Rossi: a Salvini e Di Maio chiedo autonomia. E sogno ancora una Toscana rossa

Politica e Primo piano
Intervista a Repubblica Firenze
di Simona Poli
Sei capoluoghi su dieci amministrati dal centrodestra, sindaci grillini a Livorno e Carrara, il centrosinistra ridotto ai minimi termini e a Roma un governo a guida Lega-Cinque Stelle. Dal 2010, anno del suo insediamento, a oggi la geografia politica della Toscana è totalmente cambiata intorno al presidente della Regione Enrico Rossi. Lui, che ha scelto di rompere con Renzi per abbracciare LeU, è tenuto in sella da una maggioranza Dem che guarda con incertezza al futuro. L’anno prossimo si vota a Firenze e Prato, nel 2020 ci sono le regionali. Tre sfide considerate ad altissimo rischio per il centrosinistra.
Rossi “solo” in un fortino assediato. È così che si sente? 
«Niente affatto, è nei momenti difficili che si distingue il vero combattente da chi si rifugia in una nicchia protetta, piegato dal vento come una frasca. Il poeta greco Tirteo diceva che “è bello morire in battaglia”, una frase meravigliosa».
Ha intenzione di immolarsi per difendere la Toscana rossa, ormai diventata rosé? 
«Di certo mi impegnerò fino all’ultimo giorno del mandato per farla tornare rossa e continuerò a dire quello che penso nonostante Salvini e le sue improbabili battute sul rosso del Chianti… Ho criticato i vertici del Pd quando era impopolare farlo, figuriamoci se mi faccio intimorire dalla Lega».
Che intanto incassa molti consensi anche nella sua città, Pisa, dove è il primo partito col 25 per cento. 
«Ma solo cinque anni fa prendeva lo 0 virgola e lì potrebbe tornare».
Non pecca di ottimismo? Tutti gli analisti politici danno probabile la sconfitta della sinistra alle prossime regionali. 
«E io lavorerò per smentirli, del resto è questo il mio mestiere, resistere. Con i nuovi sindaci di centrodestra collaboreremo come abbiamo già fatto finora con gli altri, non è mica da oggi che il Pd ha iniziato a perdere, Livorno è storia del 2014. Allora come oggi non è stata aperta una seria discussione, io la chiedevo ma non sono stato ascoltato, per fortuna nell’era digitale scripta manent, sfido chiunque a smentirmi. Alla fine ho scelto di uscire perché non veniva convocato un congresso, del resto ne stanno ancora parlando».
Non che con LeU sia andata meglio però. 
«Purtroppo LeU ha raccolto un consenso così scarso che non mi sembra in grado di diventare un polo di aggregazione forte. Serve altro, insomma. Superando il Pd, che è diventato il problema anziché la soluzione dei problemi. Il marchio non funziona più, mi auguro che se ne prenda atto e si vada oltre».
Non c’è molto tempo. Lei si ricandida nel 2020?
«Non posso, andrebbe cambiato lo Statuto regionale, ho già fatto due legislature. Ma continuerò a far politica, questo è certo. Non in Europa, dove già quattro anni fa provarono a mandarmi nel buen retiro. E dissi di no».
Ha in mente un candidato per la successione? 
«No, nessuno. Leggo che ci starebbe pensando Renzi ma sconsiglierei certi ritorni. Serve uno spirito federativo, una figura capace di riunire il centrosinistra e non una personalità divisiva. A volte nomi non di primissimo piano hanno queste caratteristiche».
Perché non Stefania Saccardi?
«Non voglio entrare in questo dibattito, anche lei come me è impegnata fino alla fine della legislatura. Bisogna prima parlare di programmi e poi puntare su un nome. Senza recriminazioni, sia chiaro, sarebbe uno sbaglio esiziale. Firenze e Prato sono due appuntamenti difficili, lo so, ma credo anche che rida bene chi ride ultimo. Vedo un eccesso di ottimismo negli avversari, si sentono il vento in poppa ma la situazione può cambiare di nuovo».
Intanto sull’immigrazione la politica del governo mal si concilia con quella praticata in Toscana con l’accoglienza diffusa. 
«Di questo governo penso molto male e resto convinto che ci siano pesanti pulsioni di estrema destra, pericolose per il paese. Quanto ai migranti non vedo come Palazzo Chigi possa sottrarsi alla proposta da noi avanzata di maggiore autonomia regionale in materia di accoglienza, sanità e gestione dei beni culturali. Dopo i referendum della Lombardia e del Veneto diventa complicato negare le stesse prerogative a Emilia e Toscana».
Paradossalmente quindi il governo Salvini-Di Maio concederà alla Toscana quello che il centrosinistra le ha sempre negato?
«Devo ammettere che è così. Da quanto tempo dico che i bandi affidati alle Prefetture per trovare i centri di accoglienza erano sbagliati e che si dovevano invece coinvolgere sindaci e volontariato? Anche in materia sanitaria: se noi abbiamo i bilanci in pareggio vogliamo poter decidere dove spendere i soldi e non avere limiti nelle assunzioni del personale o per pagare gli straordinari per abbattere le liste d’attesa. Mi aspetto maggiore apertura federalistica da questo governo. Maroni mi lasciò libero di agire».
Il problema della sicurezza non è stato affrontato nel modo giusto dal Pd? 
«Si è preferito dare gli 80 euro in busta paga piuttosto che mettere più poliziotti nelle strade. A Firenze ne mancano 100. È stato uno sbaglio, uno dei tanti».