Visco: i garantiti dovrebbero aiutare i nuovi fragili, in base alle possibilità

Politica e Primo piano

Intervista a Il Fatto quotidiano

di Antonello Caporale

L’amore più recente e più solido di Vincenzo Visco, classe 1942, l’unico politico italiano che abbia veramente scucito qualche soldo agli evasori (e perciò soprannominato dalle destre Dracula) è il pilates. “Da dieci anni, senza mancare un giorno all’appuntamento. Alla mia età per mantenerti in piedi hai bisogno di fare qualcosa. Il pilates è perfetto”.

Anche in pandemia non vi siete lasciati.

Ci siamo ritrovati in dad.

Ai tempi del governo Prodi lei azzannava gli infedeli dell’erario.

Far pagare le tasse è facile e possibile. La politica ha ogni strumento, e se vuole può.

Non vuole.

Mi sembra piuttosto chiaro. Questa crisi ha avvelenato ancor di più la società, in alcuni casi l’ha imbastardita. Basta che in tv sbuchino una decina di commercianti, disperati, sfigatissimi che naturalmente schiumino rabbia.

La televisione vive sul dramma sociale.

Infatti l’America di Trump ci insegna che i diseredati sono chiamati a difendere col loro corpo i super ricchi. È storia triste ed esemplare. Un capovolgimento della logica, la perfetta coniugazione della demagogia con l’ingiustizia più plateale.

Un talk show ben assestato in faccia all’azione di governo e tutto si ferma? Possibile?

La politica ha perduto ogni reputazione, scaduta agli occhi dei governati e posta ai confini della delinquenza comune. Perciò la sua azione è debole, subisce ogni reazione, anche la più isterica.

Come sta succedendo con le riaperture, decise sull’onda della rabbia?

Prevale l’interesse economico sul destino del più debole. In economia è una considerazione lecita. Dal punto di vista etico è inammissibile.

Si riapre mettendo nel conto altri morti.

Mi pare che il presidente della Liguria li avesse messi già tempo fa. E il rappresentante di Confindustria delle Marche lo abbia detto chiaramente. Un amen per gli sfigati e avanti con la produzione.

Fare debito, tenendo tutto chiuso, non è però più possibile.

È stata finora l’unica strada praticabile.

Ma fin dove potremo avventurarci col debito? Chi lo ripagherà?

Draghi dice che la crescita compenserà questo extra deficit. È certo la prospettiva più ottimistica e favorevole ma non è una scorciatoia, una furbata.

E se la crescita non fosse tale da asciugare il lago di debiti che abbiamo contratto?

Sarebbero guai grossi. Come guai grossi produrrebbe un rialzo dell’inflazione. Non dimentichiamo che il 30 per cento del nostro debito l’ha in pancia la Bce. Se lo tiene dormiente, allora ok.

Altrimenti siamo fritti.

Meglio non pensarci.

Ma la pandemia ha disegnato una società diseguale: i garantiti da una parte, gli scuoiati dall’altra.

Bisogna infatti immaginare che i garantiti si facciano carico – naturalmente in base alle distinte possibilità – di solidarizzare con i nuovi fragili.

Ecco, Visco vuole punire i ricchi. Così diranno.

Si tratta di guardare in faccia la realtà. Nel dopoguerra si tassarono gli extra profitti. Noi dovremmo immaginare qualcosa di simile.

Una patrimoniale?

La si chiami come si vuole. Penso che debba essere bassa e allungata nel tempo.

Lo faremo?

Io chiedo: avremo la possibilità di non farlo?

Ma con Draghi le manovre correttive dovrebbero essere scongiurate.

Draghi ha un’eccellente reputazione guadagnata sul campo. Ma anche lui farà i conti con il Paese che siamo, con i numeri che abbiamo. L’uomo dei miracoli non esiste in natura sebbene si siano fatti enormi sforzi di fantasia. Penso ai vaccini.

Pensa ad Arcuri?

Dipinto come il male assoluto. Eppure ha fatto quel che doveva e poteva. Ci diceva che a settembre saremmo riusciti a venirne a capo e il nuovo commissario ci conferma che per l’autunno ne dovremmo venire a capo. Il piano c’era allora e c’è adesso, sono mancate le dosi e dunque abbiamo provato che è la realtà a indicarci i tempi e non la nostra fantasia.

Draghi fa il pane con la farina che ha.

Mi è piaciuta molto una definizione di Formica (ma non so se l’ha rubata a qualche altro): Draghi, non potendo contare su una maggioranza, si accontenta dell’unanimità.