Uscire dall’euro, ma per entrare in cosa? Dove ci portano i sovranisti

| Economia

I partiti della maggioranza di Governo stanno radicalizzando la posizione antieuropeista. Dopo anni di austerity, di rigore finanziario, di attenzione ossessiva ai parametri di bilancio, di tassazione vorace, la gente è predisposta ad attribuire all’Europa tutta la responsabilità della peggiore crisi socio-economica che il nostro paese abbia mai affrontato dall’Unità d’Italia in poi, più drammatica che di quella vissuta dopo la Seconda guerra mondiale. Questo è tanto più vero al Sud dove la situazione non è mai stata così difficile.

Migranti, pensioni d’oro, privilegi delle élite finanziarie sono tutti temi funzionali ad acuire l’esasperazione e a stimolare l’umana esigenza di individuare un responsabile. Dopo la sconfitta del Pd e in particolare di Renzi, l’imputato perfetto oggi è l’Europa. È nata male, del resto, come Unione delle funzioni e non dei popoli come avrebbe voluto il nostro Spinelli: le decisioni sono prese dai capi di governo (Commissione) e non dai rappresentanti eletti (Parlamento); non c’è l’obiettivo della crescita nella missione della Banca centrale e l’unico strumento di soccorso disponibile ai Paesi in difficoltà, cioè l’attivazione del Fondo salva stati (ESM), è subordinato alla condizione mortificante del commissariamento (vedi la Grecia); tantomeno si può finanziare col debito lo sviluppo dei paesi più deboli (eurobond), che sono stati condannati alla crisi della domanda interna collegata ai minori investimenti pubblici derivati dalle politiche di rigore adottate.

Questa Europa non ha funzionato, o meglio ha funzionato solo per i paesi più ricchi e meglio governati. Se non fosse stato per Mario Draghi e il suo quantitative easing staremmo già elaborando il lutto. È un gioco facile, dunque, sparare sull’Europa. Di qui il pugno di ferro di Salvini sui migranti – a chiacchiere, visto che poi la loro ricollocazione dall’Italia negli altri paesi europei è impedita dai suoi stessi alleati (Orban e quelli del patto di Visegrad) – e la rincorsa mediatica di Di Maio sullo sforamento del parametro deficit/pil, il famoso 3%, che costringe il ministro dell’Economia, espressione dello stesso M5S, un giorno sì e l’altro pure a rilasciare interviste per tentare di rassicurare i mercati finanziari.

La propaganda governativa funziona, non c’è dubbio, i sondaggi parlano chiaro, gli italiani sono d’accordo. Nel frattempo però, lo spread sale e ogni giorno vendere i nostri titoli di stato costa più caro, perché chi li compra vuole veder ripagato con maggiori interessi il rischio di finanziare un Paese molto indebitato, con una pubblica amministrazione inefficiente. Secondo alcune stime l’aumento dello spread ci costerebbe, ad oggi, 5 miliardi di euro di interessi in più sul debito, secondo altri anche di più. Una somma enorme, quanto basterebbe secondo i dati Istat a finanziare quota 100 per le pensioni per l’anno entrante.

Per tacere della perdita di credibilità internazionale di un Paese che, privo di infrastrutture sociali e politiche, obsoleto e inefficiente, anziché avviare un serio programma di riforme e risanamento, pretende di attribuire agli altri le responsabilità tutte interne (di tutti, nessuno escluso) della propria arretratezza e della propria inaffidabilità.

E allora – dovendosi escludere d’ufficio l’ipotesi dell’incompetenza – all’orizzonte di questa convergente azione contro l’Europa dei due leader della maggioranza non può che esserci l’intenzione di destabilizzare e mettere in crisi il sistema, per predisporre l’uscita dell’Italia dall’Eurozona. Come del resto era scritto nel programma elettorale di M5S e Lega prima di scendere a compromessi per formare il governo.

Rompere l’Unione Europea in favore di chi? Degli italiani, dice Di Maio, che tra rispettare i vincoli e favorire i suoi cittadini non avrebbe dubbi a violare i primi. O in favore del blocco dei paesi dell’Est e di Putin, al cui sovranismo Salvini si ispira e al quale addirittura vorrebbe chiedere di finanziarci? A questa domanda provo a rispondere affidandomi alle parole di un mio caro amico agricoltore del settore biologico. A un suo colono, sposato con un’altra sua dipendente, che vive gratuitamente nella sua masseria, che stamane al bar inneggiava all’uscita dall’Euro come soluzione dei problemi economici del Paese, ha risposto: se usciamo dall’euro io non potrò più beneficiare dei fondi europei per l’agricoltura biologica e non potrò più esportare i nostri prodotti all’estero, dove realizzo il mio fatturato maggiore, dovrò dunque chiudere l’azienda e licenziare te e tua moglie, e mi dovrai anche liberare rapidamente la casa perché ne avrò bisogno per me. Ruvido e vero, come solo i contadini sanno essere.

Federico Conte

Deputato di Liberi e Uguali. Commissione Giustizia. Avvocato.