Bersani tra passato, presente e un futuro da scrivere: “Non fumo più, ora vivo”

Politica e Primo piano

Intervista a Vanity Fair

di Francesco Oggiano

«Picasso diceva che ci vogliono molti anni per diventare giovani. L’ho capito solo adesso». A Pier Luigi Bersani di anni ce ne sono voluti quasi 66, che festeggerà il 29 settembre, stesso giorno di nascita di Silvio Berlusconi (81). I più efficaci nel «ringiovanimento» però sono stati gli ultimi quattro. Quelli in cui ha perduto tutto: il potere, il partito e la paura della morte. «Ho realizzato quello che potevo e lasciato ciò che non volevo più. Adesso faccio e dico quello che voglio», racconta il deputato di Articolo 1 – Movimento democratico e progressista, nato il 25 febbraio con una scissione da quel Partito democratico di cui è stato segretario dal 2009 al 2013.

Come ogni «perdita», anche la sua è cominciata la mattina in cui aveva quasi tutto: il 22 marzo 2013. Lui, il capo del partito di sinistra storicamente più importante dell’Occidente, ha appena «non vinto» le elezioni e ricevuto l’incarico di trovare una fiducia in Parlamento: «Avevo già tutto in testa. Il primo Consiglio dei ministri sarebbe stato una sorpresa per voi giornalisti. Avrei fatto filtrare alla stampa che si sarebbe trattato di un Consiglio inutile, per far conoscere tra loro i ministri. Poi, sarei uscito io e avrei annunciato a tutti lo Ius soli. Ho sempre avuto questa debolezza: guardo troppo avanti e poi prendo una musata contro la porta che ho a 10 centimetri. Azzecco tutto sul medio periodo, ma inciampo nella cronaca».

La cronaca in cui inciampa è l’incontro con i 5 Stelle, il primo colloquio politico in streaming della storia italiana.
«Mi ritrovai davanti Roberta Lombardi, Vito Crimi e una telecamera. Sapevo già come sarebbe finita. Non ne volevano sapere di fidarsi di me».
Roberta Lombardi le ha chiesto pubblicamente scusa per quell’incontro. Ha detto di essere stata troppo aggressiva. Cosa è successo quand’è finito lo streaming?
«Ho raggiunto qualcuno di loro. Gli ho detto: “Voi che guardate tanto la Rete, andate su Wikipedia e cercate il significato della parola Diciannovismo”».
Che vorrebbe dire…
«È l’insieme dei fenomeni che hanno preceduto la nascita del fascismo».
Addirittura?
«Io amo la parola partito. Sarà una brutta parola ma ha un pregio: ti ricorda che sei una parte, non un tutto. Usando la parola Movimento, come parola pigliatutto, si evoca un rischio di autoritarismo».
Li rincontrerebbe oggi, i 5 Stelle, se dovessero vincere le elezioni e cercare una maggioranza?
«È improbabile che me lo chiedano. Ma a titolo strettamente personale, sono sempre disponibile a parlare. Di certo, garantirei un approccio educato…».
Fallito il tentativo di formare un governo, lei perde la guida del partito durante l’elezione per il Presidente della Repubblica. Propone Prodi, che viene affossato subito da 101 franchi tiratori. Ha capito chi erano?
«Sì, erano un po’ meno di 80. Un giorno magari dedicherò loro un libro. Metà volevano fare fuori Prodi, l’altra metà me».
E ci sono riusciti, visto che poi si è dimesso come segretario.
«Ho ceduto la mano a Letta. Non avevo grossi rimpianti. Qualche mese dopo ho avuto l’ictus».
Troppo stress?
«No. Ero in pace con me stesso. Era domenica mattina, ero a Piacenza e stavo andando a prendere i giornali».
Che cosa ricorda di quel giorno?
«Quando sono stato portato al reparto di Neurochirurgia di Parma pensavo di non farcela. Ricordo i dottori che venivano a giustificarsi davanti al mio letto: “Guardi che noi ci comportiamo così con tutti”. Mi piace pensare fosse un complimento. Avevano capito che non volevo trattamenti di favore».
Cosa le è rimasto, oltre la cicatrice sulla testa?
«Una maggiore libertà. Da giovane ne hai più voglia, ma sei frenato dalle paranoie. Io sono arrivato sulla soglia della morte. E una volta lì ho capito che non è un momento così difficile. È facilitato dall’istinto di sopprimere il dolore».
Bersani che parla di questi temi…
«A 28 anni proposi alla regione Emilia un convegno di tre giorni sulla morte che si doveva tenere al Palazzetto dello Sport di Bologna. La prima giornata era dedicata agli interventi degli storici di scuola francese sui diversi modi di morire. La seconda, dal titolo “Morire oggi”, era dedicata ai servizi pubblici sul fine vita. La terza, avrei riunito tre grandi saggi: Cesare Zavattini, Cesare Musatti e Tonino Guerra. Ogni persona del pubblico sarebbe potuta salire sul palco per 3 minuti e dire la sua sulla morte».
Un po’ lugubre, ma interessante. Come andò a finire?
«Mi cassarono la proposta».
Com’è cambiata la sua vita dal punto di vista fisico?
«Non fumo più il sigaro».
A proposito, ha mai fumato una canna?
«Provai una volta, a 18 anni. Feci un tiro, ma aveva un sapore troppo dolciastro. Tornai alle mie Nazionali senza filtro».
Sembra quasi che non abbia sofferto troppo per l’ictus.
Ride. «La sofferenza vera è cominciata dopo, quando sono uscito dall’ospedale e come prima cosa ho dato la fiducia al nuovo Governo Renzi. Si vede che ero ancora scombussolato…».
Quand’è stata l’ultima volta che l’ha visto?
«La sera prima dell’elezione di Mattarella al Quirinale. Ci lasciammo bene».
Da allora non l’ha più sentito?
«Mai. Ma il mio telefono è sempre acceso ».
Ha ancora il suo numero nella rubrica?
«Credo di sì. Anche se ho questo problema: i cellulari mi cascano sempre nell’acqua… ».
Come valuta il segretario del Pd a livello umano?
«Un narciso. Renzi pecca in umiltà. Il deficit pare inizialmente una virtù. Poco dopo si rivela per il difetto che è. Deve capire che il tasso di arroganza che gli è consentito, è direttamente proporzionale ai risultati che porta. Dopo un po’, l’arroganza non viene più sopportata».
Lei ha «sopportato» per due anni. Il 25 febbraio è uscito dal Pd assieme a Massimo D’Alema, Roberto Speranza ed Enrico Rossi e ha formato Mdp. Pentito?
«Non ci ho dormito per qualche notte, ma non ho pianto».
Strano, visto che lei non nasconde le sue emozioni.
«Non ci trovo nulla di male a piangere».
Quand’è stata l’ultima volta?
«L’altro giorno. Ho rivisto su YouTube No potho reposare cantata da Andrea Parodi. Se la vada a vedere. Se non piange, non ha cuore».
Il «nuovo Bersani» passa molto tempo online?
«Mi inchino a Internet. Ma non uso né Facebook né Twitter. Preferisco i bar».
Non mi dica che non guarda neanche la Tv.
«Poca. Partite, qualche film, Rai Storia e Gomorra. Per il resto, leggo libri storici e incontro più persone possibile. A Roma e a Piacenza, dove torno ogni settimana dalla mia famiglia».
Come le è stata vicina in questi anni sua moglie Daniela?
«Vorrebbe che mi riposassi. Se annunciassi il ritiro dalla politica, organizzerebbe un festone».
E le sue due figlie? Che padre è stato per loro?
«Forse un po’ assente. Mi sono perso un sacco di cose».
Non parla con loro di politica?
«No. Ho preso la sobrietà di mio padre, meccanico e benzinaio di Bettola: è morto senza mai parlarmi della sua Campagna di Russia. Io non ho mai raccontato loro la mia attività politica».
Proviamoci qui. Spieghi loro che cos’è il Movimento democratico e progressista con una delle sue metafore.
«Siamo quelli che vanno a riprendere la gente che si è persa nel bosco e che si rifiuta di votare questo centrosinistra».
Come farà a convincerli?
«Dico loro: so che non si vince con la “cosa rossa”. Mi basta che nessuno sputi sul rosso».
Ha scelto Giuliano Pisapia come leader.
«Lui è un uomo perbene. È il rappresentante del migliore civismo, che si unisce benissimo col versante sociale».
Visto che il nuovo Bersani parla liberamente, mi dica cosa ne pensa del premier Gentiloni.
«Un uomo garbatissimo, ma dotato anche di artigli».
Silvio Berlusconi?
«Un uomo troppo simpatico. Troppo, appunto ».
Luigi Di Maio?
«È il contrario della frase di Picasso. Un giovane vecchio. Non arrivo a dire che sia un democristiano, ma è il rappresentante perfetto per un partito di centro».
Beppe Grillo?
«Un genio italico».
Angelino Alfano?
«Un navigatore, specializzato in barche piccole».
Zattere?
«Pensavo al pedalò…».
Le puntano una pistola alla testa. Tra Alfano e Grillo chi sceglie?
«Scelgo la pallottola. Tanto ho il neurochirurgo di fiducia…».

Dopo l’intervista, seguo il consiglio di Bersani e vado a vedere il video di cui ha parlato. È la registrazione live dell’ultimo concerto di Andrea Parodi, nel 2006. Il cantautore, il corpo ormai esilissimo e spremuto dal cancro che lo consuma da due anni, attacca con No potho reposare, un tradizionale brano d’amore sardo. «Non posso riposare, amore del mio cuore/ Penso a te ogni momento/ Non essere triste […] Ti assicuro che voglio solo te. Che ti amo, ti amo e ti amo». Chiama sua moglie Valentina sul palco, e canta per lei davanti al pubblico in lacrime. È l’ultima cosa che canterà. Un mese prima di varcare la soglia. E sì, fa piangere.