di Simone Oggionni, Eldar Mamedov, Anna Colombo
È ormai chiaro che la guerra che si combatte in Ucraina non ha più soltanto una dimensione regionale, anche se la contrapposizione sul campo è tra due eserciti nazionali. Ha già una dimensione ben più vasta, configurandosi come una guerra per l’egemonia tra la Russia e la NATO, coinvolta quest’ultima, almeno per ora, non direttamente. Tuttavia, con l’evocazione di un possibile, imminente ingresso dell’Ucraina nell’Alleanza Atlantica, la guerra non è più meramente regionale, ed ha già imposto un posizionamento al mondo, ad ogni singolo Stato.
L’Assemblea generale dell’Onu ha condannato con forza l’aggressione e molti Paesi hanno introdotto sanzioni. Ma lo scenario è diverso da quello che l’Occidente descrive. Fuori dall’Europa, Putin è tutt’altro che isolato. Sono contrari alle sanzioni i Brics (che rappresentano il 41% della popolazione globale), poi i Paesi storicamente satelliti della Russia come la Bielorussia, il Kazakistan, Tagikistan, Armenia e Kirghizistan; ma anche Azerbaigian, Moldavia e Georgia. In Medio Oriente la Siria, l’Egitto, la Turchia, l’Iraq e l’Iran. Nel continente sudamericano la contrarietà alle sanzioni è larghissima (Messico, Argentina, Venezuela, Guatemala, Cuba, Nicaragua, Cile, Colombia, Brasile).
Dall’altra parte ci sono gli Stati Uniti che hanno spinto Zelensky verso l’idea di poter vincere la guerra e ora continuano a galvanizzarlo, stanziando da ultimo 20 miliardi per nuove armi. Pochi giorni fa il Segretario Generale della NATO ha dichiarato che “la NATO sosterrà l’Ucraina fino alla sua totale vittoria sulla Russia”. Quando, nelle settimane scorse, Zelensky aveva aperto all’idea di un’Ucraina neutrale, gli Usa (insieme alla Gran Bretagna) hanno ostacolato questa prospettiva, contrapponendo l’idea che fosse possibile sconfiggere la Russia (ricordiamolo: una potenza nucleare) sul campo. In particolare, il Segretario di Stato alla Difesa Lloyd Austin ha affermato esplicitamente che gli USA puntano ad indebolire le capacità militari russe, mentre il Segretario di Stato Antony Blinken ha dichiarato che “gli sforzi continuati per aumentare la pressione sull’economia russa già in difficoltà contribuiranno all’indebolimento della posizione del governo russo e a isolarlo ulteriormente dal resto del mondo”.
Sin qui l’Unione Europea ha calibrato con prudenza la propria reazione. Ha espresso unanime censura dell’aggressione russa, e la sua risposta è stata di doppia natura: da una parte ha scelto la linea di sanzioni sempre più dure, concepite per ostacolare lo sforzo militare di Putin. Dall’altra, l’invio di armi in sostegno all’Ucraina. Tuttavia, l’Europa non ha ancora fatto il passo decisivo né nella direzione di un più radicale coinvolgimento (come gli Usa vorrebbero), per ritrosie e cautele di tipo economico, storico e politico (vedi Germania e Francia) né nella direzione di una più esplicita iniziativa diplomatica, che è invece il nostro obiettivo. L’UE è stata fino ad ora carente nel fare passi decisivi ed assertivi verso discussioni e soluzioni di tipo diplomatico. L’Alto Rappresentante Josep Borrell si è spinto fino a dire che “questa guerra dovrebbe essere vinta sul campo di battaglia”. Un tale quadro significherebbe il coinvolgimento diretto di molti Paesi, il possibile intervento della NATO. Un solo passo falso potrebbe portare alla guerra mondiale. Come sembra ricordarci Sonnambuli, il libro in cui Christopher Clark descrive come l’Europa arrivò alla Grande Guerra, siamo molto vicini alla catastrofe. Sarebbe una guerra che, nella misura in cui a essere coinvolte sono potenze nucleari, rischierebbe di trasformarsi in una guerra nucleare, anche per il fatto che oggi il nucleare è sul piano militare molto più diffuso di un tempo ed è integrato in diversi tipi di armi (tattiche, a corto raggio e medio raggio).
Il tema dal nostro punto di vista è solo uno: come impedire questa prospettiva. Come aiutare la popolazione civile ucraina e al contempo come impedire la guerra mondiale. La posizione di chi sostiene che l’unico modo per aiutare gli ucraini è sostenere l’Ucraina fino alla vittoria da conquistarsi sul campo contro la Russia è irrazionale e pericolosa. È irrazionale perché confonde la sacrosanta resistenza dei civili con l’azione militare di un esercito (e delle sue truppe irregolari) contro un altro esercito; è pericolosa perché una potenza nucleare non può perdere sul campo, se si usano le armi nucleari. Si aiutano gli ucraini prestando soccorso sul piano umanitario, costruendo corridoi umanitari e arrivando il prima possibile al cessate il fuoco. Si impedisce una prospettiva irreparabile imbastendo il prima possibile un negoziato. Quindi aiutare i civili ucraini e impedire la terza guerra mondiale sono prospettive coincidenti e si realizzano (si possono realizzare) attraverso il negoziato.
Chi deve impostare il negoziato? La Turchia di Erdogan? La Cina, che guarda interessata ma per ora defilata, lo scontro egemonico? Gli Stati Uniti? Oppure l’Europa, che ha la guerra in casa e ha tutto l’interesse a ricostruire un equilibrio continentale, che includa un’Ucraina sovrana, una Russia fermata nei suoi intenti bellici ed espansionistici ma non umiliata? Un’UE che accolga una prospettiva di pace di lungo periodo che passa da un’intesa strategica con la Russia per la sicurezza della regione? Noi pensiamo l’Europa. Con quali argomenti, intorno a quali punti? Nel primo incontro fra il Segretario Generale delle Nazioni Unite Guterres e Putin, Putin ha parlato di Donbass e di Crimea. In Occidente non si è dato molto risalto alla cosa. A noi pare una buona notizia. Malgrado si continui ad accreditare l’idea che Putin voglia bulimicamente tutto (tutta l’Ucraina, la Finlandia, la Moldavia, domani l’Europa intera) Putin è interessato a discutere di Donbass e di Crimea. L’Europa può farsi allora garante di un accordo credibile, che salvaguardi prima di tutto la dignità degli aggrediti e in secondo luogo progetti una configurazione della mappa politica più coerente con la realtà e con la pluralità degli attori che la compongono.
Un’Ucraina federale, plurale, che riconosca quello che la comunità internazionale non può ignorare, anche oltre i protocolli di Minsk: e cioè che è necessario garantire la sovranità dell’Ucraina, la sua indipendenza militare e politica (dalla NATO) e un certo livello di autogoverno e di autonomia del Donbass e della Crimea.
Questo vale nell’immediato ma anche in prospettiva, per disarmare il pericolo nucleare. La sinistra europea deve progettare una inversione di rotta e inaugurare una fase nuova, iniziando a praticare l’idea di un’Europa come soggetto politico autonomo, di pace, protagonista di un dialogo con gli altri grandi player mondiali. Ricollocando l’Europa dentro la storia, restituendo la politica dell’Europa a un rapporto non occasionale con la storia. Tornare a dare alla discussione una profondità differente, mettendo in luce alcuni elementi essenziali che spiegano il contesto, vuol dire giustificare meccanicamente il presente? No, mai. Ma occorre dire cosa c’è alle nostre spalle, almeno dal 1990 in avanti. Da quando Gorbacev decise di ritirare le truppe del patto di Varsavia dall’Europa, accettando di smilitarizzarla. In quel tornante si è persa un’occasione enorme, perché la NATO ha fatto esattamente il contrario: ha moltiplicato le sue basi, allargandosi a Est e trasformando quella che doveva essere un’alleanza difensiva in una problema per la sicurezza e la difesa del Continente. Dopo lo smantellamento dell’URSS, la Russia è stata trattata dall’Occidente tutto come la controparte sconfitta nella guerra fredda e non come un nuovo partner. La decisione presa al Summit NATO di Bucarest nel 2008 di aprire una prospettiva di adesione alla NATO di Ucraina (e Georgia), decisione presa malgrado il parere contrario di molti diplomatici e esperti americani di grande esperienza ed autorevolezza, ha ulteriormente alimentato il rancore e il senso di umiliazione in Russia; ciò ha costituito il terreno fertile per il revanscismo nazionalista promosso dallo “uomo forte” Putin.
Quando questa guerra sarà finita, dovranno essere evitati i vecchi errori. L’UE deve offrire un percorso realistico e credibile per la ricostruzione dell’Ucraina, ma al tempo stesso trovare la via per integrare la Russia in un progetto europeo comune. Questo sforzo deve cominciare oggi, lasciando aperti tutti i canali di comunicazione con la società civile in Russia, anche nel momento in cui l’UE impone dure sanzioni ai responsabili dell’invasione in Ucraina. Solo dimostrandosi all’altezza di questa sfida, riprendendo quel filo si può invertire la rotta e l’Europa può finalmente essere protagonista di un destino nuovo. L’obiettivo, l’unico obiettivo, deve essere la pace, sempre. La stessa nozione di pace sembra al giorno d’oggi associata alla debolezza e all’arrendevolezza. I Progressisti debbono al contrario abbracciare il valore della pace e renderlo nuovamente attuale e alto. Diplomazia e negoziato non sono simboli di debolezza, sono invece un segno di responsabilità, ritegno e realismo. Nell’Unione Europea i popoli vogliono la Pace. Le forze politiche, ed in particolare quelle progressiste che hanno scelto il cammino di uno Sviluppo Sostenibile basato sul multilateralismo sotto l’egida dell’ONU, riformata per essere più forte, debbono assumersi pienamente le proprie responsabilità. Dialogo e partenariato internazionale, diplomazia e coerenza sono le scelte corrette per il nostro futuro comune.