Intervista a La Repubblica
di Concetto Vecchio
Presidente Massimo D’Alema, da ex ministro degli esteri che valutazione dà dell’uccisione del generale Soleimani? Il mondo è davanti a un nuovo 1914?
Andrei cauto nel maneggiare certi paragoni storici. Siamo di fronte a un evento gravissimo, dalle conseguenze non facilmente calcolabili, che avrà l’effetto di moltiplicare odi, tensioni e instabilità, ma non vedo all’orizonte una guerra mondiale.
Perché lo ha fatto Trump? Che strategia persegue?
Vuole andare al voto a novembre in un clima di tensione, creando una situazione in cui non si può cambiare il comandante in capo. Ma quando le ragioni della politica interna dominano su quelle della politica estera allora la spiegazione è sempre una leadership in difficoltà.
Vi coglie quindi una debolezza?
Vi leggo una crisi di egemonia, per citare Gramsci. Del resto la crisi è evidente se si sostituisce la politica con i droni.
Qual è la prima conseguenza per noi europei?
La vera novità a cui ci troviamo di fronte è che la comunanza di valori tra Europa e America non c’è più. E gran parte dei guai, dall’insicurezza all’aumento del prezzo del petrolio, resteranno a noi. Siamo di fronte a un leader che attizza il fuoco e scappa. E’ l’ultima cosa che ci si aspetterebbe da un alleato. Clinton nei Balcani intervenne, ma per risolvere il conflitto, qui Trump i conflitti li lascia in eredità agli altri.
Siamo sull’orlo di un conflitto in Medio Oriente?
Perché sull’orlo, scusi? Ci siamo già, e da tempo, in molte parti del Medio Oriente, in Siria, in Libia, in Iraq: guerre che provocano un enorme numero di morti. E quanto accaduto da un lato rende l’America inaffidabile e dall’altro rafforza il ruolo della Russia, perché è un paese stabile che mantiene gli impegni che assume. Gli Usa hanno spezzato un patto con l’Europa. Obama, grazie all’accordo sul nucleare, aveva lavorato per favorire la componente più moderata dell’Iran; Trump l’ha rotto, avviando un’aggressione che avrà l’effetto di moltiplicare violenze e conflitti. Il risultato è disastroso. In Iran, infatti, sono emersi gli elementi più radicali. Soleimani, tra le altre cose, aveva contribuito a sconfiggere l’Isis. Ora l’Isis esulta.
Dove ha sbagliato l’Europa?
Non ha saputo difendere l’accordo sul nucleare offrendo una collaborazione economica all’Iran per fronteggiare gli effetti delle sanzioni americane. Il punto è che ogni paese prova a gestire da solo i vari conflitti aperti.
L’Europa così è troppo debole?
Più che debole non è in grado di usare la propria forza, economica e militare. Il Medio Oriente ha bisogno dell’Europa, per ragioni economiche. Una ragione in più per convincere l’Europa a giocare un ruolo nella pacificazione, cercando di imporre dei compromessi. Invece risorge il nazionalismo. Nel Novecento ha prodotto tragedie. Qui, come minimo, sta provocando impotenza. Ma è il momento di uscirne con un’iniziativa forte e unitaria per fermare la spirale di guerra.
Che tipo di iniziativa?
Immagino una missione dell’Unione Europea in grado di interloquire con i protagonisti per fermare l’escalation e costruire una soluzione nella quale gli attori fondamentali della regione possano sentirsi garantiti.
Anche l’Italia non incide?
Sono anni che l’Italia non esercita un ruolo nella regione. In passato svolgemmo una funzione che portò alla pace tra Libano e Israele. Ma il nostro errore più grande è stato quello di non avere esercitato un ruolo in Libia per fermare il conflitto in corso: la nostra presenza, per evidenti ragioni storiche, era pure richiesta.
La sua mediazione nel 2006 per la pace tra Libano e Israele perché viene ricordata per la passeggiata con il deputato Hezbollah sottobraccio?
Perché siamo un paese in cui spesso nel dibattito politico prevale la faziosità e l’ignoranza. Hezbollah all’epoca era al governo in Libano. Cosa bisogna fare per ripianare i conflitti se non dialogare con le parti in causa? La politica ha un senso se si ha una conoscenz adi base dei fenomeni e degli attori in campo. E soprattutto devi sapere cosa fare. Avere un rapporto positivo sia sul fronte libanese che su quello iracheno è una garanzia per i nostri militari che sono lì per assicurare la pace e non per fare la guerra.
Come valuta l’operato di Di Maio da ministro degli esteri?
Apprezzo le sue buone intenzioni anche se a volte sembra essere distratto da questioni di politica interna e dalle vicende del suo Movimento.
Nell’immediato quindi cosa rischiamo concretamente?
L’aggravarsi della crisi economica. Le difficoltà nelle quali ci dibattiamo sono in parte attribuibili anche al conflitto in corso in Medio Oriente, perché rallentano enormemente lo sviluppo, i traffici, ponendo enormi problemi di sicurezza. Purtroppo, rispetto all’enormitèà dei problemi in campo, va rilevata l’estrema povertà del dibattito pubblico.
Non siamo sempre stati più interessati alle vicende interne che a quelle estere?
Per niente. Nella Prima repubblica l’Italia seppe tessere una politica estera intelligente in Medio Oriente e in generale con il mondo arabo. Tra le tante cose negative che la furia antipolitica ha prodotto nel tempo c’è anche la perdita di questa grande tradizione.