Rutigliano: costituente del Pd, ecco tre punti da cui ripartire

Politica e Primo piano

Pubblicato su Huffington Post

di Carlo Rutigliano

Come sempre, non solo in politica, il primo passo per la rinascita è imparare dalla sconfitta. E per la sinistra, nel suo complesso, l’ultima disfatta elettorale rappresenta una lezione preziosa. Alcuni nuovi totem sono miseramente caduti mentre dovremmo correre in soffitta a recuperarne altri, quelli ormai considerati storia e che, invece, incidono sempre.

Dobbiamo infatti imparare, contro il pensiero di molti, che le ideologie esistono ancora, fanno ancora presa e sono ancora determinanti. La prova? Fratelli d’Italia, il partito più suffragato del Paese è anche il più ideologico dell’arco costituzionale. La Meloni ha proposto messaggi basici dal potere evocativo: Dio, Patria e famiglia. Lo ha fatto con un linguaggio semplice senza trascurare l’importanza dei simboli. Anzi, ha rianimato la loro potenza culturale. Ha così costruito un’ancora di salvezza a cui gli italiani, tra le onde che agitano questa fase storica, si sono aggrappati senza indugiare.

Dobbiamo imparare che il partito non è “il male”, ma un elemento fondamentale della nostra democrazia il cui valore torna sempre prepotente. Solo i grandi soggetti organizzati, radicati nel Paese attraverso reti di prossimità, riescono a maturare una visione chiara e definita della società e di quello che le occorre. Un esempio su tutti: il Movimento 5 Stelle. Nato proprio contro i partiti, nel segno della democrazia diretta e della totale disintermediazione, è finito con il replicare il modello che doveva soppiantare. Piuttosto, come un mantra, dovremmo ripetere mattina, pomeriggio e sera che il partito funziona se animato dal desiderio di dare rappresentanza ad una parte di società, non garantire percorsi personali e carriere.

Ma soprattutto dobbiamo imparare che la vera modernità sta nella tradizione dei nostri valori fondamentali. La sinistra negli ultimi trent’anni, stretta tra il bisogno di eliminare le ultime scorie del socialismo reale e provare ad interpretare un mondo che ogni giorno è nuovo, ha finito per aprire le vele al forte vento liberista con la rotta stabilita dal mercato. Ha accettato cioè l’arretramento dello Stato a vantaggio dell’individuo nella convinzione che la società e l’economia fossero in grado di autoregolarsi e garantire ricchezza e benessere per tutti. Il risultato? La sciagurata stagione dei tagli. Meno spesa sanitaria, meno spesa per l’istruzione, meno welfare e più disuguaglianze. Una polveriera che deflagrando ha messo in fuga disorientata la nostra gente.

Ma allora, adesso, che fare? Da dove e come ripartire? Su quale rotta e con quali punti cardine orientarsi?

Primo. Paghiamo la mancanza d’identità, non l’assenza di leader. Dobbiamo tornare a noi. Ai nostri simboli, al nostro vocabolario. Senza paura dobbiamo recuperare la parte buona della nostra storia, di quella cultura che, pur se ha matrici diverse, ha un valore comune riconosciuto e riconoscibile. Ma per riuscirci dobbiamo avere il coraggio di rimettere in discussione tutto. Anche nome e simbolo.

Secondo. Decidere da che parte stare. Nel tentativo di rappresentare tutti siamo finiti con il rappresentare solo i più forti. Serve ripensare un nuovo equilibrio tra Stato e mercato. Il benessere non si distribuisce dall’alto per caduta ma deve nascere e risalire dal basso. La nostra destinazione è una società giusta ed equa. Per orientarci, dobbiamo inseguire e soddisfare i bisogni di chi è più fragile, di chi vive nella precarietà, di chi non ha un futuro certo.

Terzo. Lo abbiamo imparato: il cambiamento non si ottiene cancellando il passato. Da poco più che trentenne dico che non abbiamo bisogno di una classe dirigente a tutti i costi giovane né giovanile, abbiamo bisogno di una classe dirigente credibile. Una classe dirigente capace di riconoscere i propri errori per tornare a fare e ad essere comunità. Se l’avvenire si costruisce un passo alla volta, questo è certamente il primo. Non sprechiamolo.