Un cadavere alla Camera nel crepuscolo di un’altra repubblica

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Perché mai il Palazzo ispiri così spesso in chi lo ha frequentato storie di fantasia che prevedono misteri e cadaveri, è una domanda che prima o poi bisognerà porre a qualche psicologo o antropologo. Parliamo di “quel” palazzo, ovviamente: quello di Montecitorio. Sarà pure letteratura di nicchia ma per chi frequenta un po’ l’ambiente è impressionante il quantitativo di deputati ed ex deputati che ambientano lì il loro “giallo”. Ultimi, per il momento, Laura Giuntella e Paolo Bertezzolo, col loro “Il palazzo dei baci rubati – Un omicidio e altri misfatti a Montecitorio” (Gabrielli editori, prefazione di Marco Damilano, euro 16,50).

Ma può darsi che in fondo la ragione del mistero stia, inconsapevolmente, in una riflessione che Laura-Margherita fa verso la fine della storia, ragionando sul delitto e su altri misfatti (umani) e tragedie (politiche): “Non mi riuscivo a dare una risposta se non affrontando quello che era un problema molto più vasto: chi arrivava lì in quel Palazzo e ci restava più del necessario perdeva la misura della realtà”.

Non è un destino inevitabile, si spera – ed è un augurio e una raccomandazione, all’inizio di una nuova legislatura. E comunque di solito per fortuna non finisce nel sangue. Di sicuro è un’impressione che può farsi strada in chi, come i due narratori di questa storia, ha vissuto nel Palazzo per un tempo breve e tempestoso, spinto dagli ideali antichi del cattolicesimo democratico ma con una vocazione schiettamente civica più che politica, ed ha assistito alla fine per consunzione (e corruzione) della lunga vicenda della prima repubblica, ma ha anche visto sgretolarsi rapidamente (e in anticipo sui tempi) la grande illusione di una rigenerazione civica e morale nella seconda. Perché accanto alla storia inventata del delitto, e dei due deputati detective Margherita e Pico, c’è quella vera di Laura e Paolo, deputati della Rete eletti nella brevissima (due anni) XI legislatura, quella in cui c’era ancora la Dc ma si approvò il Mattarellum, quella in cui c’era Craxi ed esplodeva Tangentopoli e sorgeva l’astro di Berlusconi, quella delle bombe della mafia e dell’elezione di Scalfaro, e quella in cui il primo di tanti sogni “civici” e (autodefinizione, credo di poter dire, sul filo dell’autoironia) “Giustizialisti” si infranse non solo sui nuovi equilibri e le nuove regole, ma sull’emergere di tante ambizioni personali insospettabili e anche su qualche sua contraddizione originaria.

Margherita e Pico vivono questa esperienza con l’impegno, la serietà e lo spirito di servizio che gli consegna la loro cultura, ma anche con un filo di rassegnazione e disincanto, figlio dell’intelligenza dei processi, della comprensione degli uomini e di un ostinato senso – appunto – della realtà. Divertiti della loro stessa ingenuità e distrazione. Amici, perché accomunati da un’anima solidale e ostinatamente conservata e da un comune sguardo sul mondo. I due personaggi-narratori non devono aver inventato troppo su se stessi. Così come hanno raccontato, impietosamente e impudicamente, retroscena e debolezze di certi compagni di strada – quasi sempre riconoscibilissimi sotto i loro nomi modificati sul filo dell’ironia. E hanno esplorato le loro stesse contraddizioni, e forse i dubbi che nessuno dotato di onestà intellettuale può risparmiarsi. Dove ha portato l’intransigenza dei Giustizialisti? “Si finirà nel populismo, caro Pico. Renditene conto!”, avverte un collega dei Bianchi (cioè un democristiano), consapevole che “senza il filtro dei grandi partiti, il Paese sarebbe stato in balia dei potentati economici, dei poteri forti, di personaggi spregiudicati”. Ma qual era l’alternativa? “Ci teniamo la corruzione? Legittimiamo l’illegalità?  Assolviamo tutti?”.

Possono forse i giudici tenere in scacco la politica? Può forse la politica essere al di sopra delle leggi? Come si capisce, il “delitto” è ben più complesso di quello a proposito del quale Margherita e Pico devono improvvisarsi detective. E purtroppo, a differenza dell’altro, è ancora un delitto irrisolto. Come quegli anni ’90 ai quali, alla fine di un’altra repubblica, guardiamo ancora con tante domande aperte. Anche su noi stessi, e sulle nostre scelte. Delle quali andiamo anche fieri, e sulle quali siamo felici di ritrovarci, ma consapevoli – più vecchi e (speriamo) più saggi come siamo – che la faccenda è complicata, tanto, e che per non sbagliare e risolvere un delitto ci vuole tanta intelligenza, una buona compagnia e anche un pizzico di fortuna. E non sempre, quella, ti capita.

Chiara Geloni

Giornalista mai neutrale, per passione e per scelta. Onestà verso il lettore è dichiarare il proprio punto di vista. Dirige questo sito. Apuana.