Direzione Nazionale del 20 dicembre 2020, le conclusioni di Arturo Scotto

Politica e Primo piano

 

Cari compagne e compagne, intanto voglio ringraziarvi per la bella discussione di questa giornata.

Densa di passione, pienamente consapevole dell’equilibrio fragile che stiamo vivendo in queste ore.

Non si tratta genericamente di senso di responsabilità, ma della maturità di un gruppo dirigente che ha a cuore il destino del paese.

Prima di fare le mie brevi considerazioni conclusive voglio ricordare che siamo una comunità politica, un luogo di sentimenti prima ancora che un’esperienza di lotta comune.

E sento dunque il bisogno di ricordare alcuni dei compagni che ci hanno lasciato in questo maledetto 2020 e che hanno contribuito sin dal 2017 a fare in modo che Articolo Uno potesse nascere e radicarsi nel paese.

Penso a Emilio Russo, a Luigi Mariucci, a Luciano Guerzoni e a Francesco Nerli, che ci hanno lasciato prematuramente: alle loro famiglie va il cordoglio di tutti i nostri iscritti.

Non li dimenticheremo mai.

Condivido la relazione introduttiva di Roberto Speranza e lo ringrazio a nome di tutti per il lavoro difficilissimo di questo ultimo anno e mezzo: lo ha svolto con grande rigore etico, con disciplina e onore, mettendo davanti il paese e non gli interessi di parte.

Una bussola in questa lunga notte buia.

Proverò a stare, nelle conclusioni di questa giornata di lavori, su tre punti che mi sembrano essenziali: la verifica di Governo, Articolo Uno e la costituente di una nuova forza della sinistra democratica, il turno amministrativo della primavera prossima.

  • Siamo entrati in una verifica di Governo i cui esiti non sono affatto scontati. L’eterogeneità della nostra coalizione era nota sin dall’agosto del 2019, eppure all’indomani delle elezioni regionali di settembre scorso in molti avevamo scommesso sulla stabilizzazione del quadro politico. Il bombardamento di Matteo Renzi di queste giornate non va visto in maniera moralistica né come il colpo di testa di un matto irresponsabile. Non c’è dubbio che aprire la crisi in piena seconda ondata e con l’inizio della campagna vaccinale appare agli occhi dei più una follia. Un atto di irresponsabilità che espone l’Italia ancora una volta a una stagione di instabilità e con rischi concreti di ripresa crescente della destra.

Tuttavia, io credo che occorra politicizzare questo passaggio, non ridurlo esclusivamente alla cronaca retroscenistica delle scaramucce e dei posizionamenti.

Il punto è chi ha il bastone del comando in una stagione che sarà fortemente caratterizzata dalla ripresa degli investimenti pubblici, attraverso la leva del Recovery Fund.

Non è dunque un problema semplicemente amministrativo: le cabine di regia e la invocazione – condivisibile peraltro – di parlamentarizzazione appaiono prevalentemente una forma di  “intrattenimento del pubblico”.

Chi gestisce il Recovery può plasmare la società e l’economia italiana dei prossimi anni.

E, dunque, ricavarne anche il consenso che ne deriva.

Il tema è quale blocco sociale egemone uscirà con Next Generation Eu, quale alleanza tra mondo del lavoro e classi creative, quanta rendita e parassitismo saremo stati in grado di cancellare orientando la produzione verso la crescita sostenibile.

La larga parte degli investimenti destinati sul green saranno solo l’occasione per una pennellata di verde al capitalismo italiano oppure lo strumento attraverso cui vincere davvero la sfida dell’economia circolare, ripristinando un modello di società cooperativa e solidale?

Torna vecchio nodo: cosa produrre, come produrre, per chi produrre.

Stesso ragionamento vale per il digitale, che può essere l’occasione straordinaria per ridurre il divario drammatico che è emerso anche in questa pandemia, dove la Dad è stata la cartina di tornasole di fratture sociali antiche.

Le ingenti risorse per le politiche di inclusione ci riportano alla lettera alla suggestione che ci offriva Speranza nella relazione introduttiva: la centralità recuperata dei beni pubblici dà uno spazio gigantesco alle ragioni della sinistra, dopo anni di tagli al welfare, alle politiche di assistenza e di cura.

Da questo punto di vista, la programmazione di soli nove miliardi sul Recovery non ci convince, pensiamo che siano troppo pochi e non intendiamo arretrare rispetto a questo punto.

La pandemia ha scoperchiato la menzogna dei liberisti che hanno immaginato di poter tagliare sulla salute trattandola come una variabile dipendente del mercato.

Quel tempo è finito.

Dunque, il passaggio è tutt’altro che ordinario e lo sbocco della possibile crisi – quando Italia Viva anche oggi parla di assenza di fiducia nei confronti di Conte fa un deciso passo in avanti nella direzione dello show down – non può e non deve essere tecnocratico.

Noi difendiamo il perimetro politico e sociale dell’attuale coalizione: altre opzioni per noi sono da ritenere impercorribili.

E’ squadernato davanti a noi da settimane il tormentone Draghi, evocato a gran voce da un pezzo di media, sussurrato da Renzi nelle sue uscite quotidiane.

Abbiamo tutti da imparare da lui: dice l’ex premier.

Nessuno mette in discussione la qualità internazionale del suo profilo, la competenza e la conoscenza profonda del nostro paese.

Ma se la politica abdicasse a guidare questa fase saremmo davanti al compimento di un suicidio vero e proprio.

Se nel 2011 i tecnici furono chiamati per gestire i sacrifici, nel 2021 sarebbero chiamati per programmare gli investimenti.

Allora fu un errore, oggi sarebbe un doppio errore.

Una dichiarazione di impotenza che indebolirebbe ulteriormente la tenuta democratica e sociale del nostro paese.

Io penso che questa strada sia da evitare e lavoreremo nei prossimi giorni insieme – come ci chiede Michele Mognato, attraverso un raccordo permanente tra parlamentari e territorio – perché la verifica possa produrre un rilancio della azione di governo, orientandola verso scelte più robuste sul piano economico e sociale.

D’altra parte, come abbiamo visto in questi mesi, non tutto è stato facile: siamo l’unico Governo in Europa che ha tenuto fermo il blocco dei licenziamenti e la cassa Covid fino alla fine dello stato di emergenza. Non è stato un risultato scontato, abbiamo dovuto, anche grazie alla nostra azione, contenere un’offensiva neopadronale di Confindustria che chiedeva di togliere il blocco già alla vigilia dell’estate. Aggiungo l’avvio a soluzione di una crisi difficile come quella di Arcelor Mittal, con l’ingresso di Invitalia nel pacchetto societario, per evitare che anche la siderurgia scomparisse definitivamente dal nostro paese, privando il paese di un asset industriale strategico.

Sono dati che ci raccontano di un’esperienza dove le ragioni di una sinistra di governo trovano uno spazio di iniziativa importante, dopo la lunga stagione della disintermediazione e dello scontro con il mondo del lavoro.

Questo non significa che va tutto bene, occorre che si superi – come ha detto Speranza – la fase emergenziale e si passi dalla resistenza alla destra a un progetto di governo che abbia come perno un campo progressista stabilmente alleato con il Movimento Cinque Stelle.

Non è stato un’impresa semplice un anno e mezzo fa separare i due populismi e riportare l’Italia in asse con l’Europa.

Abbiamo fatto passi in avanti significativi e forse questo è il frutto più maturo dell’alleanza che governa il paese.

Il successo del Recovery è figlio di una impostazione nuova, che, pur in mezzo a una crisi epocale, ha consentito all’Italia e al suo Governo di tenere il punto, di condurre una trattativa con la schiena dritta e contribuire a superare l’impostazione rigorista degli ultimi anni.

Abbiamo tuttavia davanti alcune sfide tutt’altro che secondarie da vincere.

Ce lo ha ricordato molto bene Cecilia Guerra: dopo la fine dell’emergenza verranno al pettine alcuni nodi non rinviabili, dagli ammortizzatori sociali ad una legge finalizzata finalmente ad una rappresentanza effettiva del mondo del lavoro. Troppi sono ancora gli abusi sui contratti pirata, le false cooperativa ed altri abusi di un mercato del lavoro che va profondamente cambiato.

Stiamo lavorando per gennaio a un ciclo di iniziative da remoto su questi temi, in collegamento stretto con Cgil Cisl e Uil, con cui abbiamo acquisito una consuetudine nel nostro lavoro. Anche nella preparazione della legge di bilancio – ringrazio per questo soprattutto Federico Fornaro e i nostri parlamentari – insieme a Piero Latino abbiamo costruito molti appuntamenti di confronto e approfondimento, da cui sono scaturite alcune proposte per migliorare la manovra.

Insieme al nostro ufficio organizzazione e comunicazione con Elettra Pozzilli, Chiara Geloni e Giulia Colica coadiuvati dall’agenzia Tita abbiamo avviato una campagna informativa sui nostri obiettivi per la legge di bilancio, incluse misure che sono ormai patrimonio della nostra iniziativa pubblica e su cui torneremo nelle prossime settimane quali il contributo di solidarietà e la web tax.

Emergono altri due temi che dentro la verifica andranno espressi con forza. D’Attorre ci riportava alla realtà di un pezzo dell’accordo di Governo incredibilmente sparito dal tavolo come quello sulla legge elettorale di impianto proporzionale. Non devo ricordare qui i numeri che Fornaro ci ha descritto qualora precipitassimo al voto con il Rosatellum e il rischio di all-inn della destra nei collegi uninominali. L’ennesimo capolavoro autolesionista della sinistra italiano. Vogliamo che gli accordi vengano rispettati. Allo stesso tempo, si è riaperta una riflessione sul rapporto tra regioni e stato centrale, sulle degenerazioni prodotte da una frantumazione delle competenze e sulla moltiplicazione dei centri decisionali. Ci troviamo davanti a una sindacalizzazione del ruolo delle regioni che preoccupa, anche a causa di un presidenzialismo strisciante che va corretto, come propone Pierluigi Bersani. Con Roberta Agostini insedieremo un gruppo di lavoro per proporre proposte correttive, a partire da un no secco all’idea di un’autonomia differenziata che la Lega – e anche qualche settore del centrosinistra – porta avanti come ulteriore elemento di indebolimento del nostro tessuto unitario.

 

  • Questo lavoro non ha senso senza riprendere un’iniziativa di Articolo Uno che abbia come obiettivo la costruzione di quel grande soggetto della sinistra democratica che ancora non c’è. Lo ha detto molto onestamente Roberto nella relazione: “siamo stretti tra la consapevolezza dei nostri limiti e della nostra insufficienza e la debolezza politica e culturale dei nostri interlocutori”.

All’inizio di questo 2020 avevamo avviato – con la regia di Alfredo D’Attorre – un lavoro di interlocuzione seminariale con diversi attori politici e culturali per verificare le condizioni per avviare un processo costituente largo, che dal Pd di Nicola Zingaretti a esperienze come Coraggiosa, a pezzi della sinistra diffusa, politica e sociale, fino all’esperienza delle sardine, cominciasse a sperimentarsi sul territorio e nella società.

Nella direzione di luglio avevamo approvato all’unanimità un documento che richiamava la necessità di avviare rapidamente un appuntamento nazionale per la ricomposizione delle forze progressiste, anche in vista delle elezioni regionali.

Attorno a un paradigma nuovo che la pandemia ha squadernato in maniera ancora più forte: la chiusura del ciclo neoliberista, un nuovo equilibrio tra stato e mercato, la centralità della lotta alle diseguaglianze. Mettersi alle spalle gli anni della subalternità e avviare una stagione di rifondazione politica e culturale. Compito difficile che non richiede poche settimane e che non passa attraverso i diplomatismi tra stati maggiori. Non c’è un’ora X, siamo dentro un processo che non avrà tempi brevi e che difficilmente precipiterà prima della fine della fase più acuta della crisi sanitaria.

Eppure, io credo onestamente che la strada che abbiamo tracciato in questi mesi sia quella che vale la pena di percorrere per portare avanti le idee e l’impostazione che abbiamo avuto in questi anni.

Siamo nel tempo della semina, abbiamo bisogno di rendere più decifrabile il nostro profilo, persino di alzare il nostro livello conflittuale sulle idee e sulle proposte

Abbiamo deciso di non fare alcun atto unilaterale, ma – come ha detto Pippo Zappulla – una delle condizione perché questo processo arrivi a maturazione è che noi restiamo in piedi, lavoriamo sulla nostra identità, costruiamo un sistema di interlocuzioni politiche e sociali larghe.

Penso ad esempio a una piccola significativa battaglia che abbiamo spuntato, come quella dell’abrogazione dell’articolo 108 nella legge di bilancio, che avrebbe messo in seria difficoltà economica e fiscale quella straordinaria esperienza che in questo paese è rappresentata dall’Arci ma anche da larga parte dell’associazionismo cattolico.

Da Francesca Chiavacci ci è stato riconosciuto una continuità e un impegno che non tutti i soggetti, anche quelli più rappresentativi del nostro, hanno mostrato in questa fase.

Possiamo immaginare davvero, ad esempio, che una nuova grande forza della sinistra possa fare a meno del contributo dell’Arci, della Cgil e di tanti altri soggetti che da anni pagano il distacco della sinistra politica dalle loro battaglie e dagli interessi che rappresentano?

Ma possiamo immaginare che questi mondi oggi ritornino in sintonia con lo schieramento progressista se l’offerta politica organizzata, a cominciare dalla nostra, resta questa?

Il prossimo anno celebriamo il centenario della scissione di Livorno. Il Partito comunista del 21 era una sezione dell’Internazionale, la svolta di Togliatti nel 44 lo trasformò in una grande forza nazionale, costituzionale e democratica.

Una grande operazione – lo diciamo innanzitutto a quelli più grandi di noi – ha bisogno sicuramente di tempo, ma anche e soprattutto di un pensiero forte, della consapevolezza di chi vuoi rappresentare, di quale funzione vuoi svolgere per portare la società italiana fuori dalla crisi.

Una funzione storica da assolvere, insomma.

Altrimenti si finisce nelle maglie dei cartelli elettorali e sappiamo come è sempre andata a finire.

Nell’assemblea promossa da Italiani Europei denominata “il cantiere della sinistra” Massimo D’Alema ha ammonito tutti dicendo che una forza politica priva di un’ideologia, intesa come visione valoriale e culturale forte e duratura, non può reggere in un tempo così complesso e attraversato da sconvolgimenti geopolitici così profondi.

Dal canto suo, Goffredo Bettini, in un saggio sulla rivista che invito a leggere con attenzione, si interroga sulle forme della politica che devono tornare ad essere funzionali al conflitto sociale ( ripeto, conflitto sociale dopo che per anni anche a sinistra si era puntato tutto su un’idea di società armonica, dove la dialettica degli gli interessi in campo erano sostanzialmente orientati al principio della compatibilità e dell’equidistanza tra capitale e lavoro ) e meno piegate all’ansia di governismo. D’altra parte se guardiamo la storia recente, lo schieramento democratico e progressista, nel corso degli ultimi venticinque anni – talvolta anche senza passare per vittorie elettorali ) ha governato molto ed ha dovuto affrontare passaggi delicatissimi per la tenuta sociale del paese. Non sempre con risultati brillanti. Bettini rompe il tabù dell’inamovibilità del Pd e parla apertamente della necessità di dare vita a una nuova soggettività della sinistra italiana. Essa può dispiegarsi soltanto se tutti gli attori costituenti metteranno in campo pienamente e con generosità tutte le proprie energie, provando a mobilitare tutte le potenzialità.

Non mi sembra poco, pur sapendo che questa posizione non è in questo momento patrimonio dell’intero Pd.

Eppure ci dice che il quadro non è fermo.

Capisco le criticità espresse da Luca Pizzuto ed anche da altri compagni, che sottolineano l’esigenza di lavorare più su noi stessi piuttosto che metterci in un’eterna posizione di attesa.

Io non penso infatti che questo sia il tempo dell’attesa.

Noi non smobilitiamo, dobbiamo al contrario moltiplicare sul territorio e al centro la nostra iniziativa politica e sociale.

Abbiamo bisogno – come è stato detto nella relazione – di un grande appuntamento alla fine del mese di febbraio che sappia unire politica e cultura, che ci consenta di riconnetterci con le organizzazioni sociali in campo, che interloquisca con le forze che in Europa e nel mondo stanno delineando una stagione di ripresa della sinistra.

E che metta finalmente i piedi nel piatto del progetto che vogliamo portare avanti.

Ci serve come il pane definire la piattaforma ecosocialista con cui vogliamo promuovere questa sfida unitaria.

Esso deve essere preceduto da un lavoro sui territori, da un’iniziativa politica diffusa come ci chiede giustamente Porcari.

Propongo che immediatamente dopo Natale sia possibile riconvocarci insieme ai segretari regionali e ai dipartimenti per ragionare sui contenuti e sul cronoprogramma.

D’Attorre ne ha parlato come una “Fondamenta Atto II”: serve insomma una chiamata larga, provando anche a coinvolgere una nuova generazione di intellettuali e di attivisti, come abbiamo fatto a Milano qualche settimana definendo la nostra proposta per una area metropolitana ecologista e socialista.

Dunque, altro che mandare in naftalina la nostra esperienza politica. Il 2021 sarà l’anno della nostra quinta tessera, un traguardo su cui pochi avrebbero scommesso: dobbiamo convincere le persone ad aderire ad Articolo Uno sulla base di un profilo e di una prospettiva chiara.

Anche il 2XMille rappresenta una sfida tutt’altro che secondaria: nonostante tutto quest’anno abbiamo avuto segnali incoraggianti – che auspichiamo vengano confermati anche nei dati di fine anno – rispetto al numero di contribuzioni e alle risorse che i cittadini hanno voluto darci.

Non è un agenda semplice e noi sappiamo quanto sia complicato per una piccola forza stare sulla battuta politica quotidiana, organizzare il proprio profilo culturale, radicarsi sul territorio, far emergere novità, anche nei gruppi dirigenti.

E’ vero: siamo affaticati, stanchi, facciamo fatica a vedere la luce.

Talvolta abbiamo la sensazione di girare a vuoto.

Speranza ha fatto ricorso anche a un termine molto duro, ma sincero: frustrazione rispetto a uno sbocco che fatica a delinearsi.

Io aggiungo anche la consapevolezza di limiti culturali che dobbiamo assolutamente superare.

Ne è la prova la discussione bella e intensa di oggi, durata oltre sei ore, ma caratterizzata su circa 40 interventi, solamente dal contributo di due donne. Ripeto due, nonostante il nostro organismo sia paritario come prevede il nostro statuto. Questo rivela il fatto che anche noi, ahimè, siamo un pezzo della crisi della sinistra e dobbiamo essere pienamente consapevoli.

Non possiamo chiedere l’autocritica agli altri senza guardare in casa nostra.

Abbiamo indubbiamente bisogno di darci una registrata anche organizzativa per attraversare questa fase.

Lo hanno chiesto tutti e lo stesso Roberto ha aperto all’ipotesi di lavorare a un organismo di direzione più ristretto, unitario, più agile, meno informale.

Serve stare più in campo, ma anche usare di più quello che abbiamo già.

Ho trovato ad esempio molto stimolante la discussione organizzata dai compagni di Articolo Uno Belgio sulle prospettive dell’Europa, nella quale abbiamo appreso con gioia l’intenzione dell’eurodeputato Marc Tarabella dei socialisti belgi di prendere la tessera del nostro partito, e la richiesta di Filippo Giuffrida di non sottovalutare l’appuntamento delle elezione dei Comites che vedrà sei milioni di italiani andare al voto nei prossimi mesi.

Dobbiamo organizzare bene questo appuntamento.

Simone Bartoli fa un invito: ci servirebbe un giornale.

Siamo tutti orfani di qualcosa, anche di un quotidiano, ma forse se ci impegnassimo anche dal territorio a rendere un po’ più vivi i nostri canali di comunicazione – e persino se imparassimo ad attraversarli di più – con un piccolo sforzo raddoppieremmo la nostra capacità di parlare a un vasto numero di persone.

Abbiamo un sito – che è stato restaurato proprio in queste ore – che ha un magazine diretto da Chiara Geloni che vede scrivere quotidianamente tante belle esperienze e firme esterne al nostro perimetro.

Penso – e ve lo consiglio – alla recensione scritta da un prete bolognese, tra i più attivi nel circuito degli economisti di Francesco, Matteo Prodi sull’ultimo libro di Thomas Piketty.

Proviamo a implementare occasioni di questo tipo, ricongiungiamoci ad energie vive di cui il nostro territorio è ricco. Insomma, crediamoci di più.

Dobbiamo avere la testa di un partito di governo, ma il cuore di un movimento che sta dentro le pieghe nuove della società italiana ed è pienamente disposizione di una chiamata larga.

  • Questo è ancora più necessario ora che ci avviciniamo alle elezioni amministrative.

Bisogna investire sullo schieramento largo che governa il paese. Quando votano Napoli, Torino, Milano, Bologna e Roma stiamo parlando di un test dal forte valore nazionale: sono le ultime elezioni prima del 2023.

Le elezioni regionali ci hanno fatto tirare un sospiro di sollievo, il centrosinistra ha retto. Ma sono state anche elezioni dove ha prevalso il desiderio di stabilità e di continuità delle esperienze dei presidenti di regione durante la fase più acuta della pandemia.

Sono stati, insomma, espressione di un voto di stabilizzazione in alto ( sul governo ) in basso ( sulle regioni) ma non necessariamente di un investimento chiaro e duraturo sul centrosinistra.

Sarebbe un errore sederci su questi risultati e immaginare che tutto va bene.

Eppure in quel passaggio non siamo riusciti – ad eccezione della Liguria – a costruire una coalizione con i Cinque Stelle, molto spesso anche per rigidità e conservatorismi nostri.

Oggi non va sprecata questa occasione: come ci ha detto Nico Stumpo, dobbiamo sapere che il vecchio centrosinistra concepito come “l’altra metà del cielo” è definitivamente morto e c’è la fatica della costruzione di uno schieramento nuovo, che stia più sulla frontiera di movimenti civici nati anche contro e in competizione con le nostre esperienze di governo.

E’ il tentativo che dobbiamo dispiegare in queste settimane, a partire dalla prima sfida che abbiamo davanti: la Calabria.

Dunque noi lavoriamo a rinnovare questa alleanza tra centrosinistra e Cinque Stelle in tutte le realtà che andranno al voto: un anno e mezzo fa eravamo gli unici a dirlo, oggi la compagnia è diventata per fortuna più folta.

Con meno di questo – ha ragione chi lo ha sottolineato, a partire da Dinacci e Cantamessa – la sconfitta è possibile.

Teniamo conto che le aree metropolitane, persino per la loro configurazione produttiva e sociologica, sono quelle che stanno soffrendo maggiormente gli effetti della crisi sociale saldata con la crisi sanitaria. Essa ha ricadute visibili anche nei centri storici e in quella famosa Ztl dove siamo più radicati, avendo perso purtroppo peso e funzioni nelle periferie. Serve uno sforzo straordinario, serve un supplemento di politica nell’individuare personalità in grado di aprire un nuovo ciclo amministrativo progressista.

Noi saremo in campo, ma dobbiamo evitare l’arlecchinata delle ultime elezioni regionali. Abbiamo collezionato molti errori e non attribuisco responsabilità soltanto al territorio. Si è combattuto a mani nude e si è fatto quel che si poteva.

Sarebbe utile provare già da queste amministrative a sperimentare liste progressiste e unitarie aperte, l’embrione del soggetto politico a cui aspiriamo.

Sappiamo quanto sia difficile e le elezioni comunali purtroppo tendono a premiare la frammentazione all’interno delle coalizioni che concorrono per il governo delle città.

Allo stesso tempo, escludiamo nella maniera più assoluta la costruzione di cartelli elettorali che si sciolgano come neve al sole il giorno dopo il voto, perché portatori di prospettive diverse.

Non pensiamo siano utili né alla sinistra né alle comunità che vogliamo rappresentare. E non hanno ottenuto nemmeno risultati incoraggianti, come si è visto.

Dobbiamo, a partire da Articolo Uno, e dialogando con tutti coloro che sono interessati a rafforzare la prospettiva costituente, presentarci con liste fortemente connotate attorno a questo scopo, capaci di incrociare esperienze civiche progressiste e la spinta dei candidati sindaci unitari in campo.

Dobbiamo essere identificabili come portatori di un’innovazione, coinvolgere mondi esterni, incrociare quella domanda di mutualismo sociale su cui lavoriamo in alcuni territori molto bene ( e su cui dobbiamo riprendere un lavoro nazionale ), penso alla nostra casa del popolo di Carbonia. Paolo Fontanelli ci ha parlato dell’esperienza di Pisa, dove la candidatura di Paolo Malacarne, ha portato la nostra lista a superare il dieci per cento, perché è scattato attorno a noi un entusiasmo per aver incrociato un pezzo della sinistra sociale diffusa, capace di coniugare la battaglia per la sanità pubblica con il volontariato laico e cattolico.

Credo che queste siano le tracce che dobbiamo seguire, tenendo le porte sempre spalancate verso il nuovo: non possiamo fallire questa volta la sfida della rappresentanza nelle grandi città.

La prossima settimana continueremo il tavolo con le nostre federazioni nelle grandi città, auspichiamo nonostante siano già trascorsi due mesi, che si dia seguito alla richiesta da noi avanzata, anche attraverso una lettera formale, di un tavolo formale di tutte le forze sulle grandi città e sulla Calabria.

Siamo una piccola forza e abbiamo a cuore il destino della sinistra italiana, ci stupisce tuttavia l’approssimazione, per essere generosi, dei nostri alleati rispetto a una sfida così difficile.

Serve dunque una cabina di regia nazionale, rispettosa dell’autonomia dei territori, ma che consenta di aprire davvero una nuova fase politica per la coalizione di governo.

 

Questo è il lavoro che ci è davanti. Un’agenda densissima. Ci giochiamo molto in questi prossimi sei mesi. Innanzitutto la possibilità di restituire a questo paese una sinistra degna di questo nome. E la nostra esperienza sarà protagonista. Siamo molto più centrali di quello che immaginiamo, grazie anche al lavoro che fanno quotidianamente Speranza, Guerra, i nostri parlamentari, i nostri amministratori spesso in solitudine.

Io sono ottimista.