Bersani: irresponsabile votare ora senza mettere al sicuro i conti. Gentiloni recuperi la sua dignità

Politica e Primo piano

Intervista a Repubblica

di Stefano Cappellini

Pier Luigi Bersani ha appena raccolto l’appello di Giuliano Pisapia. Il primo luglio a Roma partirà l’avventura del centrosinistra alternativo al Pd. Si chiamerà Alleanza per il cambiamento («Il nome – dice l’ex segretario dem – non è definitivo, ma i concetti sono quelli»). Bersani però non si rassegna all’idea di elezioni in autunno: «Vogliono far cadere il governo in agosto, votare a fine settembre o inizio ottobre con una legge elettorale che gli italiani non avranno il tempo di capire ma che consente di mandare in Parlamento un sacco di nominati e, non ultimo, lasciano il Paese nella totale incertezza sugli equilibri finanziari davanti al mondo e ai mercati». Il timore di Bersani è anche sulle leggi incompiute che rischiano di arenarsi insieme alla legislatura: «Serve un patto per portare a termine queste leggi qualunque sia la data del voto. Io promisi che la prima cosa che avrei fatto a Palazzo Chigi sarebbe stato lo ius soli. Mi vergognerei se la legislatura finisse senza vararlo. Basta la volontà. Una bella settimanotta per votare lo ius soli e un altro paio di leggi si può trovare».

Renzi dice che i conti non sono in pericolo. E che non si può avere paura del voto, è la democrazia.

«Ci prendono per i fondelli. Serve una finanziaria che rimetta in sesto il Paese. Quindi o la si fa prima del voto o la si fa dopo. Ma se la si fa prima, bisogna approvarla e non presentare un foglietto con dei conti. Se invece la si fa dopo, diventa un punto interrogativo enorme e siamo alla pura irresponsabilità. Non lo sanno che agosto è il periodo delle maggiori turbolenze sui mercati? Sono fuori come un balcone. Spero ancora che questo scenario si possa evitare. Che ci sia una forza delle cose, istituzioni, società civile, giornali, che dica: ma stiamo scherzando?».

Gentiloni ha spiegato che il governo manterrà i suoi impegni, anche sulla legge di bilancio.

«A me pare che l’unico impegno preso dal governo sia accettare i trucchetti e le provocazioni che devono portare alla sua dipartita. Siamo davanti a un avventurismo sfacciato come mai nella storia della repubblica. Perché chi ha la responsabilità sceglie deliberatamente di aggirare le scelte e chi non governa pensa solo a lucrare qualcosa per le fortune del proprio partito. Così si è costituita la banda dei quattro sulla legge elettorale: Renzi, Berlusconi, Grillo e Salvini. Ma fanno i conti senza l’oste».

E chi è l’oste?

«Gli italiani prepareranno qualche sorpresa, non so che da lato, ma consiglierei ai sondaggisti di sospendere l’attività. C’è chi non ha visto cosa arrivava col referendum e non vede cosa sta arrivando adesso. E finirà vittima delle sue stesse macchinazioni».

Accusa Gentiloni di far parte della macchinazione?

«Non sempre sono d’accordo con lui, e non da ora. Però Gentiloni si è preso una sua credibilità, se non altro per questione di stile. Se la giochi per il Paese e per la dignità del suo ruolo».

Però non votando la fiducia sulla manovrina che reintroduce i voucher siete voi a mettere a rischio il governo.

«A Renzi non crede più nessuno, bisogna che se renda conto. Certi giochini li capisce anche un bambino. Prendere a schiaffi noi, prendere a schiaffi Alfano, minare la maggioranza. Sui voucher la soluzione c’è: si tengano per le famiglie e si apra il tavolo per capire cosa fare con le imprese. E ragionevole. Ma qui non hanno abolito i voucher, hanno abolito il referendum».

Renzi vuole votare in autunno anche per evitare che il governo debba affrontare una manovra difficile senza la forza per contrastare i diktat rigoristi della Ue.

«Il tema è sul tavolo da tre anni. Siamo riusciti nel miracolo, nell’epoca dei tassi più bassi della storia, di aumentare il debito pubblico, diminuire gli investimenti e lasciare il lavoro in mezzo a una strada. Si è provato a cambiare la narrazione dicendo che la ripresa era in corso. Ma quando dici alla gente che c’è bel tempo, poi fai fatica a dire che bisogna prendere l’ombrello».

L’ombrello di Monti costò caro anche a lei, in termini di voti.

«Lo dice a me o a quelli che quattro anni fa tutte le mattine mi facevano l’esame di montismo, a cominciare da Gentiloni e Renzi?».

Ma quindi che finanziaria dovrebbe varare il governo?

«Cominci dal rispondere a qualche domanda in astratto: se ci fosse da fare un sacrificio si toccano i grandi patrimoni o le pensioni? Destra e sinistra esistono. Si porrà comunque un tema di equità e di misure di risanamento che non castrino gli investimenti. Quando tu hai di fronte dei problemi veri e si vede palesemente che non vuoi affrontarli, significa solo che stai preparando la strada per l’emergenza, quando sarà obbligatorio farlo provando a dire che non è colpa di nessuno».

Sta dicendo che si lavora per le larghe intese Renzi-Berlusconi?

«Sì, sono tre anni che si annusano. D’Alema forse lo spiega brutalmente, ma dice una verità».

L’anti-renzismo di D’Alema è un imbarazzo per Pisapia?

«Pisapia ha chiarito che non la pensa così. Il punto non è l’antirenzismo, bensì la discontinuità con le politiche di Renzi: Jobs Act, buona scuola, fisco. Meno tasse per tutti è uno slogan della destra. In tutto il mondo alla richiesta di protezione arrivano due risposte, quella della destra sovranista e nazionalista e quella della sinistra che protegge attraverso diritti e welfare. Noi invece siamo ostaggio di chi non ha il coraggio di fare Trump fino in fondo e non ha la chiave per fare Corbyn».

Una volta eravate blairiani, ora corbyniani.

«I vecchiotti alla Sanders o alla Corbyn trasmettono valori, poi sui programmi si può discutere. Quella dei vecchi contrapposti ai giovani è una sciocchezza. Posso dirla alla Bersani? Quando c’è bel tempo tutti i pedalò stanno fuori, ma quando piove…».

Cosa fonderete insieme a Pisapia? Un partito? Un listone di sinistra?

«Non voglio Cose rosse ma nemmeno che si sputi sul rosso. L’appello è a tutti e sottolineo tutti quelli che vogliono un centrosinistra di governo, che non si arrendono all’idea che il centrosinistra sia il Pd e il Pd sia il capo. C’è tanta gente in giro che aspetta questo. Metteremo dei paletti di base. Anticipo i miei due: nel nuovo patto europeo, che inevitabilmente verrà fuori dal corso internazionale, l’Italia deve esserci. Sul piano interno, tenere alti sia gli investimenti sia l’avanzo primario. Crescita e risanamento. Sono i grandi successi che raggiunsero i governi dell’Ulivo. Per me chi li accetta è dentro».

È un invito a Prodi e Letta?

«Ho sempre parlato di nuovo Ulivo non per nostalgia, ma perché quell’esperienza è fondata proprio su quei due paletti. Parliamo di persone che mi stanno a cuore massimamente, poi ognuno sarà libero di fare le sue scelte».

E il programma?

«Programma radicale, il lavoro è scarso e umiliato, quindi investimenti e diritti. Welfare, i grandi servizi universalistici da riformulare a partire dalla sanità. Terzo, progressività dell’imposizione fiscale. Non possiamo farci dire dall’Europa che il patrimonio immobiliare va tassato».

Sarà Pisapia il leader?

«Pisapia va benissimo. Il sistema proporzionale però non pretende il salvatore della patria, serve una idea di squadra».

Gli altri un candidato premier l’avranno. Partite a handicap.

«Sconsiglierei Renzi dal considerare un vantaggio la sua candidatura».

E se non superate la soglia del 5%?

«La soglia è giusta. Se sei sotto il 5, fai altro nella vita. Sulla legge elettorale sono altri i punti da rivedere. Il voto disgiunto, per cominciare. Questo è un tedesco col trucco, uno vince in un collegio ma passa il capolista bloccato. Ho persino dubbi di costituzionalità».