Tempo di dire no. Pericoli e richieste eversive del regionalismo differenziato

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E’ bene che se ne parli. A mio avviso quella del regionalismo differenziato può essere per la sinistra, per Articolo Uno, “la madre di tutte le battaglie”, a patto che si abbandonino atteggiamenti timidi o attendisti o addirittura possibilisti. Unità e coesione nazionale NON possono essere sottoposte a “discussioni”.

Viesti, Villone, Esposito, la SviMez, hanno esaminato i principali aspetti del regionalismo differenziato e i rischi di secessione dei ricchi. Depauperare il Sud significa ridurre il mercato delle aziende del Nord, che ricavano circa 200 miliardi dalle esportazioni nel Sud. Meno soldi al Sud, meno posti di lavoro al Nord. Lo sviluppo del Nord si è avuto e si continua a ottenere solo in concomitanza con lo sviluppo del Sud, e viceversa. Secondo accordi tra regioni secessioniste e governo, il trasferimento delle risorse sarà definito in base ai fabbisogni standard calcolati non solo in base alla popolazione residente, ma anche con riferimento al gettito dei tributi maturati sul territorio. Più soldi alle regioni ricche, meno a quelle povere. Una richiesta eversiva.

Il problema della sfida dell’efficienza nelle regioni del Sud è interessante. Uno studio della SOSE, agenzia MEF, misurando la qualità dei servizi dei vari territori, mostra che al Nord la qualità è molto più alta. Ma poi la SOSE normalizza questa qualità rispetto alla quantità di finanziamenti assegnati: allora l’efficienza (qualità rispetto ai finanziamenti) è altissima in tutte le regioni del Sud: il problema non è quindi criticare come la Calabria spende i pochi spiccioli che ottiene, ma piuttosto, provvedere a farle arrivare la stessa quantità di denaro che viene assegnata all’Emilia! Al Sud, secondo SOSE, siamo già efficienti! L’accettare la sfida dei secessionisti e richiedere maggiore autonomia sbaglia obiettivo, che deve essere quello di chiedere un uguale trattamento rispetto ai finanziamenti, e, di fatto, porta acqua al mulino dell’egoismo dei ricchi!

Attualmente, SENZA regionalismo differenziato, la situazione è già drammatica e incredibile: con marchingegni tecnici si sta attuando una politica (da decenni, da parte di governi di ogni colore politico) di “estrazione” di soldi dal Sud per trasferirli al Nord; la perequazione, prevista dalla Costituzione, e che ovviamente deve essere integrale, è applicata adesso solo al 50%; inoltre, bizzarri e offensivi algoritmi di ripartizione dei fondi per i servizi assegnano 0 (ZERO) euro ai Comuni nei quali quei servizi ancora non ci sono.

Il federalismo fiscale, il regionalismo differenziato, sbandierati come strumenti per raggiungere trasparenza ed efficienza, venivano e vengono discussi in segreto. Tutta l’iniziativa del regionalismo differenziato è infatti caratterizzata da un’assenza di discussione pubblica, e dalla tentata esautorazione del parlamento da ogni possibilità di intervento. E’ un fatto di una gravità assoluta aver voluto far passare la questione con quanta meno pubblicità possibile, attraverso accordi sostanzialmente riservati tra governo e ciascuna singola regione, senza occhi indiscreti e critici. Insomma l’impressione è che si sia voluto attuare un vero e proprio colpo di mano. Ma questa “segretezza” non è questione di oggi. Nel 2015, quando si dovette attuare la perequazione, restituendo al Sud quello che gli spettava, i numeri di una restituzione integrale al 100% sembravano “choccanti”, tanto che Giorgetti, allora presidente della Commissione Bicamerale per il Federalismo Fiscale, chiese di secretare le riunioni e i dati della Commissione, “come per la Commissione Antimafia”.

Questo egoismo collettivo dei ricchi, si nasconde anche a sinistra? Le dichiarazioni della deputata veronese Pd, Alessia Rotta, che attacca da destra Zaia; la posizione, per certi aspetti inattesa e incomprensibile dal mio punto di vista, di timidezza (o peggio) anche da parte nostra, di Articolo Uno, che in molti suoi anche autorevoli dirigenti, vede una posizione “No all’autonomia come proposta dalla Lega, però… “;  l’improvvida posizione del M5S, ingenuamente convinto, nel migliore dei casi, che, appaltando alla Lega questo argomento, potrà trarne vantaggio su altri; le contraddizioni nei sindacati confederali e in altre forze di sinistra (i “nordisti” sono prima di tutto nordisti, solo poi progressisti, democratici, sindacalisti); nonostante prese di posizioni contro il regionalismo differenziato di alcuni sindaci (Sala, Merola); tutto questo fa temere che anche a sinistra qualcosa non torni. Si scontrano due linee: riduzione del danno, cercare di non perdere consensi e radicamento nei territori del Nord; contrapposizione ideale e decisa su di un tema così delicato.

No. Non è il momento di importanti ma sofisticati “distinguo”. E’ il tempo di dire NO e basta. Fermare e azzerare tutto. E solo poi, certo, cominciare a discutere. Ma in un quadro più ampio, che coinvolga il concetto di autonomia e autonomie, le città, le regioni, le regioni a statuto speciali, le province. Perché quando si presume che il risultato possa essere un compromesso, è prudente iniziare da una posizione estrema, diceva John Keynes.

Sanità e Istruzione sono i settori più in pericolo. L’ordine dei medici di Bari, non un’associazione leninista, ha promosso una spettacolare campagna con manifesti con una donna malata di tumore avvolta in una bandiera tricolore e una richiesta di aiuto: “Italia non abbandonarci. Vogliamo una sanità uguale per tutti. La salute è un diritto di tutti”.

Anche il mondo dell’Istruzione è sul piede di guerra. Statistiche mostrano che il finanziamento pro-capite alla scuola del Nord sia inferiore a quello per la scuola del Sud. E quindi si legge che per la sola istruzione a Veneto e Lombardia spetteranno parecchi miliardi in più. Ebbene, queste cifre sono fuorvianti, perché nascondono tanto altro! Il costo pro-capite è calcolato sul numero di abitanti, non sul numero di studenti; non tiene conto che al Sud in genere gli insegnanti hanno maggiore anzianità e quindi stipendi più alti; non tiene conto della spesa che i Comuni del Nord mettono a disposizione per mense e trasporti per gli studenti; non tiene conto che in molti paesi del Sud appenninico ci sono classi delle elementari con pochi alunni.

E il discorso potrebbe continuare. Da tanti altri punti di vista. Ad esempio da quello costituzionale. Importanti e ripetute prese di posizione di autorevoli costituzionalisti mettono in evidenza parecchie “bestialità” in questo percorso, prima fra tutti, lo ricordavo prima, il tentativo di esautorare il Parlamento da ogni possibilità di intervento.

O dal punto di vista, recentemente discusso a Napoli, dei Beni Comuni. Si scrive regionalismo differenziato, si legge privatizzazione di beni e servizi. “Depauperando” il Sud di risorse finanziarie, in moltissime città del Sud si dovranno cartolarizzare, privatizzare, beni e servizi. Con danno per il ”pubblico” in generale, con danno, pratico, quotidiano, per i cittadini.

Pur ammettendo che siamo di fronte a materia complessa, discutibile, nel senso che è necessario discutere e approfondire il merito, non è tempo di importanti ma sofisticati “distinguo”. E’ tempo invece di dire un NO chiaro, forte e convinto. Cercare di accattivarsi simpatie di cittadini ed elettori, lavoratori, associazioni del Nord su questo terreno NON paga. Terreno complicato, dicevo, ma credo sia molto meglio, come diceva ancora Keynes, avere all’incirca ragione, piuttosto che precisamente torto!

Giuliano Laccetti

Laurea in Fisica. Ordinario Università di Napoli Federico II. In segreteria regionale Articolo Uno Mdp Campania, ha responsabilità sui temi Università, Scuola, Cultura. Presidente Comitato Scientifico Associazione politico-culturale 
“e-Laborazione”. Si interessa di politica universitaria e della ricerca; è appassionato (ed esperto) di anni 60, libri, calcio, western, fantascienza, serie TV poliziesche e giudiziarie americane.