Speranza: sono un ministro novecentesco, i sondaggi? Li trovo eccessivi…

Politica e Primo piano

Intervista a Il Venerdì

di Gad Lerner

Un venerdì mattina dello scorso novembre, quando ancora eravamo liberi di viaggiare e io stavo volando a Lampedusa, mi arrivò il seguente messaggio whatsapp dal ministro della Salute, Roberto Speranza: “Gad, in un mese e mezzo abbiamo abolito il superticket, messo due miliardi in più sul fondo sanitario (non accadeva da anni) e due miliardi in più su edilizia sanitaria e nuove tecnologie. Questo avviene perché finalmente alla salute c’è un ministro di sinistra che fa sentire la sua voce anche al tavolo politico”. Non mi aspettavo certo che il ministro gradisse la critica che nella rubrica L’Infedele avevo rivolto a LeU, il suo partito – perché mandate al governo un politico tradizionale come Speranza, anziché puntare sul rinnovamento? – e di fronte al garbo di quella replica cercai di minimizzare con una frase di circostanza: “Credevo di aver resa chiara la premessa di stima personale…”. Al che lui, con impeccabile aplomb: “Certo. E lo apprezzo. Segnalo solo che i risultati ottenuti sono proprio figli della funzione politica!”.

Imperturbabile, non si era lasciato sfuggire nulla più di un punto esclamativo con quella sua flemma che credevo fosse solo lucana di Potenza e che ora scopro essere di matrice british. Con quel punto esclamativo Speranza voleva farmi notare a cosa serve il tanto vilipeso professionismo politico: nella sua veste di capodelegazione di un partito di governo aveva strappato più fondi nella legge di bilancio a favore della sanità pubblica.

Solo che poi è scoppiata la bufera mondiale del Covid 19, che ha sconvolto la sua esistenza e ne ha ingigantito la responsabilità. Roba da non dormirci di notte, o da montarsi la testa, a seconda della personalità che hai. Ora che Roberto Speranza viene collocato dai sondaggi in vetta agli indici di gradimento fra i leader politici, davanti alla Meloni, lui resta incredulo e li definisce “eccessivi”. Si schernisce: “Vivo con disagio questo genere di classifiche. Penserete che sono novecentesco, ma rifuggo la comunicazione esagerata e resto parsimonioso nell’utilizzo dei social”.

Inutile tentare di estirpargli dichiarazioni polemiche, chiedendogli un paragone tra i suoi modi e le quotidiane esibizioni in conferenza stampa dell’assessore alla Sanità della Regione Lombardia Giulio Gallera: “Abbiamo stili diversi e io rispetto il suo. Ho giurato sulla Costituzione e, pur essendo un uomo di sinistra, un politico appassionatamente di parte, da ministro rispondo all’insieme dei cittadini del mio Paese. Prima di istituire la zona rossa di Codogno ho telefonato a Salvini, Meloni e Berlusconi. Con Meloni e Berlusconi la relazione è stata immediata. Con Salvini ho incontrato qualche difficoltà in più, ma in seguito pure lui si è abituato a cercarmi, e ora c’è dialogo. In ogni caso, non amo la politica che alimenta il rumore di fondo. L’idea che un leader per essere tale debba piazzare una frase a pranzo e a cena in ogni tiggì mi resta estranea”.

Cerco di indagare come la pandemia abbia cambiato la vita del ministro della Salute, un uomo di 41 anni che aveva bruciato le tappe della carriera da enfant prodige della politica: nominato capogruppo del Pd di Bersani non appena entrato alla Camera nel 2013; poi, sempre al fianco di Bersani (e D’Alema), protagonista della scissione di quel partito nel 2017, quando si erano convinti che Matteo Renzi, nonostante la sconfitta nel referendum, non avrebbe mollato la presa sul partito. Ma non è facile. Mi trovo di fronte il ragazzo d’altri tempi che ha sposato la donna con cui si era fidanzato quando lui aveva 16 anni e lei 14. “Certo, la pandemia è l’esperienza più drammatica della mia vita. La potenza degli avvenimenti mi sovrasta. Ho sempre negli occhi le immagini delle bare che lasciano Bergamo a bordo dei camion militari, ma anche le fosse comuni di New York. Non credo la nostra generazione possa conoscere un trauma peggiore”.

Riesce a dirmi qualcosa di più personale?

“Vivo lo sviluppo degli eventi ventiquattr’ore su ventiquattro al ministero, senza sabati né domeniche. Anche se torno a casa di notte, di fatto ho smesso di frequentare mia moglie Rosangela e i miei due figli, Michele Simon di 9 anni e Emma Iris che fra poco ne avrà 7. Per fortuna l’appartamento ha due bagni e, per precauzione, visto che incontro tanta gente, abbiamo deciso di riservarne uno solo a me. Mio padre vive a Potenza, la nostra città, e l’ho visto l’ultima volta a Capodanno. Da allora mai più, e ciò mi pesa. Ma poi mi dico che io almeno un padre ce l’ho ancora, ho la speranza di riabbracciarlo. E poi ci sono i bambini, la gioia della mia vita, costretti a fare le conference call con me, con tanta nostalgia dei loro compagni e tanta ansia per il lavoro del papà. Non potranno dimenticare quel che succede”.

C’è stato un momento preciso in cui si è reso conto della catastrofe in arrivo?

“Direi che i momenti sono almeno tre. Quando ho visto arrivare dalla Cina le immagini della chiusura di Wuhan, subito ho riunito la task force del ministero. Renderò pubblica la lettera, protocollata, inviata il 28 gennaio alla commissaria Ue per la Salute, Stella Kyriakides, in cui le chiedevo una conferenza urgente dei ministri dell’Unione”.

Ma a quel punto in Italia si erano già accertati i primi casi di coronavirus… 

“È vero. Fu un brutto colpo la telefonata di Peppe Ippolito, direttore dello Spallanzani, che mi avvertiva dei due cinesi trovati positivi. Era il 30 gennaio. Ho chiamato l’assessore regionale del Lazio, Alessio D’Amato, e poi subito il presidente Conte. L’indomani, 31 gennaio, il governo ha decretato lo stato d’emergenza. Le date sono importanti: lo abbiamo fatto in contemporanea con l’emergenza globale dichiarata da Tedros Adhanom, direttore dell’Oms”.

E il terzo momento?

“È l’inizio della fase nera. La sera tardi del 20 febbraio, ero da poco rientrato a casa, mi telefona da Milano l’assessore Gallera: si registrano dei positivi a Codogno. La mattina dopo vado in Protezione civile; poi, insieme a Silvio Brusaferro dell’Istituto superiore di Sanità e a Angelo Borrelli, voliamo in Lombardia”.

Bloccare i voli diretti con la Cina non è stato un errore? 

“Dovevamo arrestare un flusso di arrivi dalla Cina di 60mila persone a settimana. Non gestibile. Negli altri Paesi hanno provveduto le compagnie di bandiera, noi lo abbiamo fatto come governo. E in ogni caso ora sappiamo che il virus già circolava in Italia”.

Ministro Speranza, lei è laureato in Scienze politiche con indirizzo storico. Suppongo fosse del tutto digiuno di virus e di epidemie. Qualcuno le ha fatto un corso accelerato? 

“Intanto mi faccia dire che la sanità da sempre è stata la mia passione. Considero l’articolo 32 della Costituzione, quello in cui si dice che “vanno garantite cure gratuite agli indigenti”, uno dei pilastri del contrasto alle disuguaglianze sociali, così come considero il Servizio Sanitario Nazionale una delle più grandi conquiste di progresso del nostro Paese. Certo che poi nell’emergenza ho conosciuto persone straordinarie, da Ippolito a Brusaferro a Rezza e altri, con cui si è creata un’amicizia, direi quasi un’intimità, di quelle che dureranno tutta la vita”.

Gli amici di una vita, però, sono altri…

“È vero, li ho incontrati nella militanza politica. Pierluigi Bersani è un maestro cui voglio un bene dell’anima. Quando sono diventato ministro mi ha ammonito: ‘Ricorda che quando si governa conta quel che fai, non quel che dici’. Mi attengo a questa regola. E poi c’è Enzo Amendola, col quale abbiamo militato insieme nella Sinistra giovanile, sviluppando la passione per la politica internazionale. Devo a quella esperienza se, con Rosangela, abbiamo deciso di sposarci a Gerusalemme, la città più bella del mondo, che ci ha stregati. Lì, a Notre Dame, di fronte alla Città Vecchia, ci ha uniti in matrimonio il padre francescano Ibrahim Faltas, altro amico per sempre”.

Credevo che la sua vita si fosse svolta tutta tra la Basilicata e Roma… 

“Invece c’è anche il Regno Unito. Mia madre è inglese, lì è nato mio fratello Peter, mio zio è un imprenditore del settore alberghiero, mio cugino Nick è stato collaboratore del premier laburista Gordon Brown”.

Sarei tentato di chiedergli se, col senno di poi, non consideri un errore la scissione dal Pd. Ma mi fulmina: “La mia dimensione politica oggi è schiacciata, ho ben altro a cui pensare”.