Scotto: il nuovo Pd è ripartito. Non bisogna chiedere, ma remare

Politica e Primo piano

Intervista a la Repubblica ed. Genova

di Matteo Macor

«Dobbiamo dare una mano, non chiedere», dice Arturo Scotto, il coordinatore di Articolo Uno che ha accompagnato il partito degli ex scissionisti al «ritorno a casa» nel Pd. Atteso domani in Liguria, alle 18,30 al Campetto del Limone, alla Festa dell’Unità itinerante del Pd spezzino (con lui ci sarà il capodelegazione in Ue Brando Benifei e la consigliera comunale Martina Giannetti), l’ormai deputato dem promette la sinistra ritrovata «farà la sua parte», ma insieme auspica un pronto ingresso degli ex Articolo Uno negli organismi dirigenti. «Per primi quelli sui territori».

Sono passati quattro mesi dal congresso dem, un mese dal “ricongiungimento” con il Pd. La direzione è quella sperata?

«Il nuovo Pd di Elly Schlein si è rimesso in moto. Riportare la questione sociale al centro della scena politica ha riaperto la partita. La sinistra ha perso un pezzo del suo popolo sulla frattura del Jobs Act, la destra ha speculato sulla crisi economica offrendo risposte sbrigative, alimentando paure e divisioni. Sarà una lunga marcia, ma oggi recuperiamo una credibilità. Non una novità da poco».

Dove formalizzare, tutto questo, sui territori o in Parlamento?

«Il tema non è il nostro ritorno a casa, ma il recupero di tanti astensionisti che sono andati nel bosco perché avevano perso la speranza di una sinistra che riprendesse il proprio mestiere. È emersa una domanda di cambiamento radicale. Non dobbiamo averne paura, ma spalancare porte e finestre. Noi faremo la nostra parte: in Parlamento e nel partito, a Roma e sui territori».

Cosa chiede a Schlein, in più, la componente degli ex Articolo Uno?

«Dobbiamo dare una mano, non chiedere. Le nostre scelte sono sempre state animate dalla volontà di arare il campo piuttosto che coltivare l’orto. Abbiamo questa cultura politica. Portiamo un’elaborazione forte sulla difesa dei beni comuni, un rinnovato rapporto con le forze organizzate del lavoro dopo anni di disintermediazione, una iniziativa per la pace e il disarmo in un’Europa che ritrovi la sua strada contro il nazionalismo arrembante, un recupero di centralità dei partiti che sono stati indeboliti e destrutturati».

Quanto rischia, questo campo progressista ritrovato, davanti al no del governo sul salario minimo?

«A destra negano il problema perché pensano la strada sia alimentare precarietà e sottosalario, per questo che l’opposizione trovi un comune denominatore attorno a un tema sociale è importantissimo. La destra prima genera le diseguaglianze attraverso le ricette liberiste che abbattono il welfare, poi si candida a risolverle mettendo i penultimi contro gli ultimi. O ripartiamo dalla radice dei problemi, oppure ce la troviamo addosso peri prossimi dieci anni».