Scotto: Nizza e il ruolo di Erdogan, testa d’ariete di un Islam radicalizzato

Esteri e Primo piano

Pubblicato da Globalist.it

di Arturo Scotto

Se uccidono per colpa di una vignetta significa che hanno paura. Perché quando la satira mette a nudo qualsiasi forma di potere – quello religioso come quello temporale, quello politico come quello economico –  vuol dire che la democrazia è in salute. Che ha ancora degli anticorpi sani. E i fascisti islamici – tali vanno chiamati – hanno paura della satira.

Perché irride i pregiudizi, perché smonta le casematte della superstizione, perché bonifica i giacimenti d’odio, perché fa crollare le impalcature ideologiche degli spacciatori di integralismo.

La Francia laica e repubblicana è oggettivamente sotto attacco. E con lei alcuni capisaldi della civiltà democratica: la libertà di stampa innanzitutto.

Erdogan prova a soffiare sul fuoco, a investire sullo scontro di civiltà: vuole ergersi a paladino del mondo sunnita, imporsi come leadership militare, economica e morale di un’intera area del globo. Con una lettura dell’Islam sempre più fondamentalista, arcaica, autoritaria. Ha trasformato il volto della Turchia, messo in discussione la laicità dello stato, annichilito le minoranze, aperto una nuova stagione di colonialismo regionale, dal Mediterraneo al Caucaso. Ha redistribuito i tagliagole dell’Isis – con cui ha cinguettato nel corso degli ultimi anni – tra la Libia e il Nagorno Karabakh, passando per la Rojava. Lo ha fatto lui, il Presidente di un paese che è il secondo esercito della Nato, non Al Baghdadi.

Va detto chiaro e tondo che Erdogan sta giocando con i decapitatori e i lupi solitari, sta puntando a raccogliere i frutti politici di quella follia omicida, sta giustificando l’ingiustificabile, sta lavorando sulla destabilizzazione delle nostre democrazie.

Ieri l’orribile decapitazione dell’insegnante Samuel Paty a pochi chilometri da Parigi, oggi i tre morti nella Chiesa di Notre Dame a Nizza. Il bollettino terribile di una scia di sangue sempre più inquietante e che non sembra fermarsi nemmeno con il lockdown.

Il caso Erdogan non è più una questione che riguarda una ristretta schiera dei militanti per i diritti umani, che hanno provato ad accendere i riflettori – spesso nel silenzio colpevole e complice dei grandi mass-media occidentali –  sugli arresti dei giornalisti, degli attivisti, dei deputati, dei sindacalisti, dei magistrati dopo il golpe del 2016. Qui siamo davanti a una grande partita geopolitica, dove a parlare non sono solo le armi.

La Turchia vuole diventare una potenza egemonica, la testa di ariete di un Islam radicalizzato. Per combatterlo serve la politica, la capacità di spegnere gli incendi, di ricostruire una visione per il Medio Oriente, di non concedere alibi a chi strumentalizza l’umiliazione di popoli come quello palestinese.

Va fatto ora, con un sussulto dell’Europa innanzitutto, perché i fatti francesi ci dicono che c’è un conflitto nel mondo islamico fortissimo, tra chi lo vuole portare indietro e chi pensa che la strada siano la libertà la giustizia e la convivenza. Possiamo lasciare questa partita solo alla solitudine di Charlie Hebdo?