Speranza: nessun garantismo su Panzeri, siamo noi a chiedere chiarezza

Politica e Primo piano

Intervista a La Stampa

di Annalisa Cuzzocrea

«Siamo profondamente scossi e increduli davanti alle ricostruzioni di queste ore. Sono enormità che non potevo nemmeno immaginare». Solo nel suo ufficio di Montecitorio, Roberto Speranza – deputato e leader di Articolo Uno – chiede: «Posso dire che sono incazzato nero?».

Può, ma non basta. Quello che emerge su Antonio Panzeri – europarlamentare prima del Pd, poi di Articolo Uno – fa pensare a una rete costruita nel tempo. Possibile non vi siate accorti di nulla?

«I fatti che vengono ricostruiti, con tanto di flagranza di reato con cui bisogna fare i conti al di là di qualsiasi garantismo, sono quanto di più lontano ci possa essere da Articolo Uno. Che è una piccola comunità di militanza vera, di gente che dedica una vita a tenere aperto un circolo tra mille difficoltà autotassandosi, capendo come poter risparmiare 5 o 10 euro se c’è da pagare un manifestino o una sala. Abbiamo avuto oltre 50mila persone che ci hanno dato il loro 2 per mille raccogliendo in un anno gli stessi soldi di cui si parla in queste ore».

I 600mila euro trovati nel residence di Bruxelles in cui vive Panzeri?

«Seicentomila euro raccolti dal versamento volontario di persone che hanno scelto di sostenerci. Abbiamo candidato alle politiche il nostro segretario della Liguria, un operaio dell’Ansaldo. Michele Mognato, parlamentare nella scorsa legislatura, adesso è tornato a fare l’Rsu in fabbrica».

Siete persone che non fanno politica per arricchirsi, sta dicendo questo?

«La rabbia che ho dentro è pesante perché il modo in cui intendiamo la politica, la militanza e il rapporto con le istituzioni è totalmente incompatibile con quel che stiamo leggendo».

È sicuro non ci siano altre persone di Articolo Uno coinvolte?

«Lo escludo. Le risorse che noi prendiamo arrivano dal 2 per mille, dai versamenti dei deputati, 2000 euro ciascuno, e dagli iscritti. Non raccogliamo soldi in altro modo».

Non accettate donazioni da società o fondi?

«No. I nostri bilanci sono pubblici».

Non avete fondazioni del partito?

«Ma no!».

Non crede sia comunque grave, non accorgersi di nulla?

«Mi sono fatto questa domanda. Panzeri era un parlamentare europeo autorevole con una storia sindacale importante alle spalle. È uscito dal Pd per partecipare alla fondazione di Articolo Uno. Lo abbiamo seguito nella sua attività istituzionale a Bruxelles. Quando ha smesso, ha confermato la tessera di Articolo Uno senza incarichi gestionali».

Non è un dirigente?

«È una personalità rilevante della sinistra milanese e lombarda, non è l’ultimo arrivato. Si tratta di una persona che ha fatto per otto anni il capo della Camera del lavoro di Milano, poi dodici anni europarlamentare, presidente della commissione Diritti umani di Strasburgo. Come potevamo immaginare? Le attività che ha condotto dopo non hanno mai avuto a che fare con noi».

Nessun coinvolgimento con la Ong che presiedeva?

«Mai avuto a che fare».

È stato perquisito l’ufficio e sequestrato il cellulare di Davide Zoggia, ex deputato Pd, passato con lei in Articolo Uno, ora collaboratore di due europarlamentari.

«Non è più in Articolo Uno da molto tempo. A differenza di quello che emerge per Panzeri non ho elementi per valutare eventuali responsabilità. Personalmente sono per usare la massima fermezza dinanzi alle responsabilità che emergeranno. Spero che la magistratura vada avanti con determinazione perché qui è in gioco la credibilità delle istituzioni europee e delle forze politiche coinvolte. Voglio più di tutti che si faccia chiarezza. Noi in questa vicenda siamo parte lesa».

Che decisione avete preso nei confronti di Panzeri?

«La commissione di garanzia appena sono apparsi gli elementi più gravi lo ha depennato dall’anagrafe degli iscritti».

La vicenda Soumahoro ha scoperchiato, come minimo, una grossa dose di ipocrisia. Adesso si trovano sacchi di soldi di provenienza sospetta in casa di chi diceva di agire per gli ultimi, i reietti, i perseguitati. Vede l’enorme questione morale davanti alla quale si trova la sinistra?

«Credo che la questione morale sia un tema attuale nel nostro Paese. Fa molto più male quando riguarda la sinistra. Perché a destra negli anni ne abbiamo viste parecchie».

Ma dopo questo, dopo il caso del dem Nicola Oddati trovato con 14mila euro letteralmente in tasca e indagato per corruzione, dopo l’inchiesta Mafia capitale, e potrei continuare, capisce che non si può rivendicare alcuna superiorità morale?

«Lo capisco e so che a noi fa molto più male perché l’eredità della sinistra è legata alla lezione di Enrico Berlinguer. Dobbiamo con onestà dirci che non siamo impermeabili e quindi anche noi dobbiamo avere processi di selezione dei gruppi dirigenti il più rigorosi possibili. Fatti del genere sono inaccettabili e finiscono per far perdere la fiducia delle persone nei confronti della politica. Ho speso la mia vita, da quando avevo 18 anni, a dire che non è vero che siamo tutti uguali, che tutti rubano alla stessa maniera. Vedere che un’azione individuale così grave può macchiare la storia di una comunità è inaccettabile».

Provenzano, vicesegretario Pd, scrive: «Non c’entra con la vicenda dell’Europarlamento, ma vedere ex leader della sinistra fare i lobbisti in grandi affari internazionali dice molto del perché le persone non ci credono più». Parla anche di Massimo D’Alema. Del suo ruolo di intermediario nella vendita di armi alla Colombia e nella proposta di acquisto di un fondo del Qatar per la raffineria Lukoil in Sicilia. Tutto lecito, ma non crede ci sia un problema di opportunità politica?

«D’Alema non c’entra nulla con questa vicenda giudiziaria. Chiamarlo in causa su questo è del tutto improprio».

Ha un peso politico e un’influenza che non può negare. Non solo su Articolo Uno ma anche sul Movimento 5 stelle a quanto risulta dai buoni rapporti, confermati, con Giuseppe Conte.

«Ha scelto di accettare un incarico professionale rilevante in una importante società di consulenza. Ma non si può non ricordare che è fuori dalle istituzioni da dieci anni».

Crede ci sia differenza con Matteo Renzi, attaccato per i suoi contratti di consulenza con l’Arabia Saudita di Mohammed bin Salman?

«Non credo sia una differenza da poco se sei tuttora un rappresentante delle istituzioni della Repubblica. Io sono per la netta separazione delle funzioni politiche e istituzionali con quelle che hanno a che fare con la gestione di interessi particolari».