Speranza: testiamoci reciprocamente negli aeroporti

Politica e Primo piano

Intervista a Huffington Post

di Alessandro De Angelis

Ministro Speranza, lei ha detto “mai più lockdown”. In Francia Macron non lo ha escluso, la Merkel ha parlato alla nazione avvertendo che saranno mesi difficili. Conferma il “mai più” o dipende dall’andamento dei contagi?

Concordo che non saranno mesi facili. Ma penso che l’Italia oggi sia messa meglio degli altri paesi europei. E questo è oggettivo, lo dicono i numeri: il tasso di incidenza del virus è più basso rispetto altri grandi paesi europei come Francia, Spagna e Germania, grazie al lockdown duro che abbiamo realizzato e al comportamento seguito delle persone. Questo non significa che siamo fuori dall’emergenza e c’è ancora bisogno di un livello alto di attenzione. Siamo fuori dalla tempesta, ma non in un porto sicuro. Alla luce di queste considerazioni, escludo l’ipotesi di un nuovo lockdown, anche perché siamo più attrezzati rispetto a qualche mese fa.

Si riferisce alla consapevolezza delle persone, su cui si potrebbe aprire un dibattito.

Mi riferisco innanzitutto al nostro servizio sanitario nazionale, che si è molto rafforzato. Abbiamo investito più in cinque mesi che in cinque anni e l’esperienza ha reso più bravi i nostri medici, i nostri infermieri, i nostri professionisti sanitari. Aggiungo un altro elemento: anche dove ci sono molti più casi che in Italia, la ricaduta in termini di pressione sul servizio sanitario nazionale è limitata, perché la media di età si è abbassata. È chiaro che l’effetto del virus sui trentenni è diverso.

Finora il numero dei ricoveri è ovunque sotto controllo, anche se i contagi sono in crescita, ma che succede se si raggiunge di nuovo un livello di guardia in alcune zone? Prevedete dei lockdown mirati?

Abbiamo un sistema di monitoraggio costruito con l’Iss e le regioni molto attento, costruito attorno a 21 criteri, alcuni dei quali connessi al livello di ospedalizzazione. Al momento in nessuna area d’Italia si riscontrano difficoltà tali da giustificare lockdown territoriali, ma è altrettanto chiaro che dobbiamo essere pronti a intervenire ove necessario. Questo ci hanno insegnato gli ultimi mesi.

Il ministro Lamorgese parlò di tamponi da fare a tutti i migranti che sbarcano. Prevedete una misura analoga anche per i cittadini europei che arrivano?

Approfitto della domanda per rendere pubblica una proposta che ho avanzato nelle ultime ore ai ministri di Francia, Germania e Spagna. E che discuteremo in un prossimo vertice il 4 settembre. La spiego: adesso, ogni volta che si adottano misure nei confronti di un altro paese vengono lette come un atto ostile.

Non ho capito, si offendono per i tamponi?

Tamponi all’arrivo, divieto di accesso e transito, obbligo di quarantena. Quando prendi una misura del genere, il paese coinvolto attualmente lo vive in maniera poco friendly. Io dico: visto che dobbiamo convivere col virus per svariati mesi, lavoriamo sulla reciprocità delle misure e tra grandi paesi europei diamo il buon esempio. Facciamoci i i test reciprocamente a partire dagli aeroporti. Cioè: se uno dall’Italia va a Madrid o Parigi, viene testato all’arrivo e così uno che dalla Spagna o dalla Francia arriva in Italia. Chiaramente la misura va attuata a tutti i cittadini, indipendentemente dalla nazionalità.

Controlliamoci tutti, dice lei.

Esatto, far diventare normalità ciò che stiamo facendo da dieci giorni con successo rispetto ad alcuni paesi. Questo ci consente di tenere aperti i confini con maggiore serenità. Proprio perché ci muoviamo dentro un orizzonte non di ritorno al lockdown, ma di convivenza col virus, dobbiamo sapere che la convivenza ha bisogno di strumenti concreti.

Ministro, a pochi giorni dall’inizio della scuola, c’è ancora grande confusione sulle modalità del rientro: aule che mancano, insegnanti che forse non bastano, regioni disallineate. Non pensa che siamo di fronte a un clamoroso ritardo, aggravato dal fatto che siamo il paese che le ha chiuse per primo, e dunque c’era tutto il tempo per pensarci?

Sapevamo che non sarebbe stato facile. E anche altri paesi come Francia, Germania o Israele hanno registrato delle difficoltà. Mettere in moto dieci milioni di persone comporta rischi che dobbiamo gestire e nessuno ha la bacchetta magica per risolvere in un minuto i problemi storici della scuola italiana, che ci sono da molto prima del Covid, dal deficit di personale, alle classi con troppo allievi.

È da marzo… Un tempo congruo per decidere. Domani lei co-presiederà una conferenza dell’Oms proprio sulla scuola. Cosa dirà della confusione che c’è in Italia?

Nessuna confusione. Vorrei trasmettere un messaggio di serenità: le scuole riapriranno il 7 a Bolzano, il 14 nella maggioranza delle regioni e il 24 in altre. Abbiamo messo ingenti risorse, i protocolli per riaprire in sicurezza sono pronti. Questa, per me, è la vera fine del lockdown.

Lei dice: chi apre il 7, chi il 14, chi il 24. È accettabile per il governo che alcune regioni posticipino il rientro in modo discrezionale?

Le regioni del Sud hanno sempre avviato le scuole con un po’ di ritardo anche per ragioni di carattere climatico, quindi non mi scandalizzo, l’autonomia lo consente. Con loro stiamo lavorando costantemente. Venerdì all’unanimità in conferenza unificata con Comuni e Province, oltre che con le Regioni abbiamo approvato le linee guida sulla gestione dei casi e focolai Covid. Queste regole saranno vigenti in tutta Italia, da Bolzano alla Sicilia.

Scusi se insisto. Ma questo “federalismo virale” è un tratto costante della crisi sin dall’inizio: sulle chiusure, sulle discoteche, sui migranti, ora sulle scuole. È solo l’effetto della campagna per le regionali oppure questo è dovuto all’incertezza decisionale del governo a livello centrale?

Il governo ha le idee chiare e una linea da sempre costruita sulla priorità del diritto alla salute. Io non voglio pensare alla campagna elettorale di qualcuno perché la gestione dell’emergenza è questione troppo delicata. In questi mesi il mio giudizio è che abbiamo lavorato bene insieme. Dal 16 maggio le regioni possono attuare misure non solo più restrittive, ma anche meno restrittive. Per questo ad esempio alcune hanno riaperto le discoteche che il governo aveva lasciato chiuse.

Torniamo ai nodi da sciogliere, in vista delle riaperture. I trasporti. C’è una discussione attorno alle modalità con cui saranno riempiti mezzi di trasporto pubblici e scuolabus. Riesce a darci qualche certezza?

Sui trasporti c’è una preoccupazione dei territori che temono che le norme finora vigenti siano troppo stringenti rispetto alla necessità della ripartenza. Il Cts ha offerto un ventaglio di soluzioni possibili per risolvere il tema, tra cui il riempimento fino al 75 per cento. Penso che si possa arrivare a una soluzione condivisa.

Non si è capito nemmeno come saranno gestiti eventuali focolai nelle scuole. Il Cts dice: se uno è positivo in una classe, sta a casa tutta la classe. E gli insegnanti? Come funziona? I presidi decidono?

Il cuore del documento approvato all’unanimità di cui le dicevo è un nuovo rapporto organico tra servizio sanitario nazionale e sistema scolastico. Nel caso di un positivo, studente o insegnante, la valutazione viene fatta dal dipartimento di prevenzione, a partire dal contact tracing. Così si decide come intervenire: tamponi, quarantena, eccetera. È chiaro che con un solo caso non si chiude la scuola.

Dunque nessun automatismo. Decide il dipartimento di prevenzione a seconda dei casi.

Esatto. È un lavoro sanitario. Non lasceremo soli insegnanti e docenti.

E sulle mascherine? Anche Galli dice che, per un bambino, è difficile stare con la mascherina a scuola per un numero prolungato di ore.

La mascherina, e noi siamo l’unico Paese che ne garantisce a studenti e personale oltre dieci milioni al giorno, è obbligatoria, oltre i 6 anni, per andare a scuola, e va tenuta nei momenti di ingresso, uscita e ogni volta ci può essere rischio di stare sotto la distanza di un metro. Al banco, dove c’è un metro di distanza, si può togliere.

Crisanti sostiene che il modo per mantenere sicure le scuole non sono tanto le mascherine ma i tamponi di massa. Non era meglio investire tutto in controlli di massa per le scuole, invece che spendere tre miliardi sui banchi?

Le due cose non sono in contrapposizione. Se questa è l’occasione di avere i banchi nuovi che non siano quelli dei nostri nonni, noi siamo contenti, poi è chiaro che i test sono fondamentali e, segnalo, siamo arrivati a 100mila test al giorno.

Ministro, di tutto si parla tranne che del Mes. Non sarebbe logico utilizzarlo ad esempio per aprire presidi sanitari nelle scuole, negli uffici pubblici e nelle fabbriche?

Io penso che ogni euro che si mette sulla salute è sacrosanto. Il nostro piano è pronto per utilizzare i finanziamenti europei, Mes compreso. L’importante per me è che i soldi arrivino: dal bilancio dello Stato, dal Recovery o dal Mes. Quello che per me non è accettabile è dire: non c’è il Mes, non ci sono risorse.

C’è una gigantesca ipocrisia sul tema. Abbiamo preso il fondo Sure, 27 miliardi di prestiti. Perché non dite che quei soldi sono come i 35 del Mes e che il prestito del Mes costa meno del Recovery fund?

Io eviterei qualsiasi battaglia ideologica. A me pare ragionevole utilizzare il Mes, ma non dico “o Mes o nulla”. Il servizio sanitario nazionale ha bisogno di una stagione straordinaria di investimenti, discorso che facevo già prima del Covid. Ricordo che dal primo settembre non si pagherà più il superticket, ed è stata una delle prime misure per cui mi sono battuto.

Il tema delle risorse riguarda anche il modo in cui si affronterà il delicato passaggio autunnale con l’arrivo dell’influenza stagionale. Inevitabilmente saranno presi d’assalto ambulatori e medici di base. Come pensa di potenziare gli strumenti di prevenzione o cura?

Non c’è dubbio, sarà un autunno impegnativo. Stiamo lavorando a una grande campagna sulle vaccinazioni ordinarie. Le regioni hanno di molto rafforzato la capacità di offerta del vaccino. Essendo i sintomi simili, sarà fondamentale avere più persone vaccinate possibile, per abbassare la pressione sulle strutture sanitarie.

Ultima domanda: quando ci sarà, il vaccino, sarà obbligatorio o avrete il problema dei “no vax” come lo avete dei “no Mes”?

L’obiettivo di oggi è avere il vaccino nel più breve tempo possibile. E quando arriverà purtroppo non sarà disponibile per tutti immediatamente. Dovremo scegliere da chi partire. Per questo il problema non si pone come lo solleva lei. Partiremo dagli operatori sanitari, dai soggetti più fragili, dagli anziani con altre patologie.