Speranza: Gentiloni si svegli, di continuità su politiche sbagliate si muore

Politica e Primo piano

Intervista ad Huffington post

di Alessandro De Angelis

Roberto Speranza è uno abituato a misurare le parole. Colpisce trovarlo in versione da combattimento: “Mica cercherete notizie sulla legge elettorale, qui. Non c’è notizia sul tema, perché il dibattito è chiuso. Quella proposta, il Verdinellum, è un pasticcio. Il punto è un altro se vogliamo alzare un po’ lo sguardo. È tempo di fare un bilancio sull’operato del governo. Di continuità su politiche sbagliate si muore”. Milano. Due passi dal Megawatt, un capannone industriale dove si svolge Fondamenta, la conferenza programmatica di Articolo 1. Roberto Speranza è al bar del suo albergo. Caffè e si concede all’intervista. Per la prima volta il coordinatore nazionale di Articolo 1, finora convinto sostenitore del governo, arriva a mettere in conto la rottura se non ci sarà un cambio di passo, una “discontinuità” su parecchi temi, a partire dalla manovrina.

Andiamo alla notizia, allora, non ci giriamo attorno.

Vuole il titolo? Il titolo è “Gentiloni sveglia!”.

Chiedete una svolta, altrimenti sarà rottura? 

Guardi, quello di Milano non è un appuntamento rituale. È l’atto fondativo del nostro movimento. Porremo le “Fondamenta” del nostro progetto politico. Esprimeremo la nostra visione dell’Italia nel mondo che cambia. La discussione dei tre giorni non sarà solo legata alle linee strategiche della nostra impresa, indicheremo anche le priorità programmatiche per le prossime settimane. Ecco, in questo quadro si gioca anche il nostro rapporto col governo.

Che diventerà meno scontato. Fino a che punto?

Chiediamo discontinuità. Gentiloni batta un colpo. Di continuità su politiche sbagliate si muore.

Ripeto, fino a che punto? Alzate l’asticella o fate sul serio?

Non è nel mio stile fare minacce ma in ogni esperienza dopo alcuni mesi arriva il tempo del bilancio. E le assicuro che, come dice lei, facciamo sul serio. Alcuni punti, a partire dal lavoro e dalle scelte di politica economica per noi sono decisivi. Mi faccia fare un inciso però per sgombrare il campo da equivoci.

Prego.

Noi, pur avendo numeri decisivi per la vita del governo, non sediamo in Consiglio dei ministri e non chiederemo mai poltrone. Quello che però pretendiamo, e sottolineo pretendiamo, è che il lavoro, la lotta alle diseguaglianze e le politiche ambientali tornino al centro dell’iniziativa del governo. Che al momento appare timido rispetto a questi temi, anche perché non si capisce se risponde al Parlamento o a cabine di regia che sembrano in ruolo, anomalo, dove è stato commissariato da un capo ansioso di dimostrare che comanda lui. Francamente…

Che cosa intende per discontinuità?

Una svolta su politiche economiche e lavoro. Il governo ha abrogato i voucher per scansare un referendum politicamente difficile. L’abrogazione totale era una soluzione che andava anche al di là di ciò che la stessa Cgil che ha raccolto le firme aveva chiesto negli ultimi giorni. Bisognava avere il coraggio di sedersi allora con le organizzazioni del lavoro e trovare una soluzione all’altezza. Ora se si pensa di far rientrare dalla finestra ciò che era uscito dalla porta noi non ci stiamo. Sto parlando di merito, riaprire le porte ad una ulteriore forma di precarietà che ha colpito soprattutto le giovani generazioni proprio quando l’Istat certifica il crollo dei contratti a tempo indeterminato, e sto parlando di metodo.

Voterete contro la manovrina?

Se si infilano impropriamente i voucher senza condivisione con chi ha promosso il referendum è inaccettabile. Punto. E dunque invotabile. È un fatto di serietà istituzionale. Si tolgono i voucher per far saltare il referendum e poi a referendum annullato si rimettono? Mi pare un gioco delle tre carte offensivo per il mondo del lavoro e per la credibilità delle nostre istituzioni democratiche. Su questo non si può transigere.

Come non si può transigere sulla legge elettorale, nonostante Prodi e Pisapia l’hanno considerata un passo in avanti

Parliamoci chiaro: è un altro pasticcio da bari. Intanto ancora il 50 per cento degli eletti sono nominati dai leader e non scelti dai cittadini. Questo non è poco per me. Anche su questo mi sono dimesso da capogruppo del Pd all’approvazione dell’Italicum nel 2015 poi giudicato incostituzionale dalla Corte.

Pisapia ha aperto perché c’è la coalizione.

Non è proprio un’apertura quella di Pisapia. Comunque va svelato il giochino sul tema coalizione. Per me coalizione significa accordo per un programma di governo e leadership condivisa da offrire al Paese tra forze politiche diverse che trovano un terreno comune progettuale. Coalizione non significa semplicemente, come invece avviene nel Verdinellum-Rosatellum, spartizione delle candidature tra forze politiche diverse che non hanno in comune alcun progetto. Per cui ad Agrigento mi servono i voti di Alfano e mi presento con lui. A Piacenza mi serve il prestigio di Bersani e mi alleo con Articolo Uno. Non può funzionare così. È effettivamente un pasticcio che tra l’altro comprime la rappresentanza senza garantire alcuna governabilità.

Che sistema politico esce da una legge di questo tipo?

La mossa di Renzi dal suo punto di vista ha senso ed è noto che Verdini è un ottimo estensore di leggi elettorali che soddisfino le convenienze dei suoi capi di turno. Con questa legge si otterrebbe l’obiettivo di stringere i grillini e di consegnare la leadership del centrodestra a Salvini che farà la voce grossa nei collegi uninominali del nord. Così spera di conquistare più elettorato moderato continuando a spostare al centro il Pd e contendendo voti a Berlusconi con cui poi inevitabilmente finirà per allearsi dopo le politiche. Perché l’apporto di questa roba sono le larghe intese, vorrei che fosse chiaro.

Speranza, qui però c’è un altro problema di fondo, che riguarda la vicenda Consip, la vicenda Etruria… Voi avete chiesto un chiarimento, ma non mi pare sia arrivato.

Non solo non è arrivato sulla Boschi, ma la reazione del Pd anche sulla vicenda Consip è sconcertante. Quando dal partito di maggioranza relativa si arriva a parlare di attacco alla democrazia mi vengono i brividi. Orfini e il gruppo dirigente del Pd parlano come la Santanché. Trasecolo. Mi pare di tornare ai banchi del liceo quando a capo del governo c’era Silvio Berlusconi.

Su queste basi, non solo una alleanza è difficile, ma mi pare che lei consideri il Pd più un avversario che un potenziale alleato.

Per me il Pd non è il nemico anche se penso stia sbagliando strada ed è ormai diventato un partito di centro. Mi batto prima di tutto contro la destra lepenista. Ma la teoria dell’accanimento giudiziario, della guerra tra procure e politica e le invettive contro la libera stampa ci separano sulla concezione della democrazia è dello Stato di diritto. La violazione del segreto istruttorio e le fughe di notizie sono fatti assai gravi ma il fatto che il Pd reagisca come Berlusconi dà il senso del cambio di cultura politica avvenuto in questi anni.

Si deve dimettere la Boschi?

Avrebbe dovuto chiarire, ha reagito come reagiscono coloro che si sentono intoccabili, neanche ci fosse una maestà che è stata lesa. Le sue dimissioni sarebbero un atto dovuto. Ma sarebbe un atto dovuto prendere atto che c’è una enorme questione di familismo. Siamo stati una settimana ad occuparci della Boschi, di banca Etruria e di suo padre. Ora le telefonate tra Matteo Renzi e il padre con i suoi presunti incontri con Romeo. Le vicende giudiziarie faranno il loro corso e io ho fiducia nella magistratura.