Geloni: vi spiego come Letta e Conte lavorano al campo larghissimo

Politica e Primo piano

Intervista a L’Argomento

di Francesco De Palo

Le strade di Enrico Letta e Giuseppe Conte sono destinate a restare unite, perché Pd e M5s sono due forze che possono stare insieme. E, se possono, devono.

Così Chiara Geloni, già direttrice di YouDem, affida a L’Argomento una riflessione sul campo largo del centrosinistra, ma non solo sulla carta, bensì spiegando nel dettaglio come questo matrimonio sia l’unica via percorribile. E sulla sinistra che osserva la guerra dice che…

Quali sono le difficoltà, tecniche ed ideologiche, dinanzi all’idea del campo largo?

Le prime vertono, credo, sui meccanismi decisionali da un lato e la legge elettorale dall’altro. Naturalmente abbiamo partiti molto dotati di strumenti dinastici di decisione, quindi sappiamo che il Pd ha le sue ritualità come le primarie, il M5s le forme di democrazia diretta. Poi ci sono partiti che addirittura si possono considerare personali e prendono le loro decisioni senza alcun passaggio intermedio. Per cui la debolezza dei partiti è un tema primario: qualcuno nelle nostre riunioni, scherzando, dice che se ci fossero stati ieri i social e i partiti che abbiamo oggi, nemmeno Berlinguer avrebbe potuto fare il compromesso storico.

Ovvero?

Oggi qualsiasi equivoco che si pone entra immediatamente nel dibattito come una amplificazione polemica e con tutte le complicazioni del caso. In secondo luogo la legge elettorale ad oggi non sappiamo ancora di che tipo sarà: è una vera incognita. Nessuno sa con certezza con quali regole si giocherà la sfida del 2023, per cui anche con le migliori intenzioni prima di trovare la strategia più adatta tutti scelgono la cautela.

Questo è il contorno. Ma la politica?

Penso che l’esperienza del governo Conte 2, con la sua drammaticità e particolarità legata allo scoppio della pandemia, abbia dimostrato che queste forze possono assolutamente governare insieme. E se possono, devono. Chi si approccia a questo tema mettendo dei veti, si risponde da solo. Il nodo sta nel trovare il modo e la volontà di sedersi attorno a un tavolo per scrivere questo programma: credo che sia assolutamente possibile. Anzi, prima lo faranno prima i partiti usciranno da un dibattito politicista che non serve a nessuno.

La pax nel centrosinistra non è quindi tarata solo sulle amministrative?

Letta e Conte ogni volta che parlano lo fanno in maniera chiara circa le loro intenzioni. Capisco che ci sia un gioco retroscenista, interessato a dire che non è vero, ma io vedo la volontà dei partiti, in modo particolare dei due principali. Neanche mi stupisce che sia così, perché in questa scelta vedo una logica. Chi pensa che questa sia una strada sbagliata, dovrebbe indicarmi quella giusta: io non ne vedo altre, a maggior ragione in presenza di una destra fortissima.

Referendum, il Pd sta perdendo un’occasione riformatrice non invitando al sì?

referendum sono stati proposti da Matteo Salvini, con il sostegno più o meno esplicito di ItaliaViva. Non vedo perché il Pd dovrebbe considerarli un’occasione, tanto più che il Parlamento nel frattempo ha legiferato sulla giustizia rivolvendo alcuni dei temi posti dalla consultazione popolare. Su altri credo sia legittimo pensare che la proposta del quesito sia giusta e, come spesso accade, non dobbiamo scandalizzarci e dovremmo essere molto laici. Un modo per dire no al referendum è non votare. Non vedo dove sarebbe l’occasione persa.

Consultazione popolare e riforma Cartabia sono parallele o in antitesi?

La riforma Cartabia in parte penso che renda superfluo il referendum. Poi sottolineo che la mia cultura politica è un’altra: per me se il Parlamento fa le riforme quello è il suo compito e non esiste che i partiti della maggioranza raccolgano le firme per fare un referendum su quello. Per cui si agisce in Aula con la forza che i cittadini hanno dato a quelle rappresentanze e le riforme si fanno lì.

La sinistra, italiana ed europea, come dovrebbe rispondere non solo alla crisi bellica ma anche a quella del grano?

E’ un tema molto importante che forse dovrebbe essere oggetto di riflessione, più di tanti altri, nell’analisi del fenomeno bellico: è una delle ragioni per cui l’Italia e l’Europa dovrebbero avere un atteggiamento volto alla ricerca, il più possibile veloce, di un cessate il fuoco almeno per fermare il confitto. Affamare l’Africa o l’area del Mediterraneo significa avere, nel giro di qualche mese, un’ondata migratoria ancora più forte di quelle avute fino ad ora. C’è stata molta miopia nell’approcciarci a queste tematiche, preoccupandoci di mostrare un alto tasso di atlantismo e di assertività rispetto ai torti assoluti di Putin.

Quale l’equilibrio da cercare?

Qualcuno si è dimenticato che la priorità è fermare le bombe sui civili, evitando questa tragedia economica e umanitaria che può esserci subito dietro i blocchi della produzione di grano ucraino. Questo è non solo l’obiettivo dell’Europa, ma di una sinistra che sappia essere internazionalista e mondialista, riuscendo a guardare il mondo come ad una responsabilità comune.

In questo senso Joe Biden e le politiche democratiche non stanno riuscendo nelle intenzioni?

Sinceramente Biden, alla cui elezione ho esultato per via di radici che sento mie, mi è sembrato molto preoccupato della popolarità in vista delle midterm e della sicurezza americana, mentre poco interessato alle prospettive globali ed alla ricadute delle scelte americane. Non lo vedo impegnato sul fronte della ricerca della pace e ciò mi spiace molto. Mi auguro che sia un atteggiamento che possa evolversi, non perché io non condanni l’invasione dell’Ucraina, anzi. Lo sottolineo nuovamente, perché in Italia scatta un dibattito malato su chi pensa che le armi debbano fermarsi. Ribadisco la mia condanna alle azioni russe e la mia non equidistanza tra Ucraina e Russia: la ricerca della pace deve essere l’obiettivo quotidiano. Sono conscia che Putin non vuole la pace, come sono conscia che ha voluto lui la guerra. Detto questo, per chi sta subendo le bombe sulla propria testa e per chi sta subendo le conseguenze su scala mondiale del conflitto credo sia assolutamente prioritario cercare la pace. Le azioni diplomatiche sono possibili, ma devono essere negoziate e anche inventate: qualcuno parla di modello Alto Adige o Kosovo. Ma se ci si fa carico delle soluzioni, alla fine poi si trovano.