Tortura, la legge che manca. I dannati della Diaz salvi grazie all’Europa

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“Come si può esercitare potere su un essere umano? Facendogli sperimentare del dolore”
George Orwell, 1984

L’Italia ha versato un risarcimento monetario a sei persone che le avevano fatto causa rivolgendosi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. L’oggetto della diatriba riguardava le violenze durante il G8 tenuto a Genova nel 2001. Nel corso delle manifestazioni di protesta avvenute a margine del G8, decine di persone vennero fermate e portate dalle autorità italiane nella caserma di Bolzaneto dove ‘oltre trecento persone vennero private della possibilità di incontrare i loro legali, umiliate, picchiate, minacciate. Tra le mura della caserma risuonarono a più riprese inni fascisti, molti dei ragazzi vennero costretti a rimanere immobili per ore, le donne subirono violenze fisiche e morali’. La Corte Europea ha dunque sancito quello che tutti sapevano: là dentro fu praticata la tortura. Un reato non contemplato dal codice italiano.

In quei giorni la legge ordinaria è stata sospesa, e uomini delle forze dell’ordine hanno abdicato alla loro funzione, quella di tutela e salvaguardia del cittadino, dando sfogo alle loro peggiori pulsioni sadiche, profittando di una condizione eccezionale: il via libera arrivato dai vertici, i quali hanno acconsentito alla sospensione della lex ordinaria per allestire un’altra scena, regolata da ‘un’altra legge’, quella del perverso sadico, la quale sfiora – eludendola – quella del codice penale, in un illimitato orizzonte di godimento che si nutre nel vedere soffrire la vittima, avendo cura di procrastinarne i patimenti. Il sadico sa far vibrare le corde della sua vittima, e in tal modo sostiene e motiva la sua esistenza, diceva Lacan nel Seminario X.

In tutti gli stati totalitari, quado l’autorità è folle e sregolata, i ‘servitori’ si sentono liberi di mostrare la loro peggior natura sadica e violenta, certi che nessuna sanzione potrà mai arrivare da un capo che essi avvertono come consimile. Non a caso Lacan tratteggia il perverso come un perfetto soldato obbediente, privo di sensi di colpa, convinto di assolvere a un compito in nome del quale ogni remora morale può essere spazzata via. Questi poliziotti sapevano di agire in nome e per conto di un capo con il loro medesimo sentire. L’orizzonte morale del sadico è la sofferenza dell’altro in quanto tale, senza alcun fine che non sia la sofferenza stessa. Orwell sosteneva: ‘Il potere non è un mezzo, è un fine. Non si stabilisce una dittatura nell’intento di salvaguardare una rivoluzione; ma si fa una rivoluzione nell’intento di stabilire una dittatura. Il fine della persecuzione è la persecuzione. Il fine della tortura è la tortura. Il fine del potere è il potere”. E questi agenti lo hanno esercitato liberamente il potere, certi di una assoluzione, auto incaricatisi di punire e far soffrire coloro i quali, a loro discrezione, erano insopportabili per il legame sociale: i manifestanti con idee e orizzonti diversi dal loro. Liberi. Ingovernabili.

In molti casi l’impunità del carnefice determina uno stato di paralisi della parola della vittima, creando una situazione di afflizione nella quale la violenza si ripete all’infinito, senza mai liberare chi ne è stato oggetto. Lo stato di vittima è una gabbia spesso simbolica, una prigionia che va oltre le cicatrici sulla carne. Nelle frasi di tante donne oggetto di abusi, di uomini adulti che hanno subito gli appetititi di orchi incontrati nell’infanzia, risuona costante un motivo: ‘ho potuto finalmente rinascere quando chi mi ha fatto del male è stato condannato’. Quando cioè un’istanza ha posto fine a quella drammatica situazione opaca di presunzione di innocenza del reo, spazzando via quella patina di dubbio che annichiliva ed emarginava l’abusato. La condizione interiore di sofferenza si protrae per tutto il tempo in cui il carnefice è contingente, libero da giudizio, con una parola che spesso ha maggior valore di quella della vittima. Il riconoscimento ‘formale’ dello stato di torturatore, toglie la vittima da una situazione di sospensione del tempo e del giudizio, nel quale la realtà sfuma e si opacizza, il dubbio la assale nel merito della sua stessa versione dei fatti. ‘Se tutti in città dicono che costui è un professionista adamantino e rispettato, forse io ho fatto in modo di provocare le sue ire e le sue percosse’, è l’incipit che segna un pericoloso capovolgimento di prospettiva.

Per tanti che sono caduti nell’inferno della Diaz, molti dei quali intrappolati nel doloroso ‘disturbo post traumatico da stress’, la vita può ora ricominciare. L’Europa ha sopperito al vulnus legislativo dello Stato Italiano che, lungi dal formalizzare il reato di tortura, ha permesso agli esecutori della carneficina di percorrere fulgide carriere. Per questa Italia sorda alle leggi internazionali, ottusa e ipocrita nel suo non validare quello che tutto il mondo ha visto, è dovuta arrivare l’umiliazione di un ammonimento di un ‘giudice a Berlino’, chiamato a incarnare quella posizione di regolatore per uno Stato che ha fatto della legge perversa un suo elemento fondante. Non credo che questa certificazione venuta da fuori chiamerà a maggior responsabilità il legislatore. Né che convinca chi di dovere a fare pulizia all’interno delle forze dell’ordine. Spero solo che possa, per tutte le decine di uomini e donne massacrati, avere un effetto di distacco da una condizione di sofferenza inenarrabile, chiudendo simbolicamente un cerchio nel quale si sono trovate. Almeno in questo caso, non si è avverata la profezia di Orwell: “Non devi neanche pensare, Winston, che i posteri ti renderanno giustizia. I posteri non sapranno mai nulla di te. Tu sarai cancellato totalmente dal corso della storia[…]. Di te non resterà nulla, né il nome in un qualche archivio, né il ricordo nella mente di qualche esserivente. Tu sarai annientato sia nel passato sia nel futuro”.

Maurizio Montanari

Psicoanalista. Responsabile del centro di psicoanalisi applicata LiberaParola di Modena (www.liberaparola.eu). Membro Eurofederazione di psicoanalisi