Toccherà di nuovo a noi. Il renzismo come coazione a ripetere

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Quando Renzi si è affacciato alla sua platea ormai solo virtuale al grido di: “presto toccherà di nuovo a noi!” non sono riuscito a non pensare al soldato sconfitto che abbandona Mompracem appena riconquistata da Sandokan, urlando “torneremo e la riprenderemo!” Alle sue spalle, un saggio e sconfitto Lord Brook sillaba: “No, non torneremo più. Mompracem è persa”. Il renzismo infatti manca strutturalmente di una voce come quella di Adolfo Celi, che instilli il principio di realtà tra le mura della Leopolda.

Non è dato sapere in quale forma, ma questi annunci fanno presagire che il renzismo rialzerà la testa, probabilmente e sperabilmente per il suo ultimo atto. Tornerà, sorretto dal mantra “i colpevoli sono là fuori”, che ne condensa e riassume l’essenza, fatta di una ripetitiva coazione a ripetere che consiste nel chiamarsi fuori dopo aver condotto la nave sugli scogli, addossando ad altri le proprie responsabilità evidenti, per poi tornare in campo quando qualcuno si è occupato di togliere i detriti e pagare i danni.

Il nuovo movimento macroniano pareva ormai cosa fatta, già dotato del vecchio slogan renzicalcatista “là fuori c’è solo odio e patologia”, salvo poi conoscere una brusca battuta d’arresto inferta dai sondaggi che quotavano al 3 4 per cento la nuova creatura telemaica. Pare che dopo questa ennesima doccia gelata, fredda quanto la notte del 4 dicembre, anche i più tenaci assertori dell’autoinvestitura dei giusti vs un mondo odiatore e squinternato abbiano dovuto prendere atto che le tazzine da tè della Leopolda potrebbero tremare per l’ultima volta.

Peccato.

Esiste però una gran parte d’Italia che non si rassegna, e spera ardentemente che il renzismo compia il suo dovere sino in fondo, lasciando il Pd per generare un nuovo partito che, condizionato da una mortifera coazione a ripetere, sarebbe depositario della Verità e non contemplerebbe voci critiche o possibilità d’errore, come Hal 9000 di 2001 Odissea nello Spazio. Quando il colonnello Bowman si stava accorgendo degli svarioni che il computer andava compiendo, mettendo a rischio l’incolumità dell’equipaggio e della missione, ottenne una risposta renziana: “Nessun calcolatore della serie 9000 ha mai commesso un errore o alterato un’informazione. Noi siamo, senza possibili eccezioni di sorta, a prova di errore e incapaci di sbagliare”.

Renzi, come Hal900, non accetta di essere esautorato. Lamenta a ogni pié sospinto una ingiusta messa al bando, grida un ‘torneremo’ che vuole sottendere un “so che già vi manco”, convinto della sua insostituibilità. Come un novello Cincinnato coltiva fantasia di folle che ne reclamano il ritorno, ingiustamente orbato da una stramba volontà popolare di uno scranno che ritiene suo di diritto. Alla base del suo crollo non c’è il “parricidio” come egli sostiene. Il parricidio presuppone infatti un padre regolare, non necessariamente retto. Il parricidio è l’eliminazione fisica di un ingombro inamovibile con la parola, di qualcuno che sta tuttavia nella dialettica. Il parricidio presuppone figli, intesi come pargoli da educare e crescere nel confronto, dei quali il renzismo è sprovvisto, avendo preferito arruolare adepti preselezionati, ficcati nelle liste blindate e dunque condannati a un riconoscimento acritico. Non è un padre, piuttosto il ricco figlio dell’industriale che seleziona gli invitati alla sua festa in base alle lodi che costoro fanno della sua fuoriserie

Se, volesse il cielo, davvero il renzismo si richiudesse in un proprio movimento, assisteremo finalmente all’epilogo di una storia già scritta. Il neo partito sarà sempre più strutturato sull’amore verso il leader unico, allergico alle regole di democrazia interna, intimorito dal voto popolare, incline alla defenestrazione del dissenso, pronto a stigmatizzare nell’altro le proprie manchevolezze (sono una spassosa lettura estiva i post di Matteo Renzi news sui cattivi Grillini che stanno occupando la Rai…). Un gruppo che non realizzerà le parole di Berlinguer, quanto quelle di Philip Dick quando preconizzava che “solo i credenti che avevano abbracciato l’Unica Vera Fede si sarebbero salvati (…) tutti gli altri erano destinati a sprofondare all’inferno”.

Se invece si avvinghierà a ciò che resta del Pd, lo trascinerà verso un inabissamento definitivo, cercando in cauda qualcuno al quale addossare le colpe dell’ennesimo tracollo. La scuola di Rignano non ha prodotto una classe politica di rango, né tantomeno lo ha fatto la breve (brevissima) scuola politica Pasolini. Hanno invece creato collettori di rancore che, gridando al fascismo, cercano di ergersi a difensori della tradizione democratica di quel paese che ne ha decretato l’esilio.

La speranza è che la nuova ‘narrazione poetica’ si concretizzi alla Leopolda, andando, come Icaro, incontro ad una consunzione finalmente definitiva. Non a causa dei raggi del sole, ma per mano di quel corpo elettorale che da anni ne va decretando il fallimento.

Maurizio Montanari

Psicoanalista. Responsabile del centro di psicoanalisi applicata LiberaParola di Modena (www.liberaparola.eu). Membro Eurofederazione di psicoanalisi