Bersani: il centrosinistra ha smontato i monopoli, io tolsi le concessioni

Politica e Primo piano

Intervista a la Repubblica

di Marco Patucchi

“In quel centrosinistra di cui straparlano si è privatizzato liberalizzando e in tanti casi si è mantenuto un sostanziale controllo pubblico. Prima di affermare certe cose, Toninelli farebbe bene ad andare a vedere chi è l’unico ad aver rimesso mano davvero a una concessione, e come l’ha fatto”. Pier Luigi Bersani sta trascorrendo gli ultimi scampoli di vacanza in Barbagia, ma non si sottrae agli echi delle polemiche che arrivano da Roma dove il ministro delle Infrastrutture, Danilo Toninelli, ha appena concluso la sua audizione parlamentare sulla tragedia del Ponte Morandi di Genova. Bersani è stato protagonista come ministro dell’Industria prima e dei Trasporti poi della lunga stagione delle privatizzazioni e, soprattutto, di quella che fu ribattezzata “lenzuolata” delle liberalizzazioni. “Nella Finanziaria del 2001 ho inserito una norma che cancellava le concessioni per le tratte in fase finale dell’Alta velocità ferroviaria e introduceva le procedure pubbliche di gara mettendo in subbuglio tutto il sistema delle costruzioni. Quando si parla di centrosinistra ci si ricordi di questo. Così siamo riusciti a risparmiare il 30% del costo delle opere. Ma poi il governo Berlusconi, del quale faceva parte anche la Lega, ripristinò le concessioni. Ripeto, Toninelli prima di parlare vada a vedere come si fa ad arretrare dalle concessioni”.

Eppure è innegabile che l’intero processo delle privatizzazioni, e dunque anche gli effetti di quelle che si sono risolte nel semplice passaggio di una rendita dal pubblico al privato, abbiano avuto come principali protagonisti i governi di centrosinistra. Possibile che non ci sia alcuna autocritica da fare?

In quelle stagioni lì siamo stati condizionati da fattori pesanti. C’era un debito pubblico gigantesco e il pressing di Van Miert (Karel Van Miert, commissario europeo per la Concorrenza dal 1993 al 1999, ndr). Insomma, il percorso che ci ha portato nella moneta unica ci costringeva alle privatizzazioni. Ma io mi sono mantenuto sempre fedele a due principi fondamentali: non si privatizza senza liberalizzare e le concessioni vanno evitate il più possibile. Una cosa o è pubblica o è privata. Se è pubblica e il pubblico decide di esternalizzare una funzione o un intervento, si deve andare a gara.

Sta di fatto che l’Italia ha scelto negli anni il regime delle concessioni. Come si spiegano certe innegabili storture?

Io credo che in un paese, come il nostro, che ha una statualità molto carente, le concessioni tendano naturalmente a trasformare lo Stato stesso in spettatore. Dunque, riformerei il sistema rivedendo le concessioni, spacchettando e andando a gara per le funzioni in cui è possibile. Per capirci, un conto è gestire i pedaggi e un conto è gestire gli investimenti. Nel contempo vanno rafforzate le authority di controllo, in particolare sul versante del rapporto tra investimenti e remunerazione.

Ma proprio il sistema delle authority in molti casi non si è dimostrato efficiente rispetto agli obiettivi originari, a cominciare da quello dei risparmi per i consumatori. 

Non sono d’accordo. Nei processi virtuosi di liberalizzazione e privatizzazione non si può assolutamente prescindere da queste istituzioni. È evidente che nel caso di trasporti e infrastrutture però non gli hanno dato sufficienti poteri.

Come giudica questi primi mesi di vita del governo gialloverde?

Dico solo che stanno usando i problemi invece di provare a risolverli. Stanno seminando per far crescere il consenso. Sulla questione dei migranti, ad esempio, sventolano buoni argomenti per suscitare cattivi sentimenti. Picchiare il pugno sul tavolo dell’Europa si può fare, ma non ricattando a bordo di una nave delle povere donne violentate. De Gaulle boicottò le riunioni del Consiglio dei ministri della Cee lasciando la poltrona vuota.

Intanto tutto quello che si estende dal centrosinistra alla sinistra somiglia sempre più a un deserto. 

Siamo davanti a una strada lunghissima, e il primo passo da fare dovrebbe essere quello di in centrosinistra, di un Pd che riconosca di aver fatto degli errori e che dica chiaramente a quelli che non lo hanno votato che qualche buona ragione ce l’avevano. Con meno di questo, su quella strada non c’è neanche il primo passo.

Un errore su tutti?

Aver lasciato le questioni sociali al centrodestra: i lavoratori, gli insegnanti… Così è successo che questi problemi si sono saldati con la questione migranti e, alla fine, anche nella testa degli elettori sono entrati temi che prima non condividevano. Gli operai, per dire, erano preoccupati per il lavoro e per i diritti, non per i migranti.