D’Attorre: se la svolta è stata una parentesi, gli antieuropeisti hanno vinto

Politica e Primo piano

Pubblicato su Huffington Post

di Alfredo D’Attorre

Sarebbe sciocco e autoconsolatorio negare che il ritorno dell’inflazione sia un’ipoteca molto pesante sul ritorno a una stagione più keynesiana delle politiche economiche che, complice anche l’urto della pandemia, sembrava destinata a consolidarsi finalmente anche in Europa. Così come ha ragione Draghi a mettere in discussione la logica dei bonus, spesso senza limiti di reddito, che si è progressivamente affermata nel corso degli ultimi anni, peraltro già prima del Covid: dal bonus a tutti i diciottenni al superbonus edilizio al 110% fino al cashback fiscale (e – detto per inciso – il fatto che anche una parte della sinistra si sia innamorata di queste misure, senza neppure avvertirne i non lievi problemi sul piano redistributivo, è purtroppo la conferma di quanto sia cambiata la sua composizione sociale…). Detto questo, conviene intendersi su un punto di fondo, destinato a diventare ancora più stringente per le conseguenze economiche della guerra: se nell’opinione pubblica passa l’idea che la svolta attuata dall’Europa nel corso della pandemia è stata una parentesi e che adesso tutto è destinato a tornare a come prima, almeno in Italia la partita politica è chiusa: le forze anti-europeiste hanno già vinto.

Per chiunque abbia una minima cognizione della storia e della mentalità tedesca, è chiaro che il fatto nuovo dell’inflazione, obiettivamente imprevisto in queste dimensioni, rende il percorso di revisione delle regole economiche europee ancora più complicato di quanto fosse in partenza. Ma se l’effetto di ciò diventa l’azzeramento di qualsiasi prospettiva realistica riguardo la riforma strutturale della Patto di Stabilità Ue, la costruzione di una capacità fiscale dell’eurozona, la conseguente trasformazione del Recovery Plan in uno strumento ordinario e permanente, nuove modalità di gestione dei debiti pubblici e di condivisione dei rischi, e tutto si riduce semplicemente all’ulteriore sospensione per qualche mese delle regole precedenti, accompagnata dall’annuncio che esse sono inevitabilmente destinate a rientrare in vigore, non occorrono grandi virtù profetiche per prevedere che il vento tornerà a soffiare nelle vele delle forze che avevano scommesso sulla dissoluzione del progetto di integrazione e che erano state spiazzate dalla svolta europea del 2020. Senza contare che, anche al di là dell’esito elettorale delle prossime politiche, per il nostro Paese si aprirebbero comunque scenari molto preoccupanti.

È essenziale perciò che Draghi e le forze di centrosinistra che finora lo hanno sostenuto con maggiore lealtà siano pienamente consapevoli di questo rischio, mostrino una totale determinazione a giocare la partita del cambiamento in Europa ed evitino in tutti i modi il ritorno al linguaggio e all’atteggiamento di un certo europeismo benpensante e moralistico che ha imperversato per anni prima della pandemia: quello per il quale le regole europee erano giuste a prescindere, il vincolo esterno era l’unico modo per tenere a bada un Paese come l’Italia, la rappresentazione dei Paesi mediterranei come PIIGS (ricordate?) era stata introiettata e accettata, gli effetti economicamente distruttivi dell’austerità venivano negati anche contro l’evidenza. È l’atteggiamento che, assieme agli effetti concreti di quelle politiche economiche, prima della pandemia ha contribuito a portare il M5S al 32% alle politiche del 2018 e la Lega di Salvini al 34% alle europee del 2019. La perdita di credibilità conosciuta da queste forze e dalle loro leadership negli anni successivi non significa che sia venuto meno lo spazio potenziale per un posizionamento di quel tipo da parte di nuovi protagonisti. E, d’altra parte, quale credibilità avrebbe un centrosinistra che, dopo aver giustamente rimarcato il valore straordinario della scelta dell’Unione europea di fronteggiare della pandemia rimettendo in discussione sul piano sostanziale tutte le regole fondanti della sua governance economica (limiti stringenti ai deficit pubblici, divieto di aiuti di Stato, divieto di monetizzazione e condivisione dei debiti pubblici), si presentasse alle elezioni sostenendo la necessità di reintrodurre e rispettare tutto il quadro precedente di vincoli europei?

La presenza di Draghi è – anche e soprattutto da questo punto di vista – un’opportunità in più. È anzitutto la garanzia che l’Italia non farà scelte di bilancio avventate sul piano interno e che misure indifendibili sia dal punto visto della sostenibilità finanziaria che dell’equità sociale non saranno più riproposte. Ma deve diventare anche il punto di forza per una posizione incisiva e determinata in Europa, che marchi bene la differenza fra l’«europeismo pragmatico» di cui ha parlato spesso il Presidente del Consiglio e il vecchio europeismo benpensante che lodava a prescindere il vincolo esterno e l’austerità.

Peraltro, i profondi cambiamenti economici e geopolitici prodotti dalla guerra rendono l’attuale assetto dell’Unione europea a 27 ancora più disfunzionale. Esso non garantisce né una ragionevole prospettiva di adesione a nuovi Paesi, compresa l’Ucraina, desiderosi di trovare forme di associazione a uno spazio economico e di sicurezza europeo (che, come ha sottolineato Enrico Letta, dovrebbe necessariamente assumere un carattere più ‘leggero’ e confederale), né la costruzione di un nucleo di Paesi, di una Kerneuropa, dotata dell’omogeneità e dell’effettiva convergenza di interessi necessarie per evolvere verso un’unione compiutamente federale.

Piaccia o no, dagli sviluppi del progetto europeo passa il destino del nostro Paese. Un centrosinistra che fosse in grado di ribadire questo punto essenziale, legandolo a una prospettiva credibile di trasformazione dell’attuale UE e di protagonismo dell’Italia nella costruzione di un nucleo europeo più forte e autonomo anche nell’ambito dell’alleanza atlantica, avrebbe una chance. Un centrosinistra che si limitasse a riesumare il linguaggio del vincolo esterno e delle vecchie regole europee rischia seriamente di essere travolto.