Mognato: “Niente da nascondere, sono tornato al mio lavoro di commesso”

Politica e Primo piano

Intervista al Gazzettino

di Alda Vanzan

Il 23 marzo scorso, mentre si insediava il nuovo parlamento, il cinquantaseienne Michele Mognato, ex assessore e vicesindaco di Venezia, ex segretario dei Ds e poi del Pd, nonché ex deputato di LeU, tornava al suo lavoro: magazziniere alla Metro. Anzi, neanche più magazziniere, perché in diciotto anni di assenza per aspettativa (non retribuita ovviamente, e senza maturare né anzianità Tfr né contributi), nel grande self service all’ingrosso di Marghera erano cambiate un po’ di cose. “Il suo reparto non c’è più”, gli avevano detto quando, non rieletto alla Camera, aveva comunicato la decisione di tornare al lavoro. Così è stato assegnato al reparto no-food, addetto alle vendite di casalinghi, elettrodomestici, articoli per il giardinaggio. Nessuno lo chiama più onorevole, lo stipendio è passato da oltre 10mila euro a 1.250 al mese, ma la passione per la politica non è scemata.

Mognato, è cambiato il lavoro dopo 18 anni? 

Siamo tornati indietro. Io, che avevo iniziato come delegato Cgil e mi ero battuto per regolarizzare gli “stagionali”, ho trovato maggiore precarietà, più contratti a termine.

Qual è l’atteggiamento delle persone che sanno chi è e che adesso la trovano dietro il banco?

C’è chi si mostra stupito che con la politica non abbia trovato un’altra “sistemazione”, alcuni si mostrano rispettosi, altri non nascondono la soddisfazione. Glielo leggi in faccia: “adesso te toca lavorare“. Ma io non ho niente da nascondere, sono tornato al mio lavoro. Certo, non è una cosa facile passare dalla politica e dall’amministrazione, un’attività totalizzante, che ti impegna quasi 24 ore su 24, a un lavoro organizzato su turni di sei, sei ore e mezza. Adesso puoi staccare il cervello, con la politica è impossibile.

Tornare alla vita normale comporta perdite di “amicizie”? 

No, non ho sentito “fughe”, i rapporti diventano semplicemente meno frequenti.

Quali sono stati gli anni più belli in politica?

Io ho iniziato con la Fgci nel 1977, gli anni di piombo, poi ho seguito tutta l’evoluzione dal Pci al Pds ai Ds al Pd. Fino alla scelta di uscirmene e aderire a Liberi e Uguali. Gli anni più belli sono stati quelli con il Partito comunista, ricordo la mia prima festa dell’Unità a Macallè, un rione di Mestre. C’erano coinvolgimento, passione, studio della politica. Ho frequentato la scuola sindacale della Cgil di Ariccia, la scuola di partito di Albinea, le Frattocchie. La politica era il pane di tutti i giorni.

Il periodo più brutto?

Il terrorismo. Mestre ha pagato caro con Taliercio, Gori, Albanese.

Si è pentito di aver lasciato il Pd?

Sono entrato in parlamento nel 2013, c’era una speranza vera di poter agire per il paese e invece mi sono trovato il Jobs act, la riforma della scuola, la legge elettorale votata sulla fiducia. Io, che a Venezia avevo anticipato il Pd lavorando per la fusione dei gruppi consiliari dei Ds e della Margherita, non avevo altra scelta che andare via.

LeU è stato un fallimento dal punto di vista elettorale.

Siamo partiti tardi e non abbiamo dato l’idea della discontinuità. Ma il progetto politico va costruito.

Gli italiani sembrano ben disposti nei confronti del nuovo governo giallo-verde. 

È normale. M5S e Lega insieme sfiorano il 50%. Semmai il grande errore del Pd, a mio avviso, è stato quello di non aver fatto nulla per evitare questa saldatura tra Lega e Cinque Stelle.

I vecchi partiti sono morti? 

Sono in sofferenza da un po’, e adesso sono i partiti di qualcuno. Forza Italia è di Berlusconi, il Pd è di Renzi, il M5S è di Grillo, la Lega di Salvini. La sfida oggi è mettere in campo un progetto progressista alternativo, ma ci vuole tempo.

Venezia è “condannata” a restare nelle mani di Brugnaro, che ha sconfitto la sinistra?

No, nel 2020 ce la possiamo fare. A patto di cominciare subito.