Guerra: il Recovery plan è la grande occasione per il tempo delle donne

Politica e Primo piano

Pubblicato su Il Fatto quotidiano

di Maria Cecilia Guerra

Il Recovery plan è una occasione da non perdere per aggredire le profonde diseguaglianze di genere che caratterizzano il nostro paese, rese evidenti dall’insieme dei 125 indicatori analizzati nel Bilancio di genere, predisposto dal Ministero dell’economia e allegato al bilancio consuntivo dello Stato relativo al 2019. Il quadro è particolarmente impressionante per quanto riguarda i divari di genere nel campo del lavoro. L’EU Gender Equality Index, calcolato dall’European Institute for Gender Equality (EIGE), ci dice che, sotto questo profilo, se si considerano insieme gli aspetti relativi alla partecipazione al mercato del lavoro e alle condizioni occupazionali, l’Italia è all’ultimo posto in Europa.

Gli indicatori generali sono già piuttosto deprimenti, a partire dal tasso di occupazione femminile che, nel 2019, pre pandemia, aveva faticosamente raggiunto il 50,1%, con una distanza di 18 punti percentuali rispetto a quello maschile e con divari territoriali amplissimi (al Sud lavora una donna su tre). Ma i dati più drammatici riguardano le giovani donne. Per loro, avere figli, e ancora peggio figli in età prescolare, rappresenta una vera e propria condanna. Un dato su tutti: il 31,5% delle donne fra i 25 e i 49 anni che sono senza lavoro non cerca o non è disponibile a lavorare per motivi legati a maternità o cura (nel caso degli uomini questo è vero nel solo 1,6% dei casi). Tali percentuali salgono al 65% per le madri di bambini fino a 5 anni di età, contro il 6,5% per i padri. Sono le donne a incontrarsi con la necessità di rivedere l’organizzazione del proprio lavoro a fronte della nascita di un figlio, e sono sempre loro a ricorrere più frequentemente alle dimissioni volontarie per motivi legati alla famiglia. Per non parlare di quello che le statistiche non dicono: per quante donne l’essere rimasta incinta o avere avuto un figlio ha comportato il mancato rinnovo del lavoro a termine con cui la maggioranza dei nostri giovani è ormai costretta a iniziare la propria carriera?

Come si esce da questa situazione? Bisogna innanzitutto capire che, per quanto necessari, gli aiuti economici, come l’assegno unico cui pure meritoriamente il governo sta lavorando, non sono assolutamente sufficienti. Alle donne manca il tempo. Neppure lo smart working aiuterà a risolvere il problema di conciliare il lavoro retribuito e quello, non retribuito, che si deve dedicare alla cura dei figli e della casa (che nel nostro paese resta ancora appannaggio delle donne). Bisogna infatti capire che non è possibile, nella stessa unità di tempo, lavorare per l’ufficio e accudire un figlio.

La via di uscita è l’ampliamento dell’offerta dei servizi – asili nido, scuola a tempo pieno, servizi di pre e post scuola – rispetto ai quali il nostro paese è caratterizzato da una carenza strutturale e da una distribuzione fortemente disomogenea sul territorio nazionale (con ben tre regioni in cui meno di un bambino su dieci accede a un asilo nido).

Potenziare gli asili nido permette di conseguire un doppio obiettivo per l’occupazione femminile: libera tempo che le donne possono dedicare al lavoro e attiva occupazione femminile, perché sono in larghissima prevalenza le donne a lavorare nei servizi per l’infanzia. Ma gli asili nido sono importanti anche perché permettono di ridurre i forti divari di opportunità di cura ed educazione che caratterizzano il nostro Paese e che contribuiscono in maniera decisiva a perpetuare le disuguaglianze sociali, economiche e territoriali.

Il governo ha investito sulla costruzione di asili nido (e di scuole per l’infanzia) fin dalla sua prima legge di bilancio, prevedendo un finanziamento di 2,5 miliardi distribuito fra il 2020 e il 2034. Una componente rilevante del Recovery fund sarà destinata alle infrastrutture sociali e fra queste, in primo luogo, agli asili nido. È importante però che alla spesa di investimento, assolutamente necessaria, si affianchi un sostegno adeguato ai comuni per sostenere le successive spese di gestione. Non è sufficiente costruire l’asilo se poi non ci sono fondi per pagare le educatrici che ci devono lavorare.  Per questo ho ottenuto che nella legge di bilancio ci sia un fondo, prevalentemente diretto ai comuni che sono più indietro nell’offerta di questi servizi, per finanziare la gestione degli asili, e che potrà essere utilizzato solo a fronte di un reale incremento dei posti offerti all’utenza.

Per quanto la cura dell’infanzia sia al cuore del problema della scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro, non bisogna fermarsi qui. È necessario che il governo si impegni anche per altri importanti servizi di welfare che, al pari degli asili, sono in grado di ridurre l’onere di cura che grava sulle donne e di favorirne l’occupazione nei servizi, fornendo al tempo stesso risposte adeguate alla qualità della vita di tante persone che necessitano di cure. Mi riferisco al potenziamento della rete di assistenza domiciliare, al fine di permettere di aiutare a casa propria, senza ricorrere a forme non necessarie di istituzionalizzazione, quando non di ospedalizzazione, gli anziani non autosufficienti che hanno prevalentemente bisogno di essere aiutati a compiere gli atti della vita quotidiana: lavarsi, vestirsi, mangiare.

Allo stesso modo, bisogna investire su politiche che favoriscano la vita indipendente delle persone con grave disabilità, ad esempio con la costruzione di alloggi che utilizzino tecnologie innovative per superare le barriere fisiche, sensoriali e cognitive che ne rendono difficile l’autonomia.

Più in generale, occorre passare dalla logica del finanziamento di singoli progetti, disponibili a macchia di leopardo sul territorio nazionale, all’impostazione di veri programmi di riforma. Se si compie questo salto di qualità, il Recovery Plan potrà essere davvero una grande occasione, non solo per la partecipazione al mercato del lavoro delle donne, ma anche per la modernizzazione del nostro welfare. Due obiettivi, come si è detto, strettamente legati.