Speranza: più medici e un miliardo alle Regioni per tagliare le liste d’attesa

Politica e Primo piano

Intervista a Repubblica

di Michele Bocci

Ministro della Salute Roberto Speranza, in certe Regioni e per certe specialità le liste di attesa sono lunghissime. Interverrete?

«È un problema che viene da lontano ed è stato ulteriormente complicato dal Covid. Abbiamo già indirizzato un miliardo di euro, in due tranche, alle Regioni per affrontarlo e ci aspettiamo di vedere presto i risultati. La questione attese è legata al numero di medici più che alle attrezzature. Sul personale abbiamo avviato un’operazione mai vista».

Cosa avete fatto?

«Nel nostro Paese si finanziavano in media 5 o 6 mila borse di specializzazione in medicina l’anno. Così il numero dei nuovi medici pronti a entrare nel sistema era sempre inferiore a quello di chi andava in pensione o comunque lasciava. Negli ultimi due anni abbiamo finanziato prima 13.400 borse e poi 17.400. C’era un imbuto formativo, ora non esiste più».

Quei dottori saranno disponibili dopo i 4-5 anni di specializzazione. Le attese, anche oltre 250 giorni per una visita o un esame in certe città, come ha rivela la nostra inchiesta, ci sono ora.

«Ma i medici non si comprano sul mercato internazionale, come i camici o i respiratori. O li hai formati con una programmazione pluriennale o non li hai. Noi negli ultimi due anni abbiamo finalmente investito come si doveva. Per l’immediato il miliardo di euro in più servirà a comunque a recuperare con interventi straordinari».

Il sistema sanitario ha abbastanza fondi a disposizione?

«Quando sono diventato ministro, nel settembre 2019, il fondo sanitario nazionale era a 114 miliardi di euro e aumentava in media di meno di un miliardo all’anno. Ora, dopo due anni e mezzo, siamo arrivati a 124 miliardi, 10 in più. Non c’era mai stato nella storia del servizio sanitario nazionale una crescita delle risorse così importante in tempi così brevi».

Perciò quanto fatto è sufficiente?

«C’è stata una stagione troppo lunga di definanziamento della sanità e le risorse vanno aumentate ancora. Abbiamo l’impegno a portare il fondo a 128 miliardi in due anni, ma voglio lavorare per fare crescere ancora questa cifra. Poi sono per superare i tetti di spesa che hanno le Regioni, a partire da quella per il personale».

Le Regioni chiedono più soldi per la lotta al Covid.

«Abbiamo già messo molte risorse al di fuori del fondo sanitario nazionale per la pandemia. Ne servono ancora e le troveremo. Sono stati anni difficili e avremo altre spese, ad esempio per i vaccini. Ma non è accettabile che il dibattito non tenga conto di un dato di realtà: così tanti soldi sulla sanità non sono mai stati messi».

Si riferisce anche al Pnrr?

«Sì, si aggiungono all’incremento del fondo. Arriveranno 20 miliardi grazie al Pnrr. Poi ci sono 625 milioni che per la prima volta la programmazione europea riserva al “Pon” salute, per le aree svantaggiate. Quei soldi vanno al Sud e serviranno anche a recuperare gli screening oncologici saltati».

I pronto soccorso sono in crisi, i medici lasciano per lo stress. Basteranno più specializzazioni?

«Senza dubbio il lavoro nell’emergenza è spesso estenuante. Noi abbiamo fatto un primo passo stanziando 90 milioni e istituendo una nuova indennità specifica per chi lavora al pronto soccorso. Sono prime risorse, cercheremo di trovarne altre ma si tratta di un segnale: diciamo ai lavoratori che siamo consapevoli delle loro difficoltà. Poi avrà un ruolo fondamentale il Pnrr».

Cosa c’entra il Pnrr con i pronto soccorso?

«Circa 7 miliardi andranno all’assistenza territoriale, irrobustendo la rete che fa schermo al pronto soccorso, perché prende in carico i pazienti prima che finiscano in ospedale. Nel Piano si prevedono 1.350 case di comunità, dove lavoreranno medici di famiglia, specialisti, infermieri».

La sanità soffre le grandi differenze tra regioni. Come si evita che anche l’uso dei fondi del Pnrr sia sbilanciato?

«Entro il 30 giugno firmeremo un Contratto istituzionale di sviluppo, Cis, con ogni regione. Il finanziamento sarà legato al raggiungimento di certi risultati. Ci sarà un alto livello di monitoraggio dei territori. L’obiettivo è una sanità nazionale più omogenea».

Quanti vaccini anti Covid compreremo per l’autunno?

«Sempre il 13,4% del totale europeo. L’impegno ora è avere dei vaccini aggiornati. Le autorità sanitarie ci diranno come procedere e decideremo se offrire il nuovo vaccino a tutti o solo a certe fasce anagrafiche».

Molti non fanno la quarta dose, pensando che tanto riceveranno un altro richiamo in autunno.

«Faccio appello ai fragili di non aspettare ottobre. I dati ci dicono che il secondo booster alza il livello di protezione. Può salvare la vita a molti. Le categorie sono note: immunocompromessi, ultra ottantenni, ospiti delle Rsa, e fragili tra i 60 e i 79 anni».