Smuraglia: una Costituzione ancora da far vivere

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Presidente Smuraglia, la crisi organica del nostro Paese è arrivata a un punto di rottura tale da mettere in discussione la stessa tenuta dell’unità nazionale e dell’impalcatura dello Stato. La Resistenza, assieme con il Risorgimento, è l’unico grande episodio della nostra storia etico politica che possa essere identificato come momento della costruzione di una identità nazionale degli italiani. Non possiamo non vivere il 25 aprile con questo spirito. Cosa vuol dire concretamente fare di tale giornata non solo una grande mobilitazione democratica dell’unità antifascista, ma anche un momento di riflessione politica profonda sulla situazione del Paese? 

Effettivamente, il nostro Paese sta attraversando una crisi profonda sul piano economico, sociale e morale. Bisognerà impegnarsi a fondo per uscirne; credo che il faro migliore che possa indicarci la via, sia sempre la Costituzione. Attorno ai suoi princìpi e ai suoi valori, così come attorno alle pagine migliori della nostra storia, dovremo cercare di ricostruire non solo l’unità necessaria per ogni convivenza civile, ma anche l’unità democratica basata sul confronto, sul reciproco rispetto, su una rigorosa consapevolezza dell’importanza dell’etica e di una politica che si ispiri, soprattutto, al bene comune. Ogni occasione è buona, sotto questo profilo. Ma il 25 aprile lo è in modo particolare, perché è la festa della “liberazione” e del riscatto del Paese, dopo il lungo periodo fascista e dopo la splendida esperienza unitaria della Resistenza. Parlo di esperienza unitaria, anche se essa fu variegata, perché la regola da tutti accettata e perseguita fu quella di mettere in primo piano, sempre, l’obiettivo comune, che consisteva nella libertà e nella democrazia. Ecco perché quella del 25 aprile deve essere la festa di tutti. Un festa viva, fatta doverosamente del ricordo di quella pagina di storia, dei combattenti per la libertà e dei caduti, ma anche della riflessione su come si siano realizzate, finora, le attese di chi si batté (e molti persero la vita ) per la libertà, la democrazia, l’antifascismo. Una giornata unitaria, ripeto, di pacata riflessione sulla Resistenza, sulla Costituzione e anche sul presente e sul futuro, farà bene a tutti, se sapremo viverla con unità di intenti e in modo non formale.

La Resistenza produsse il miracolo della Costituente. L’Italia in questo senso è un caso forse unico nel mondo: di solito le Costituzioni sono l’atto che certifica la presa del potere della borghesia. In Italia, invece, la Costituzione fu scritta dagli esuli del fascismo. Pensiamo a De Gasperi, nascosto nelle biblioteche Vaticane o a Togliatti, in esilio in URSS. La Costituzione italiana fu scritta dalle masse. Motivo per cui una parte della classe dirigente non ne ha mai accettato veramente l’impianto e ha provato a manometterlo. Fortunatamente, il popolo italiano sente, anche magari istintivamente, la Costituzione come a sé ‘vicina’. La vittoria del No al referendum lo dimostra. Il 25 aprile come può rilanciare la battaglia per l’attuazione della Carta?


La Resistenza fu, di per sé, un miracolo, per quella unione di obiettivi e di intenti fra persone di provenienze, di idee, di esperienze diverse. E fu la premessa perché si realizzasse il successivo “ miracolo “ laico, che fu la Costituente, dove prevalse – pur nella discussione approfondita e accesa – lo spirito unitario e la volontà di scrivere una Carta fondata su princìpi solidi ed ancorata a valori fondamentali, dunque destinata a durare nel tempo. Chi parla di compromesso non ha capito nulla: il senso della Costituente, fu quello della ricerca di quel minimo comune denominatore, su ogni questione o principio di fondo, che potesse unire e valere per il futuro. Fu questa linea che consentì alla Costituente di lavorare senza strappi, anche quando si ruppe l’unità delle forze politiche in seno al Governo. La Costituente andò avanti ugualmente e fece un lavoro eccellente, forse troppo per i conservatori di sempre, che già alcuni giorni dopo l’approvazione avviarono un grande tentativo di demolizione e di svalutazione e, successivamente, passarono anche a tentativi di modifiche radicali. Il referendum del 2016, a prescindere dal risultato, ha dimostrato che gran parte del popolo “ sente “ che questa Costituzione va conosciuta, difesa e attuata e che, se modifiche si renderanno necessarie, esse dovranno essere fatte nello stesso spirito che contrassegnò l’elaborazione della Carta, nella Costituente. Insomma, ciò che rileva prima di ogni altra cosa è la grande partecipazione popolare alla consultazione referendaria, dopo anni di assenteismo e di distacco. Chi vuol bene al Paese, deve lavorare nella direzione del rafforzamento della partecipazione, perché solo questa ci può consentire l’avvio ad una “ rinascita “ politica, morale e sociale. È per questo che l’ANPI ha dedicato questo 25 aprile al tema dell’applicazione della Costituzione, che – se fosse finalmente realizzata – rappresenterebbe una sorta di “rivoluzione” pacifica, di cui il Paese ha grande bisogno.

La giornata della Liberazione, negli anni, è diventata anche un momento per manifestare il sostegno alle lotte di liberazione dei popoli oppressi che combattono in ogni angolo del mondo per la propria autodeterminazione. In questi giorni, mentre soffiano minacciosi venti di guerra mondiale, assistiamo a violente torsioni autoritarie, per esempio in Turchia, o a tentativi di colpo di Stato, come in Venezuela. Qual è il messaggio che deve emergere in questo senso dalla nostra giornata di lotta?

Il 25 aprile è, e deve essere dedicato anche e soprattutto alla pace, che è la premessa indispensabile per la convivenza dei popoli e per il progresso civile e umano. L’ANPI ha chiesto alle sue organizzazioni periferiche, che stanno organizzando migliaia di manifestazioni per il 25 aprile, di aprirle sempre con la lettura dell’appello per la pace, sottoscritto pochi giorni fa da ANPI, ARCI, ACLI e dalle tre Confederazioni sindacali. Un documento che esprime e rappresenta la volontà di almeno sei milioni di donne e uomini, organizzati in quelle Associazioni e che, davvero vergognosamente, è stato ignorato da grandissima parte della stampa. A dimostrazione che c’è ancora molto cammino da percorrere sulla via della pace, che non può che essere frutto di una volontà collettiva e diffusa in tutto il mondo. Noi siamo fermamente convinti che la “ liberazione “ dei popoli dalle oppressioni, dagli autoritarismi, dalla violenza, debba essere sostenuta, quantomeno con la solidarietà, da quanti hanno a cuore la democrazia e la libertà. Purtroppo, di spinte autoritarie e in qualche modo “fasciste” ce ne sono tante, in questa fase, in Europa e nel mondo. Bisogna combatterle con la forza della democrazia, della partecipazione e dell’antifascismo.

Matteo Giordano

Classe 1996, studia Filosofia all'Università La Sapienza di Roma. Fa parte della redazione della rivista Pandora - rivista di teoria e politica.