Scotto: avanti sul salario minimo, da Meloni operazione spot

Politica e Primo piano

intervista a Il manifesto

di Roberto Ciccarelli

Arturo Scotto, capogruppo del Pd in commissione Lavoro della Camera, per Carlo Calenda (Azione) c’è un 10% di possibilità che esca qualcosa di positivo dall’incontro sul salario minimo tra governo e opposizioni oggi a palazzo Chigi. Ottimista?
Noi andiamo con mente aperta ma con la determinazione di chi vuole una legge, non una dichiarazione di intenti. C’è chi dice che I’ opposizione preferisca che la proposta di salario minimo venga bocciata, per attaccare il governo.
Non le sembra invece che il problema dell’opposizione sia una proposta del governo parziale o strumentale che neutralizzi lo strumento?
Può anche darsi che stiano pensando a questo. Bisogna però analizzare il fatto politico. Siamo arrivati a questo passaggio a palazzo Chigi perché le opposizioni si sono presentate unite per la prima volta e hanno elaborato una proposta comune attorno a un contenuto sociale fortissimo. Questa è la novità della segreteria di Elly Schlein che ha cambiato impostazione. Da qui non torniamo indietro. Tutto quello che sta sotto l’asticella non l’accetteremo. Senza dimenticare che il luogo dove è giusto discuterne è il Parlamento. La nostra è infatti una legge di iniziativa parlamentare.
La convocazione, in effetti, è avvenuta in maniera anomala. E con il parlamento chiuso. Lei come la interpreta?

Come l’effetto di una crisi di nervi. La convocazione è sintomo di una difficoltà oggettiva. Per la prima volta non è l’opposizione a inseguire l’agenda del governo. Avevano cercato di chiudere la pratica del salario minimo in venti minuti in Commissione con l’emendamento soppressivo. Non sono passati. Hanno scelto di sospendere, ma non riescono a cancellare questa domanda di giustizia che incrocia milioni di italiani. Ora ci convocano. Ma lo fanno precedere dalle solite scomuniche, mistificazioni e vere e proprie falsificazioni.
Meloni ha sostenuto che il salario minimo potrebbe non essere «una soluzione efficace» e rischia per «paradosso» di peggiorare le retribuzioni. E c’è chi, come la ministra del lavoro Calderone, ha rilanciato sulla contrattazione collettiva in opposizione alla vostra proposta. Cosa risponde a queste obiezioni?

Non è vero che il salario minimo è in alternativa alla contrattazione. È l’esatto opposto. È una frusta per riaprire la dinamica salariale bloccata da troppi anni. Quanto a Meloni evidentemente non ha letto la nostra legge o ha trascritto male i suoi appunti. Noi proponiamo che il salario minimo sia per legge con una soglia di nove euro l’ora agganciata ai contratti comparativamente più rappresentativi. Significa in parole povere che se il minimo tabellare del tuo contratto è 12 non scendi dai 12, se invece sei a 7 sali automaticamente a 9. Va bene il confronto, ma evitiamo le caricature. C’è il rispetto prima ancora della condivisione politica.
Che tipo di contro-proposta vi aspettate dal governo?

Vedremo, probabilmente un’operazione spot: detassazione dei rinnovi contrattuali, una copertura minima per chi è senza alcuna tutela rispetto al dumping salariale, ma non il salario minimo per legge. La conversione della destra alla contrattazione collettiva è opportunista e temporanea. D’altra parte hanno varato il decreto lavoro il primo maggio convocando i sindacati all’ultimo minuto. Non risolveranno così l’emergenza del lavoro povero perché non vedono il cuore del problema: la centralità dei diritti sociali in un mondo produttivo che cambia.
Anche in un recente video Meloni vi ha chiesto perché non avete istituito il salario prima nella scorsa legislatura. Cosa risponde?

Perché non c’è stata mai una maggioranza in Parlamento. Nel 2021 col governo Conte il dibattito era a buon punto poi Renzi staccò la spina. In quello Draghi l’allora ministro del lavoro Andrea Orlando era arrivato a un soffio con la condivisione anche delle parti sociali. Lega e Forza Italia erano però fortemente contrarie e a luglio il governo cadde. Landini e Bombardieri sono d’accordo con il salario minimo: la crescita del lavoro povero nei servizi e un codice degli appalti che ha reintrodotto la vergogna dei subappalti a cascata ci dicono che esistono settori dove contrattare è più faticoso.
Quali?

I rider, ad esempio. Ma parliamo anche del caso più recente: gli Uffizi a Firenze. La direzione del museo ha annunciato che aumenterà il costo dei biglietti a 25 euro per un altro mese dell’anno, ma a 250 lavoratori del quinto museo al mondo viene garantita solo più precarietà. Noi siamo solidali con la loro mobilitazione.