Un piano di pace è possibile. Ecco alcune strade da percorrere

| Esteri

Non esiste un piano di pace, dicono tutti. Per questo si scivola allegramente verso un allargamento del conflitto senza che si ascolti una voce – ad eccezione del Papa – capace di rappresentare un punto di equilibrio.

Eppure esistono alcune strade – strettissime per carità – che si possono percorrere per evitare che l’escalation divenga letale e irreversibile. Perché – come ha dichiarato il dittatore turco Erdogan, ahimé, – meglio “la pace peggiore che nessuna pace”. Perché nessuna pace può contemplare la distruzione di un pezzo del genere umano e la distruzione di un pezzo della biosfera. Non si tratta di essere Cassandre, è lo scenario più probabile sul campo.

1. Prima di tutto il cessate il fuoco, la cui applicazione può essere garantita soltanto dalle Nazioni Unite, unica istituzione sovranazionale che non può essere accusata di essere parte del conflitto. Per questo limitare il flusso continuo di armi non convenzionali – pur distinguendo il legittimo diritto alla resistenza rispetto ai soprusi illegittimi dell’occupante – non può essere considerato un tabù per l’Europa. È una premessa necessaria per ridurre la moltiplicazione dei rischi di un incidente da cui non si può tornare indietro.

2. Convocazione di una conferenza internazionale di Pace che metta al centro innanzitutto un nuovo trattato di cooperazione e sicurezza dei confini europei. Inutile girarci intorno: la guerra è in Europa, l’accordo deve riguardare innanzitutto la linea di confine tra est e ovest del continente perché nessuno – a partire dalla Russia – può immaginare di proseguire con nuove mire espansionistiche. Questa nuova Helsinki deve vedere al tavolo Usa e Cina, perché come sappiamo sono le uniche potenze in grado di garantire la tenuta di un accordo di lungo periodo.

3. Moratoria sulle armi nucleari, a partire da un impegno solenne ad adottare e ratificare il Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari (TPNW). L’Italia non lo ha ancora fatto, a differenza di 122 paesi. Ripristinare nel frattempo il trattato bilaterale Usa-Russia (Inf) sui missili nucleari a corto e medio raggio, la base dell’intesa tra Reagan e Gorbaciov che inaugurò la stagione del controllo reciproco degli armamenti e la sua diminuzione progressiva. Non si può urlare al rischio di escalation atomica senza mettere al centro la forza della legge.

4. Nessun riconoscimento del referendum farsa che ha visto l’annessione di quattro repubbliche russofone alla Federazione Russa. Attenzione: questo è un punto delicatissimo. Chi dice “è cosa ‘e niente” dimentica che se le Nazioni Unite riconoscessero questa terribile forzatura consumata nel sangue andrebbero a “carte quarantotto” decenni di diritto internazionale. Esempio banale: la violazione da parte di Israele delle risoluzioni del 1967 su Gerusalemme e sui confini del futuro stato palestinese sono state sempre condannate dalle Nazioni Unite. Il riconoscimento delle conseguenze della guerra di Putin costituirebbe un precedente grave. Non c’è alternativa a un ritorno a Minsk, che salvaguardi l’integrità territoriale dell’Ucraina e garantisca la necessaria autonomia linguistica e amministrativa dei territori – modello Alto Adige – delle regioni russofone.

5. La guerra che ha distrutto l’illusione di una pace duratura in Europa deve insegnarci che il nazionalismo è la malattia del secolo che viene, non solo di quello che se n’è andato. Si guarisce solo con un salto di qualità dell’Europa politica, non con la sua marginalizzazione. L’Ue rischia di essere la vittima collaterale del conflitto in Ucraina, stretta tra il neoatlantismo militarista di paesi come la Polonia e le repubbliche baltiche (a cui presto si aggiungerà l’Italia della Meloni) e la corsa disordinata a risolvere in casa propria la crisi energetica, come sembra voler fare la Germania socialdemocratica. Torna la necessità di una politica estera e di sicurezza comune dei paesi fondatori dell’Ue, alleata con gli USA, ma autonoma nella bussola strategica. Abbiamo interessi non sempre convergenti: prenderne atto sarebbe la migliore dimostrazione che l’amicizia transatlantica è destinata a durare nel tempo.

Arturo Scotto

Nato a Torre del Greco il 15 maggio 1978, militante e dirigente della Sinistra giovanile e dei Ds dal 1992, non aderisce al Pd e partecipa alla costruzione di Sinistra democratica; eletto la prima volta alla Camera a 27 anni nel 2006 con l'Ulivo, ex capogruppo di Sel alla Camera, cofondatore di Articolo Uno di cui è coordinatore politico nazionale. Laureato in Scienze politiche, ha tre figli.