di Francesca Sforza
Lo chiama Mikhail Sergevic, e non sbaglia neanche una pronuncia russa, Massimo D’Alema, nel ricordare l’esperienza politica di Gorbaciov e di quella breve stagione di speranze riformiste. Senza perdere di vista, anche nel giorno della celebrazione e della retorica sul padre della perestroijka, il disegno politico sottostante: “L’Occidente non lo aiutò, e il prezzo di quella mancanza di generosità da parte di chi comunque aveva vinto lo paghiamo ancora adesso”.
Massimo D’Alema, che cosa ha significato l’arrivo di Gorbaciov alla guida dell’Urss per il Partito Comunista italiano?
Innanzitutto ebbe il senso di una rivalsa. Da decenni i sovietici consideravano i comunisti italiani dei traditori. E Gorbaciov stava lì a dimostrare che in qualche modo avevamo ragione noi: quel sistema andava radicalmente riformato. Aggiungo che, a differenza di tutti i suoi predecessori, Gorbaciov disse più volte di aver considerato Berlinguer un suo punto di riferimento. Con Gorbaciov si creò la speranza che il comunismo fosse riformabile in senso democratico e che fosse possibile evitare un crollo. Ma le cose poi andarono diversamente.
Lei era direttore dell’Unità, che ricordi ha di quella stagione?
Ricordo di essere andato a Mosca, di aver parlato con molte persone e di aver fatto una lunga intervista a Shevarnadze, il suo ministro degli Esteri. Mi disse che si apriva uno spazio di ricomposizione della sinistra in Europa “nel segno di un socialismo umanistico e democratico”, e che si trattava di ricomporre la frattura che aveva diviso la sinistra dopo la rivoluzione di ottobre. Questo era il disegno iniziale di Gorbaciov.
Che impressione le fece durante gli incontri che avete avuto?
Era affascinante. Una persona con una fortissima dimensione etica, idealistica. In uno degli incontri che abbiamo avuto, dopo il 1992, quando io ero segretario del PDS, eravamo a cena alle Frattocchie, in quella che era stata la casa di Togliatti. Lo accompagnavano Zagladin e Smirnoff, e naturalmente Raissa. Lei si esprimeva in toni molto duri nei confronti della Russia di Eltsin, tanto che a un certo momento dissi: “Beh certo, aver rovesciato tutto per avere questi risultati…” E lui mi diede una risposta seria e accorata al tempo stesso: “Quel mondo doveva essere rovesciato perché era contrario ai nostri valori”. Attenzione, parlava dei valori della sinistra, e intendeva dire che l’identificazione tra i valori della sinistra e il mondo sovietico era un peso insostenibile proprio per la sinistra. Come ho letto recentemente in un testo di un analista russo, “solo un comunista idealista poteva agire con tanta violenza contro il sistema sovietico”.
Grandi rivoluzioni e anche grandi errori, da Chernobyl a Vilnius. Era l’impresa a essere troppo ardua o l’uomo a non essere all’altezza dell’impresa?
I cinesi gli hanno sempre rimproverato il fatto di avere smantellato il sistema di controllo e di esercizio del potere senza preoccuparsi prima di realizzare una riforma economica che gli desse la forza di sostenere il suo progetto. Se noi coltivavamo la convinzione che si potesse conciliare il socialismo e la democrazia, i cinesi invece hanno pensato che l’endiade da perseguire fosse autoritarismo politico e capitalismo di mercato. Cioè che era meglio mantenere il controllo del partito e liberare le forze dell’economia. Hanno sempre contestato a Gorbaciov di aver fatto una scelta utopistica. E infatti, dicono, è finita male. Ma sin dall’inizio Den e Gorbaciov scelsero strade molto diverse.
La vicinanza con l’Occidente ha giocato un ruolo?
Gorbaciov, diciamoci la verità, contava sul fatto che l’Occidente lo avrebbe aiutato, cosa che invece non avvenne. L’Occidente utilizzò Gorbaciov ma lo lasciò affogare consapevolmente. Mitterrand aveva addirittura ipotizzato la messa in opera di una sorta di piano Marshall per la Russia, ma gli americani non ne vollero sapere. Gorbaciov fu lasciato a se stesso. Forse, se in quel momento l’Occidente vincitore avesse interpretato in modo più generoso la sua vittoria, avrebbe contribuito a una evoluzione diversa. Invece ha aperto la strada a Eltsin e cioè ad un capitalismo selvaggio che ha creato in Russia una drammatica crisi sociale, una ristretta oligarchia e un senso di frustrazione e di declino. Tutto ciò alla fine ha generato Putin. Si capisce che anche nella memoria dei russi Gorbaciov sia il simbolo dell’inizio del declino. Forse quel declino poteva essere governato diversamente se qualcuno gli avesse teso la mano.
Pensa al ruolo giocato dalla Nato nei decenni successivi?
Penso che fosse necessario negoziare con la Russia un nuovo equilibrio di sicurezza in Europa, cosa che i russi hanno anche negli anni anche chiesto senza ottenerla. Neanche no gli è stato detto… Nel momento in cui lo scenario della guerra fredda veniva meno era ragionevole mettersi intorno a un tavolo e dar vita a una nuova Helsinky, a un nuovo accordo di sicurezza. In questo quadro anche un eventuale limitato allargamento della Nato non avrebbe generato in Russia la sensazione di essere sotto assedio. Quando la Cuba di Castro mise i missili ai confini con gli Stati Uniti, gli Stati Uniti se ne ebbero a male, non dissero: “Cuba è un paese sovrano e può fare quello che vuole”, non mi pare.
Alla luce di quanto sta avvenendo in Ucraina si può dire che le politiche distensive nei confronti della Russia sono state miopi?
Io la penso come Kissinger: se nel passato ci sono stati degli errori, prima non averli aiutati e poi aver privilegiato gli affari alle esigenze di principio, oggi io non riesco a capire quale sia la strategia occidentale. La Russia ha commesso una intollerabile violazione del diritto internazionale, un’aggressione ingiustificabile. È giusto aiutare l’Ucraina a difendersi. Ma qual è l’obiettivo per cui stiamo lavorando? Vincere la guerra? Mi sembra che non sia una guerra che possa essere vinta poiché l’Occidente non può consentire che l’Ucraina sia sconfitta e poiché la Russia è una potenza nucleare, per cui una volta con le spalle al muro potrebbe crearsi un rischio talmente drammatico che penso davvero nessuno voglia ragionevolmente correre. Quando una guerra non ha una soluzione militare, come spiega Kissinger, bisogna aprire un confronto. Che assetto vogliamo che abbia l’Europa? Non si capisce.
Forse fuori dall’orbita russa?
Come ha detto Henry Kissinger se la Russia non è stata in grado di piegare l’Ucraina, figuriamoci se può sconfiggere la Nato. Ma se spezziamo il rapporto con la Russia, questa si salderà con la Cina e noi in Europa avremo una frontiera di guerra permanente. È interesse dell’Europa? A mio giudizio no.
Il dilemma è tra interessi e valori?
Ma che sciocchezza. La pace è un valore, anzi è la condizione di tutti i valori e quando sono in gioco il lavoro e le condizioni di vita di milioni di persone non scherzerei con il tema degli interessi. Non è questo il problema: il problema è che dopo la fine del comunismo abbiamo immaginato che il mondo si unificasse nel segno del modello occidentale e non è successo. Viviamo in un mondo dove ci sono più modelli che devono convivere, ci vuole una strategia di convivenza pacifica. Non mi sembra una grande scelta di valore quella di mettersi a fare la guerra contro tutti.