Pubblicato su Domani
di Vincenzo Visco
È generalmente riconosciuto che i paesi orientali abbiano gestito con maggiore efficienza e capacità la crisi epidemica, riuscendo non solo a limitare i danni alla popolazione e i costi sanitari, ma anche a evitare conseguenze economiche particolarmente negative. Ciò è dipeso da vari fattori tra cui l’esperienza acquisita con la precedente epidemia Sars, ma soprattutto l’utilizzo di meccanismi di tracciamento sistematici, pervasivi e continuativi dei contagiati. Questo è l’approccio che si sta tentando di adottare anche in Italia e negli altri paesi europei, con risultati finora deludenti, sia per motivi organizzativi sia per l’impossibilità (politica?) di intervenire in maniera incisiva sui comportamenti individuali.
La tutela della privacy
La questione della tutela della privacy è stata infatti al centro del dibattito, come se di fronte al pericolo di restare vittime del virus fosse poi così importante per i cittadini non far conoscere alle autorità sanitarie (e non al ministro dell’Interno) i loro spostamenti e le loro frequentazioni. Si è prodotta così l’applicazione Immuni scaricabile su base volontaria e con una tecnologia limitatamente efficace, mentre sarebbe stato, e sarebbe, necessario un tracciamento obbligatorio di tutti i cittadini a rischio, pur senza arrivare al riconoscimento facciale e ad altri interventi inutilmente invasivi adottati altrove. Abbiamo così compromesso fin dall’inizio la possibilità di un contrasto efficace e tempestivo della pandemia.
È stato detto che esistono delle differenze storiche, culturali e legislative che impediscono interventi di questo tipo nelle democrazie liberali, mentre sarebbero tollerate in altri contesti. Boris Johnson si è spinto a dire che i metodi seguiti in Italia e Germania non sarebbero stati tollerati nel suo paese, troppo affezionato alla libertà. E questo è stato in realtà uno dei punti fondamentali della posizione delle destre politiche in tutto il mondo durante la pandemia.
Libertà e interesse collettivo
È proprio su questo aspetto che è necessaria una riflessione relativa al rapporto tra libertà individuale e interesse collettivo e al loro equilibrio nelle nostre società. Il rischio che l’individualismo prevalente, la sfiducia preconcetta nelle istituzioni pubbliche, la retorica antistatalista determinino danni sociali (ed economici) molto seri è infatti del tutto evidente. La tutela della privacy è un elemento fondamentale di ogni sistema politico basato sulle regole liberal democratiche, ma anche in questi sistemi occorre chiarire quali sono i limiti che l’interesse collettivo può porre a quelli individuali (o presunti tali).
Del resto è evidente che la funzione tradizionale delle Autorità garanti della privacy andrebbe attentamente riconsiderata nel momento in cui i nostri dati personali vengono liberamente utilizzati senza controllo dalle grandi società del web sulla base di consensi per lo più forniti in modo inconsapevole, se non estorti. In questa situazione i Garanti della privacy tendono a concentrarsi soprattutto sulla tutela dei cittadini nei confronti dello Stato e delle autorità pubbliche in generale. Non c’è dubbio che in tale attività il nostro Garante si è sistematicamente distinto negli ultimi anni.
Uno dei primi interventi della Privacy dopo la sua costituzione fu infatti quello di oscurare il sito del Consiglio di Stato perché pubblicava le proprie sentenze, provocando la rivolta degli avvocati (gli utenti principali delle sentenze stesse) ed essere costretta a una rapida marcia indietro perché la pubblicazione era in realtà prevista dalla legge. Più recentemente il Garante ha deciso di interferire e bloccare i lavori dell’Istat; è intervenuto a ostacolare le attività di ricerca scientifica da parte delle Università e della Banca d’Italia; ha bloccato una procedura dell’Inps sulle assenze dal lavoro per assenteismo; e soprattutto si è impegnato interferendo, limitando, ritardando o impedendo sistematicamente l’attività di contrasto all’evasione fiscale dell’Agenzia delle Entrate.
Si tratta di interventi sicuramente ispirati dalle migliori intenzioni, ma in contrasto con importanti esigenze collettive e spesso con il buon senso. Appare evidente, in conclusione, che ruolo, funzioni e comportamenti concreti del Garante dovrebbero essere oggetto di un’analisi critica e autocritica anche alla luce della vicenda della pandemia.