Speranza: il decreto non cambia, ora dipende dagli italiani

Politica e Primo piano

Colloquio con Il Corriere della Sera

di Monica Guerzoni

Con l’Italia intera che guarda al 4 maggio tra paura e attesa, Roberto Speranza schiva le polemiche e tiene gli occhi fissi alla curva dell’epidemia: «La battaglia sanitaria non è vinta, ci siamo ancora pienamente dentro, in Italia e nel mondo. Guardiamo avanti, ma con giudizio». Lo stato d’animo del ministro della Salute è un mix tra cauta soddisfazione per gli effetti della «linea dura» e preoccupazione per i rischi delle riaperture: «In Germania l’indice di contagio risale, la Francia pensa di rinviare l’apertura dei licei. Sarei felice se potessi darvi il titolo “è tutto finito”, ma non voglio prendere in giro gli italiani».

Il piano per la fase 2 ha scontentato commercianti, industriali, cittadini e anche la Cei, lo cambierete in corsa? «II Dpcm è firmato e scade il 18 maggio. Anche sulla materia delicata delle messe abbiamo ascoltato il Comitato tecnico scientifico e con la Cei ci confronteremo ancora. Ho apprezzato le parole del Papa».

Il testo del decreto è stato fatto a pezzi dalle opposizioni e anche nella maggioranza, a cominciare da Renzi, l’insoddisfazione si fa sentire. Ma guai a dire che è incostituzionale: «La Repubblica tutela la salute come diritto fondamentale». E guai a pensare che il governo, con il pasticcio dei «congiunti», voglia intaccare le libertà personali o ridisegnare le relazioni affettive: «Nessuna pretesa di riorganizzare la società con un Dpcm, sono polemiche senza senso. Dobbiamo tutti lavorare insieme, anche con i presidenti di Regione e i sindaci».

Il 4 maggio liberi tutti? «Assolutamente no. Ci è sembrato giusto dare un primo cauto segnale perché siamo consapevoli della sofferenza delle persone, ma come ha detto Conte non decidiamo le misure per il consenso. Se riaprissimo tutto, in due settimane il virus presenterebbe il conto».

La fotografia di oggi non è più quella dell’assalto alle terapie intensive che abbiamo visto a marzo, il mese più crudele. Ma a quella drammatica vetta, ricorda il ministro, arrivammo «con appena qualche unità di casi e un indice Ro fuori controllo». Ora che i positivi sono centomila, la fine del lockdown farebbe impennare la curva? «Bisogna evitare pericolosi stop and go. Finché non ci saranno vaccino e terapie dobbiamo governare questo processo, se non vogliamo vedere di nuovo le terribili immagini che tutti abbiamo ancora negli occhi. Vedo le tensioni sociali e vedo il problema economico. Però i dati non sono scritti nel cielo. L’indice Ro va conquistato giorno per giorno e ora il comportamento degli italiani, sin qui straordinario, è ancora più importante».

Le sue raccomandazioni sono «distanza e mascherine», pezzi di una «solida strategia complessiva» in cinque punti che prevede anche il rafforzamento della rete sanitaria territoriale, i Covid-hospital finanziati per decreto, l’app, i tamponi e i test sierologici. E la patente di immunità? «Al momento purtroppo non esiste evidenza scientifica». La seconda ondata è inevitabile? «Dipende da noi. Il nemico non è sconfitto, dobbiamo essere pronti. Possiamo recuperare pezzi della vita di prima, ma per gradi».

Potranno scattare altre zone rosse? «Sulla base della curva dei contagi, nella cabina di regia decideremo se accelerare le riaperture o richiudere alcuni ambiti». Perché non riaprire subito nelle Regioni con meno casi? «Il 4 maggio invertiamo la direzione di marcia. Non possiamo permetterci salti nel buio. Vediamo gli effetti. Ritengo giusto fare un primo passo uniforme in tutti i territori, poi potranno esserci elementi di flessibilità regionale». E l’autocertificazione? «Spero che tra qualche settimana si possa superare».

Tanta prudenza è sostanziata dal report dell’Istituto superiore di sanità, i cui numeri allarmanti dicono che, riaprendo tutto, in soli 40 giorni le terapie intensive andrebbero in blocco. «Tenere chiuse le scuole è una grande amarezza – riconosce il ministro, citando Mattarella e aprendo una finestra sul privato -. I miei figli mi chiedono quando potranno riabbracciare i compagni, ma muovere otto milioni di persone significa far salire l’indice di contagio oltre e ripiombare nel dramma». E gli anziani? «Scontano l’isolamento e sono i più esposti. Se abbiamo evitato misure differenziate in base all’anagrafe è perché a loro dobbiamo solo dire grazie».

Il nuovo Dpcm ha innescato un processo al governo, eppure il ministro rimanda l’autocritica: «Se abbiamo fatto errori? Dall’Oms al premier, dai ministri, ai governatori, ai sindaci, dobbiamo tutti essere pronti a rispondere di ogni atto compiuto. È la forza della democrazia. Ma queste valutazioni le faremo dopo. Ho la coscienza a posto». Lei va forte nei sondaggi, ma la sua intransigenza fa arrabbiare tanti… «La linea dura è dettata dal realismo e dall’idea che il diritto alla salute viene prima di tutto».

Quasi 27 mila morti, poteva andare peggio? «Le misure adottate hanno salvato la vita a migliaia di persone conclude sottovoce Speranza -. Il 10 marzo ho insistito con forza per chiudere in tutte le Regioni». Non si è pentito? «No, rivendico quel passaggio difficile. Con il lockdown si è evitato che l’onda altissima del virus arrivasse al Sud, che avrebbe pagato un prezzo molto salato».