Speranza: fine dell’emergenza, ma servirà la quarta dose

Politica e Primo piano

Colloquio con Repubblica

di Michele Bocci

In questi due anni il ministro alla Salute Roberto Speranza ha mantenuto una linea di cautela, anche a costo di finire sotto attacco da chi minimizzava o chiedeva riaperture in anticipo. La fine dell’emergenza rappresenta un segnale simbolico e anche pratico, che non gli fa cambiare atteggiamento. «Si apre una fase nuova, il Paese affronta l’epidemia ancora in corso con strumenti ordinari. Non significa che la pandemia è finita. Non c’è un pulsante “off” che magicamente fa sparire il virus. Ma chi pensa che si debbano ancora usare gli strumenti di due anni fa è fuori dalla storia. È cambiato tutto: conosciamo meglio il virus, abbiamo i vaccini, le cure, sappiamo che le mascherine sono fondamentali. Ci vuole ancora attenzione perché la pandemia non si è conclusa ma serve anche il coraggio di aprire una fase diversa dal passato».

E per questo è ancora necessario indossare le mascherine al chiuso, considerate imprescindibili da molti esperti. Il primo maggio però potrebbero scomparire. «Attenzione, non abbiamo già deciso. Sono scelte che si fanno passo dopo passo, a metà aprile osserveremo il quadro epidemiologico, valutando la curva. La situazione degli ospedali ora è sotto controllo ma l’incidenza è alta e le mascherine sono particolarmente utili. E infatti questo mese restano obbligatorie al chiuso».

Un altro tema che si sta affermando in questi giorni è quello della quarta dose per gli anziani. Non si discute più se farla o meno ma a chi e quando. Speranza tre giorni fa a Bruxelles ha fermato Germania, Francia e altri Paesi che volevano già partire con le somministrazioni chi agli over 80 e chi agli over 70. «Ho proposto di coordinarci, non ha senso andare in ordine sparso. Mi hanno seguito: si deciderà, dopo aver ascoltato gli esperti e le agenzie regolatorie, la settimana prossima». Il via alla quarta dose per i più anziani, visto che Germania e Francia aspettano ma certo non torneranno indietro, è sicuro. Mancano i dettagli su tempi e fasce anagrafiche.

Con lo stato di emergenza, si conclude tra le altre cose l’esperienza del Cts. «Rivendico come un patrimonio del Paese il rapporto positivo che c’è stato tra politica e scienza. Ho profonda gratitudine nei confronti dei nostri esperti. Ora torniamo nella fase ordinaria e valorizzeremo le nostre istituzioni, cioè l’Istituto e il Consiglio superiore di sanità, oltre alle società scientifiche. Nessuno pensi che senza il Cts ci sia meno relazione tra politica e scienza». Il comitato è stato al centro di polemiche, soprattutto quando si è dimostrato rigido rispetto alle riaperture e in generale sulle misure restrittive. «In alcuni passaggi qualcuno ha fatto politica su tutto, non mi ha sorpreso. Ma il Paese è più forte perché le scelte si sono basate sempre sull’evidenza scientifica».

Ripercorrendo la storia della pandemia, ancora oggi il ministro per indicare le ore più drammatiche torna sempre lì: «A Lodi e Vo’ Euganeo, chiusi con l’aiuto delle forze dell’ordine. Siamo stati i primi al mondo, con gli Usa, a proclamare l’emergenza. Era il 30 gennaio. Si è rivelata una scelta giusta, eravamo di fronte a qualcosa senza precedenti. E quello era solo l’inizio». Lunghe giornate e notti di lavoro, tornando a casa solo per dormire qualche ora e soprattutto imparando passo dopo passo. «Nessuno di noi aveva elementi empirici di certezza sull’esito delle nostre decisioni. Il 10 marzo è scattato il lockdown nazionale. Oggi possiamo dire che la scelta è stata giusta, ci ha permesso di salvare un numero enorme di vite umane evitando che il virus dilagasse fuori dal Nord Italia. Ma, appunto, ne abbiamo avuto la certezza solo dopo». Ha reso la situazione più pesante l’assenza in Italia di «una tradizione di gestione dell’emergenza sanitaria, né al ministero, né alla protezione civile».

L’emergenza è stata più volte prorogata, finché non si sono visti gli effetti dei vaccini, definiti dal ministro il vero «game changer». Dopo la tragica prima ondata «anche l’autunno e l’inverno tra il 2020 e il 2021 sono stati durissimi, ci hanno costretti a tante chiusure. C’era però un motivo per essere ottimisti. A giugno avevamo annunciato, con altri Paesi, i primi accordi con l’industria. Qualcuno diceva che eravamo troppo ottimisti, ma il 27 dicembre 2021 sono iniziate le somministrazioni. Gli italiani hanno partecipato alla campagna in massa e la nostra macchina organizzativa guidata da Francesco Figliuolo, che ringrazio, è stata molto efficace. Quando poi le coperture sono diventate significativamente alte, abbiamo iniziato a pensare di non rinnovare lo stato di emergenza. Si è deciso di far passare l’autunno e l’inverno, il periodo più difficile, prima di revocarlo». A giocare un ruolo importante per la diffusione della vaccinazione, ammette il ministro, è stato anche il Green Pass. «Ha fatto la differenza, ci ha fatto raggiungere una delle migliori percentuali di vaccinazione in Europa e nel mondo. Ci sono Paesi come Austria, Germania e Olanda dove anche in questi mesi sono stati costretti a fare chiusure dure. Noi no, grazie alle alte coperture, figlie di un uso robusto del Green Pass e dell’introduzione dell’obbligo».

Oggi non si lavora più la notte ma la stanchezza resta. «I miei figli tifano perché papà stia più a casa», dice Speranza. E infatti la conferma come ministro, uno tra i pochi del governo guidato da Giuseppe Conte, da parte di Mario Draghi è stata accolta con un po’ di freddezza, soprattutto dalla piccola Emma. «Ma non ho ancora finito. Adesso metto tutte le energie sulla costruzione e il rilancio del servizio sanitario. Abbiamo una finestra di opportunità, grazie alle risorse del fondo sanitario nazionale, 10 miliardi in più, e del Pnrr, altri 20. La lezione del Covid deve farci aprire una nuova fase, per rendere più forte la nostra sanità».