Un altro 23 maggio: la guerra non è ancora finita, ma non siamo sconfitti

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Nella notte del 22 maggio, nel quartiere di Roma di Tor Bella Monaca, si sono presentanti a sorpresa 120 uomini, tra polizia di Stato, carabinieri e polizia locale. Una forza imponente per una zona grande e complicata della città, ma pur sempre circoscritta. Ci sono andati a cancellare i murales che insolentivano i passanti, occhieggiando da anni sui muri di edifici pubbliciritraendo il volto di un vecchio patriarca di un clan della zona (quello dei Cordaro). Una vittoria della legalità e dello Stato? Speriamo.

A me viene subito in mente, invece, il bellissimo murale di Palermo, dipinto da qualche anno vicino al porto turistico, con le facce scanzonate di Falcone e Borsellino. A quelle facce penso spesso, alla loro determinata lotta alla prepotenza e alla violenza di persone malvagie, al loro sacrificio per la nostra democrazia,.

E penso spesso con affetto anche ai tre figli di Paolo Borsellino, Lucia, Manfredi e Fiammetta, i quali giustamente non si danno pace per quella morte annunciata e non evitata, a cinquantanove giorni da Capaci, di cui oggi ricorre il ventiseiesimo anniversario. 

Fiammetta Borsellino, lo scorso dicembre, ha ottenuto dal ministro della giustizia l’autorizzazione a interloquire con i fratelli Graviano, Giuseppe e Filippo, reclusi al 41-bis, per chiedere loro di aprire finalmente l’archivio, tanto ricco quanto torbido, della loro memoria. Loro hanno rifiutato.

Ma i mafiosi sono così. 

Falcone diceva sempre che hanno la memoria di un elefante, quindi è escluso che i fratelli Graviano non sappiano davvero come siano andate le cose. Ma quel vincolo buio, impastato di aggressività – ora latente ora ferocemente esibita – di inganno e di omertà, impedisce loro di dare alla famiglia Borsellino e a tutti noi quantomeno il conforto della verità. Nel frattempo, siamo in attesa delle motivazioni della sentenza sulla trattativa Stato-Mafia, dalle quali trarremo alcuni elementi di certezza sul biennio di sangue 1992-1993.  

Sicché questo anniversario della morte di Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e di Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro non è come gli altri.

Dimostra che la ricerca sulla nostra coscienza comune non è finita e che i colpevoli dei depistaggi e delle incertezze nella lotta alla mafia prima o poi saranno individuati.

Ma il ricordo di Capaci e di via D’Amelio sta lì a incoraggiare la gente che si guadagna il pane con onestà giorno per giorno: non siamo ancora definitivamente sconfitti, dobbiamo ancora batterci nella guerra contro la metastasi mafiosa, che ci mette le mani in tasca, chiedendoci il pizzo e deprimendo l’economia. 

La mafia diffonde ancora la sotto-cultura feudale del dominio secolare di chi ha la terra su chi ha solo le braccia; di chi ricicla i soldi della droga su chi vuole lavorare con impegno e spirito d’innovazione; di chi vuole tenere la Sicilia e l’Italia intera sotto il giogo soffocante delle consorterie opache su chi invece vuole che il nostro splendido Paese risorga con le sue potenzialità culturali e produttive.

Giovanni Falcone diceva sempre: Follow the money. Non era solo un’indicazione investigativa, era il suo insegnamento su come la lotta alla mafia è una priorità economica e su come essa deve essere il filo conduttore di una politica generale impostata per il progresso e l’emancipazione della persona.

Lucrezia Ricchiuti

Ex senatrice della Repubblica, capogruppo di Articolo 1-Mdp in commissione parlamentare Antimafia, componente della V commissione Bilancio. Già vicesindaco di Desio