava c’è un elemento di mistero, che si chiama empatia e che riguarda molto il rapporto con gli strati popolari».
Condivide le polemiche social sul lutto nazionale?
«Insomma, non mi pare se ne possa fare una questione. Ognuno tiene il suo giudizio, ma che sia stato sul piano storico e politico una persona di rilievo nella storia della Repubblica è indiscutibile. Credo si possa dire che lui, dopo la senilità paludosa della prima Repubblica e di Tangentopoli, ha dato per una ventina di anni l’imprinting di un elemento che in parte c’è ancora. Quale? La personalizzazione della politica, che per vincere diventa critica della politica e poi antipolitica e questo è un made in Italy che deriva da Berlusconi. Voleva essere la soluzione di un problema, è diventato un guaio».
Il suo lascito politico andrà a Giorgia Meloni?
«Essendo Berlusconi un liberale immaginario, la sua ventennale leadership del centrodestra non lascia una eredità liberale, lascia una destra-destra. Nel chiamare pizzo di stato le tasse e burocrazia un sistema di contrappesi e garanzie, non c’è niente di liberale. Purtroppo è il dramma di questo Paese».
Quindi l’eredità politica è negativa?
«Lo è, nel senso che Berlusconi non ci lascia una cultura propriamente liberale. Il grande partito conservatore non s’è fatto e resta il dramma italico di un monopolista che faceva il liberale».
Tanti processi e una sola condanna per frode fiscale. Aveva ragione a scagliarsi contro le «toghe rosse»?
«No, penso che non avesse ragione. Il concetto di disciplina e onore nelle funzioni pubbliche veniva via via sostituito dai concetti di successo e consenso. C’era l’idea che essere liberale volesse dire sfondare delle regole, il che lo metteva sulla soglia di problemi che potevano anche arrivare alle porte della giustizia. Al netto di eccessi che ci possono essere stati, qualche volta se l’è cavata con un aggiustamento della legislazione».
Con le sue tv ha condizionato negativamente una generazione, o ha scritto la storia della società italiana?
«Ci ha messo del suo andando a risvegliare istinti anche culturali che riposavano nel fondo della coscienza e della storia italiana. Quello delle tv è un fiume che aveva un corso fangoso, ma sarebbe ingiusto dire che non ha portato anche delle novità».
Per Putin era «un vero amico, una persona cara».
«Quando nella vita vuoi fare il concavo e il convesso, come diceva lui, cerchi di essere amico di tutti e alla fine diventi parente anche di gente poco raccomandabile».
Ai tempi delle «cene eleganti» lei fu molto critico…
«Trincerarsi dietro al luogo comune che ognuno fa quello che vuole anche mentre svolge funzioni pubbliche è stata una ferita, un vulnus, nella coscienza di tantissime donne e uomini. Al di là degli aspetti giudiziari, alcuni comportamenti hanno fatto il giro del mondo ed è incredibile che qualcuno pensi che han fatto bene all’Italia».
Quindi non condivide l’encomio di Renzi?
«Ora si apre il tema della successione, ma in un meccanismo politico come quello portato da Berlusconi la successione può essere solo dinastica. Ora arriveranno quelli che vorranno spartirsi le spoglie e questa è un’altra tristezza, che si aggiunge alla tristezza dell’addio».