Ripartire da Wolfsburg. In campagna elettorale per LeU nella città dei lupi

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“Wolfsburg” è un nome che ho imparato con difficoltà. Ho appreso l’esistenza di questa cittadina a un’ora di treno da Berlino attraverso il contatto con il “compagno Rocco Wolzbourg” (così ancora salvato sulla rubrica del mio telefonino, a riprova che questo nome è stato un po’ ostico per la mia memoria). Mi sono recato a Wolfsburg (la città dei lupi) oramai alcune volte e un abisso mi separa da quelle prime ore spese a vagabondare per la zona antistante la stazione.

Esteticamente è una città in cui l’unico monumento sono le ciminiere degli stabilimento della Volkswagen. La prima pietra fu posta da Adolf Hitler per quella che doveva essere una città da far nascere dalle foreste. Cent’anni fa i lupi erano davvero gli abitanti di queste terre. Davanti alla stazione una statua ricorda quello che per Wolfsburg è un monumento vivente: le migliaia di italiani che qui si trasferirono (incoraggiati da Mussolini prima e papa Pio XII poi). La statua è un bronzo di media altezza raffigurante un giovane italiano dalla chioma d’altri tempi e con in mano una valigia di cartone che ancora in molte famiglie si conserva quale reliquia di fiducia e di memoria. Questi nostri compagni di italianità hanno dapprima vissuto in baracche di legno, nei pressi di quello che oggi è un bellissimo stadio. Vivevano in quattro per prefabbricato in un’area cintata da filo spinato, lontana dai negozi e vicina solo alla fabbrica. Gli italiani all’epoca erano visti solo come braccia da lavoro e trattati con minore riguardo delle macchine. Ancora oggi spesso è così, perché l’Italia continua a non riuscire a mostrare un volto materno e accogliente a tutti gli italiani.

Wolfsburg però è la storia di chi ce l’ha fatta, di chi è riuscito a integrarsi in una città industriale così tanto tale, che tutti concordano sul fatto che “la moglie si potrà anche prestare, ma l’auto no”. In questa piccola comunità in mezzo ai boschi noi troviamo un punto privilegiato per chiedere che la XVIII legislatura imbocchi rapidamente la strada dello sviluppo integrale dell’Italia per tutti gli italiani, ovunque essi risiedano. Wolfsburg ci parla di industria multinazionale, automazione, concertazione sindacale, integrazione degli immigrati, legame fra dinamiche economiche e caratteristiche urbane, sociali, relazionali. Vista da Wolfsburg l’Italia è bellissima, popolata di storie e di impegno civile che davvero le meriterebbero una medaglia nazionale. A Wolfsburg l’Italia ha dato il meglio di sé, dimostrando che, come Rocco, si può arrivare soli e con una piccola valigia di cartone, spendere questi giorni a mettere volantini nelle buche per LeU, e nel mezzo essere stato il segretario del sindacato metalmeccanico locale, consigliere comunale per quindici anni, parte della creazione del primo impianto sportivo italiano in Germania, ed essere solo una delle persone – tutte ugualmente eccezionali – che hanno creato il comitato promotore LeU Wolfsburg.

Tutti coloro che ho incontrato del comitato sinceramente soffrono nella loro carne i patimenti dei giovani italiani che oggi il lavoro umilia in patria e sfrutta all’estero. Un giovane pensionato seduto vicino a me alla nostra prima riunione non riusciva a parlare per il groppo in gola datogli dal pensiero dell’emigrazione e del modo in cui l’Italia non solo costringe a emigrare, ma lascia le persone sole nel processo di emigrazione.

Ripartire da Wolfsburg vuol dire ripartire dal lavoro e dalla vita vera dell’emigrazione, ritrovare quel “santo groppo in gola” che dovrebbe farci fermare a pensare a come stiamo sfregiando, non tanto la Patria (per quello basta chiedere ai primi emigrati, quelli che Mussolini mandò a Wolfsburg come in Russia), quanto invece sfregiando l’umanità italiana, che quella sì è la vera patria che ci tiene insieme al di là del territorio e delle contingenze. Ripartire da Wolfsburg vuole anche dire, come ho avuto occasione di affermare a un incontro pubblico cui – a Berlino – ha partecipato Luciana Castellina, rivendicare che solo Liberi e Uguali può vantare di avere il proprio “faro” nel libero e pieno sviluppo della persona umana. Queste parole sono ben più di una frase del Programma LeU che abbiamo votato a Roma, esse sono il segreto dei nostri militanti. In LeU ho visto solo personalità uniche che si arricchiscono nella diversità e sono fuse insieme dal calore della saldatura morale, etica e ideale.

A Wolfsburg i metalli sono cultura diffusa e le saldature sono belle e fatte per durare. Votiamoci allora ai compagni di Wolfsburg, affinché LeU sia ovunque quella fusione a caldo, quell’unità nella diversità, quel dialogo fra generazioni, quel desiderio di servizio che io ho incontrato a Wolfsburg e che, commosso, non potrò mai dimenticare. Ricordare Wolfsburg, che le mie parole descrivono solo malamente è una bella immagine che credo dovremmo inserire nell’album della nostra famiglia politica, cui da Wolfsburg auguro continuità e fedeltà a quello che l’esempio di Wolfsburg ci chiama a essere e diventare.

Gabriele D'amico

Torinese, avvocato, appassionato di diritto ed economia della cultura, dottorando fra Berlino e Gerusalemme in diritti umani e diversità culturale. Consapevolmente olivettiano, credo nella capacità umana di superare la gregarietà del sistema limbico e ragionevolmente spero in un futuro di sviluppo umano integrale.