Scuola, Università e ricerca, beni preziosi della nostra democrazia

Primo piano e Scuola

Appunti e priorità programmatiche del Dipartimento Scuola, Università e Ricerca in vista delle Agorà e del confronto politico a sinistra. Documento approvato nella riunione del Dipartimento il 18 gennaio 2022

 

Una premessa

Sinistra è tensione, etica e politica, verso il superamento dei propri limiti.

Nella vicenda di Articolo Uno vogliamo cogliere questa tensione e un’ispirazione dialettica: nascere e vivere non già per rimanere chiusi nel recinto della testimonianza, ma per provocare lo sviluppo di un contesto più avanzato. Se le Agorà servono a questo, con spirito unitario ma anche sfidante, vanno verificate, senza dar nulla per scontato.

Occorre allora essere esigenti, con gli altri, ma anche con noi stessi, consapevoli delle disillusioni e dei limiti, delle sconfitte e dei fallimenti, cercando di tenere alta l’asticella della visione ideale e valoriale.

Abbiamo affrontato il mare aperto, non dobbiamo finire nel piccolo cabotaggio. Oggi più che mai, riprendendo un vecchio adagio, non conta da dove vieni, ma dove vuoi andare.

Occorre per questo non perdere mai di vista il profilo politico, per un progetto che potrà trasformarsi in nuovo soggetto (nuovo e diverso rispetto a quel che oggi c’è) se saprà nutrirsi di idee e proposte sostenute da un processo democratico e partecipato, e che faccia della discontinuità il proprio faro.

Deve essere chiaro, in partenza, l’obiettivo, che è per noi ambizioso e radicale: una nuova sinistra plurale nell’orizzonte dell’eco-socialismo.

Allo stesso tempo mettiamo sul tavolo proposte plausibili, politicamente praticabili perché quello che ci interessa è il confronto e il risultato, cioè la condivisione di intenti da parte di un campo più ampio e la costruzione di un pezzo di una pratica di governo.

In questo sta il senso della nostra partecipazione alle Agorà e anche la necessità che avvertiamo di elaborare e rielaborare un punto di vista autonomo sulle cose, il nostro, utile per affrontare con idee e contenuti questo percorso ma anche per confrontarsi con quelle realtà e quei soggetti che legittimamente non hanno scelto il perimetro delle Agorà.

Questo documento offre una sintesi di quelle che consideriamo le priorità (in termini di problemi aperti e di proposte politiche) nell’ambito delle tematiche della scuola, dell’Università e della ricerca.

 

Sette presupposti

 

  1. L’unità del Paese è per noi la prima priorità e la prima preoccupazione, in un contesto in cui l’approvazione del disegno di legge sul regionalismo differenziato produrrebbe guasti enormi e nuove diseguaglianze anche negli ambiti della cultura, dell’istruzione e della ricerca.

 

  1. Occorre ridare all’Istruzione, alla scuola e all’Università, la dignità e la centralità che meritano. Già lo sono, per collocazione oggettiva e vocazione: settori strategici per lo sviluppo della democrazia, della cultura e della legalità; e strumento di lotta contro le diseguaglianze, per la libertà di ciascuno e di tutto. Restituire a questi luoghi e a chi li abita la dignità e la centralità che meritano è la missione fondativa della sinistra.

 

  1. Critica a una subalternità ventennale nei confronti del modello neo-liberista anche nell’ambito delle politiche sulla conoscenza. In questo è necessario un giudizio netto sulle riforme ancora in via di applicazione (Gelmini e Renzi, dannose, già bocciate dagli insegnanti e dagli studenti). Le riforme necessitano di idealità, di sperimentazione e di verifica, di ricerca e di prospettiva. Vi è la necessità di una de-burocratizzazione dell’intero sistema scolastico, di una riforma complessiva dei cicli, che non soggiaccia alla mera — e unica — logica del risparmio e del frettoloso inserimento lavorativo, ma che ambisca a garantire il diritto allo studio, anche in considerazione di una preparazione di base solida e necessaria per un mondo in continuo cambiamento. Al tempo stesso va bandito il falso mito della meritocrazia, che copre spesso logiche classiste e diseguaglianze ataviche.

 

  1. Riteniamo che la scuola italiana debba rimanere ancorata ai valori della Costituzione. La Repubblica, grazie alla Costituzione, è un sistema di beni comuni, in cima ai quali sono valori quali la libertà, l’eguaglianza, la giustizia sociale, la laicità e, insieme, la salute, l’ambiente, la scuola. Durante la pandemia anche i più attardati sulle ideologie dell’egoismo sociale hanno dovuto riflettere sul fatto che è grazie all’affermazione di questi beni che si gioca la qualità della vita. La scuola, come la Repubblica, deve essere aperta e inclusiva. Lo dice la Costituzione: dall’articolo 3 (“eguaglianza sostanziale” e “non discriminazione”, in ordine al “pieno sviluppo della persona umana”, che si traduce nel “diritto all’apprendimento”) all’articolo 30 (sulla responsabilità educativa dei genitori) e all’articolo 33 (sulla libertà di insegnamento quale principio imprescindibile di garanzia dell’interesse generale: “L’arte e la scienza sono libere e libere ne è l’insegnamento”).

 

  1. La quinta priorità è per noi l’inclusione, diritto costituzionalmente garantito, come indica il primo comma dell’articolo 34 (“La scuola aperta a tutti”). Tuttavia, malgrado i grandi passi in avanti fatti negli anni Settanta del secolo scorso, il diritto allo studio non è ancora un diritto di tutti e tutte, come dimostra il fatto che l’Italia sia uno dei Paesi in Europa dove è maggiore la dispersione scolastica. Noi scegliamo, per esempio, di guardare la scuola con gli occhi degli studenti con disabilità. Per capire quale e quanto sia, ancora, la strada da percorrere.

 

  1. Restituire centralità all’istruzione perché la scuola educa solo se istruisce. È un’illusione pensare che una scuola senza conoscenza possa realmente formare persone competenti. Occorre tornare a dare un forte peso specifico alle “conoscenze” senza le quali non può esservi alcun discorso culturale. L’innovazione didattica, se non è finalizzata all’acquisizione profonda delle conoscenze, si riduce a moda effimera, nella misura in cui diventa il sostegno a un’idea di competenza non fondata sulla conoscenza. Per dare centralità all’istruzione occorrono, piuttosto, maggiori investimenti economici, una restituita dignità anche salariale agli insegnanti, l’inclusività strutturale della scuola stessa.

 

  1. La drammatica esperienza pandemica ci ha lasciato e ci sta lasciando in dote un bagaglio di riflessioni straordinarie, non ordinarie, sul presente e sul futuro dell’istruzione. Avvertiamo l’esigenza di approfondire in chiave di ricerca queste questioni, in primo luogo quelle che si collocano sul crinale del rapporto tra insegnamento e digitale, tra didattica e progressi della tecnica. In via del tutto preliminare, ci permettiamo di segnalare due cose: che la DaD non può essere lo strumento ordinario che sostituisce la didattica in presenza; e che, al contempo, essa è stata sin qui uno strumento necessario per garantire, almeno in parte, e con molti limiti (a partire da quelli messi in evidenza dal complicato impatto sugli alunni con disabilità), il diritto all’apprendimento. Una scialuppa al fine di rendere meno drammatico il naufragio.

 

 

Scuola

 

  1. Maggiori investimenti

 

Una scuola universale e di qualità necessita anzitutto di risorse economiche maggiori rispetto a quelle che oggi sono assicurate. La nostra proposta è di legare i finanziamenti al prodotto interno lordo, secondo un valore in linea con la media UE.

Offrire giuste risorse alla scuola significa creare nuovi laboratori; migliorare l’edilizia scolastica, non soltanto dal punto di vista della sicurezza e della riduzione del rischio, ma anche nella realizzazione di edifici che tengano in considerazione una qualità innovativa degli spazi stessi; reintrodurre la medicina scolastica e i medici scolastici; più personale per eliminare finalmente le classi-pollaio, tendendo a un numero di studenti per classe intorno a 15; prolungare gli orari di apertura; estendere la gratuità scolastica e, innanzitutto, ridurre la dipendenza dei singoli istituti dai progetti di finanziamento straordinari e occasionali.

Occorre, al contempo, ripensare alle scuole non solo come edifici scolastici e luoghi educativi ma anche come spazio pubblico e presidio sul territorio, in cui incrementare buone pratiche: mobilità sostenibile, offerta di spazi verdi, svolgimento di attività sportive e culturali, aggregazione sociale.

Anche questo significa rendere effettivo il diritto allo studio e la gratuità degli studi almeno fino all’espletamento dell’obbligo scolastico.

 

  1. No alla concorrenza tra le scuole

 

In questi anni una delle parole d’ordine che si è abbattuta sulla scuola è «school choice». A tutta prima questa idea può sembrare democratica perché consente a ciascun genitore di iscrivere il figlio nella scuola della città che preferisce e può essere da stimolo per i diversi istituti, messi in competizione virtuosa gli uni con gli altri per conquistare il maggior numero possibile di studenti. In realtà si tratta di un grosso errore. Si può facilmente stimare che le 5400 scuole secondarie di secondo grado spendano complessivamente ogni anno circa trenta milioni di euro per «attività di orientamento» e «open day», consistenti nello «spiegare» agli studenti e ai genitori delle scuole secondarie di primo grado (le «medie») che la loro scuola è migliore di quella del paesino vicino.

Questo modello è sbagliato perché presuppone che esistano scuole di serie A, di serie B e di serie C, magari le prime a pagamento privato, rivolte per le famiglie più abbienti e con la funzione di riprodurre il ceto di provenienza, e le altre destinate a versare in situazioni critiche e a riprodurre ghetti e differenze sociali.

Non è questa la scuola che vogliamo: noi crediamo che la scuola di Bolzano e quella di Lampedusa, la scuola dei Parioli e quella di Scampia, debbano offrire agli studenti le medesime opportunità di partenza, lo stesso insegnamento di qualità necessario per concorrere alla pari alla vita economica, civile e democratica del Paese.

Per questo non occorre sprecare soldi per stimolare la concorrenza fra le singole scuole, ma attuare una seria politica di programmazione che consenta di offrire a tutte le zone d’Italia un’offerta formativa completa, tenendo conto sì degli andamenti demografici, ma anche delle peculiarità territoriali, per difendere ampie fasce del territorio da fenomeni di abbandono e di impoverimento. Le scuole sono un presidio territoriale di democrazia e di legalità. Per questo è necessario dedicare maggiori risorse o mandare più docenti in zone di periferia piuttosto che in altre. Non bisogna, quindi, limitarsi a costruire scuole laddove mancano, ma anche definire gli organici in funzione delle esigenze territoriali e degli andamenti demografici così da attenuare le oscillazioni nelle iscrizioni.

La nostra proposta operativa è allora quella di reintrodurre il bacino territoriale di competenza e consentire le iscrizioni fuori di esso solo in casi oggettivamente motivati (per esempio: mancanza di offerta formativa specifica nella zona o particolari e documentate esigenze di famiglia). In tal modo riteniamo tra l’altro che si possano stabilizzare gli organici, evitare sprechi di risorse e consentire una migliore programmazione dell’offerta scolastica territoriale.

Allo stesso tempo, perché questo non produca paradossalmente l’ulteriore abbandono e l’ulteriore ghettizzazione di scuole collocate in quartieri più difficili, ribadiamo la necessità di investimenti mirati, tesi a garantire universalmente il massimo della qualità e delle opportunità.

 

  1. Inclusione

 

Formazione del personale scolastico

La nostra scuola deve farsi promotrice di una cultura dell’inclusione, che richiede:

  • personale docente professionalmente competente (quindi formazione iniziale professionalizzante e aggiornamento in servizio obbligatorio (con astensione dalle attività lavorative durante la formazione),
  • dirigenti scolastici “preparati”.

 

No alla separazione delle carriere”; sì alla corresponsabilità docente

È importante che ogni docente, adeguatamente formato e periodicamente aggiornato, interagisca, progetti e collabori con i colleghi del Team o del Consiglio di classe, al fine di garantire il diritto allo studio di tutti gli studenti e in particolare   di quello degli alunni con disabilità all’interno delle classi comuni. Altre soluzioni, come l’ipotesi di introdurre la “separazione delle carriere o l’istituzione di una classe di concorso per il sostegno”, risultano in contrasto con la progettualità inclusiva che, invece, richiede corresponsabilità e collegialità. Al contrario, occorrerebbe valutare la possibilità di estendere il più possibile le cattedre miste, facendo in modo che ciascun docente sia, per una parte del proprio orario, anche docente di sostegno.

 

Documentazione

Per quanto concerne l’inclusione degli alunni con disabilità, va detto che la documentazione emanata recentemente dal Ministero dell’Istruzione (D.I. 182/2020 e allegati) mostra un’impostazione organizzativa e culturale in netto contrasto con i principi inclusivi le cui radici risalgono agli anni Settanta del secolo scorso. Il DI 182/2020, che introduceva forme discriminatorie nei confronti degli alunni con disabilità (si pensi all’esonero dallo studio di alcune discipline o alla riduzione dell’orario scolastico fino alla esclusione della famiglia dal potere decisionale in sede di GLO), è stato infatti “interamente annullato per illegittimità” dal TAR del Lazio con la Sentenza n. 9795.

È importante vigilare non solo perché queste derive non si verifichino, ma anche per accertarsi che i provvedimenti emanati rispondano pienamente alla garanzia del diritto allo studio e alla tutela di ogni diritto nei confronti degli alunni con disabilità.

Contestualmente è importante seguire l’iter della stesura di un nuovo modello di PEI, che si caratterizzi per essere un efficace e agile strumento di documentazione e di lavoro, frutto della reale condivisione fra docenti della classe, genitori degli alunni con disabilità e specialisti ASL.

 

  1. Diritto allo studio, lotta alle disuguaglianze

 

Il diritto all’istruzione, così come sancito dalla nostra Costituzione si concretizza solo se si creano le condizioni per cui ogni studentessa o studente, indipendentemente dalla propria condizione socioeconomica di provenienza, possa dimostrare di essere capace e meritevole. È compito dello Stato e delle sue articolazioni territoriali favorire queste condizioni, intervenendo, dove necessario e secondo un principio di equità, con politiche di sostegno alle famiglie e ai ragazzi e alle ragazze che versano in condizioni di disagio socioeconomico, garantendo un servizio di trasporto pubblico efficiente, sostenibile ed economicamente accessibile e l’accesso alla rete e alla cultura su tutto il territorio nazionale.

In poche parole mettendo fine al modello classista che si sta sempre più consolidando nel mondo della scuola.

Riteniamo necessario emanare una legge sul diritto allo studio scolastico che revisioni l’attuale contributo per libri di testo istituito nel 1998, che prevede gli stessi criteri di riparto tra le regioni –- ormai datati –- e lo stesso ammontare di fondo — pari a 103 milioni di euro — da 24 anni. Non esiste alcuna rilevazione su come le regioni eroghino questo contributo: a quanti studenti e per quale ammontare.

Nel 2017 è stata istituita la borsa IoStudio al fine di contrastare il fenomeno della dispersione scolastica, ragione per cui è stato costituito presso il MIUR il “Fondo unico per il welfare dello studente e per il diritto allo studio” con una dotazione di 30 milioni di euro per l’anno 2017, 33,4 milioni di euro per il 2018 e 39,7 milioni di euro annui a decorrere dal 2019. Il Fondo serve a finanziare borse di studio per studenti iscritti ad un istituto secondario di II grado per sostenerne la spesa per i libri di testo, per mobilità e trasporto, o per l’accesso a beni e servizi di natura culturale. Le Regioni hanno autonomia nel fissare sia l’importo della borsa di studio, entro un range compreso tra 200 e 500 euro, sia la soglia ISEE per avere diritto al beneficio (non sopra i 15.748,78 euro). La procedura per individuare i beneficiari e le modalità di erogazione sono lunghe e farraginose per cui una parte dei mandati di pagamento non vanno a buon fine, oppure non vengono riscossi dagli studenti. Anche riguardo a questo intervento il Ministero non effettua alcuna rilevazione dati.

La materia del diritto allo studio, in quanto concernente i diritti civili e sociali da garantirsi su tutto il territorio nazionale, rientra a pieno titolo tra i livelli essenziali delle prestazioni di esclusiva competenza statale.

Un ulteriore pilastro della lotta alle disuguaglianze è senza dubbio il tempo pieno.  Il modello del tempo pieno può significare l’estensione degli insegnamenti curriculari, concedere tempi di apprendimento consoni ai ritmi di tutti gli allievi, offrire la possibilità di studiare il pomeriggio insieme ai propri compagni, la comparsa di attività integrative, inizialmente individuate come “insegnamenti speciali”, per arricchire quella che oggi si definisce l’offerta formativa. La gestione didattica di questa nuova complessità impone il ricorso a una collegialità effettivamente diffusa e praticata a più livelli.

Comunque, al di là di un “romanticismo pedagogico” che vagheggia il tempo pieno delle origini, è la stessa OCSE che ci potrebbe aiutare a riscoprirne l’attualità, quando rilancia alla Scuola l’imperativo del “ripensare e riprofessionalizzare” i propri compiti, verso un duplice obiettivo di garantire accoglienza, tenuta sociale, confronto tra diverse culture, condivisione di regole, convivenza civile e, soprattutto, la garanzia di competenze di base assicurate per tutti, sotto forma di una solida formazione al pensare, di gusto nell’affrontare i problemi, di creatività, di capacità meta-cognitiva.

Di particolare rilevanza è il servizio di ristorazione scolastica che, negli ultimi  anni, è stato oggetto di diverse discussioni. Riguardo alla mensa esiste una lunga tradizione pedagogica rispetto al suo giusto inserimento nel progetto educativo delle scuole e nel perseguimento di una cultura del benessere fortemente collegata ad un mangiare sano e corretto e in un’ottica più ampia, che apra a una consapevolezza delle conseguenze delle proprie scelte e che comprenda, quindi, anche un’educazione al territorio e alla sostenibilità.

L’estensione del servizio anche alle secondarie di primo e secondo grado, oltre a dar vita a un percorso di educazione alimentare in un’età in cui è facile sviluppare disturbi alimentari, garantirebbe un pasto adeguato ad un orario adeguato a molte studentesse e molti studenti.

Infine, la Scuola è e continua ad essere il luogo in cui tutte le diversità vengono considerate per quello che realmente sono, cioè una grande ricchezza.

La diversità, in tutte le sue forme, è parte integrante della società che immaginiamo. Una società istruita e inter-culturale, libera da stereotipi di genere, attenta all’ambiente, che garantisca a ognuno la libertà di scegliere dove vivere, ricca di diversità che non coesistono semplicemente ma che si completano.

Una società e uno Stato che riconosce, secondo un principio di contrasto alle discriminazioni, a chi ha studiato in Italia, indipendentemente dalle sue origini geografiche, il diritto alla cittadinanza.

 

  1. Formazione iniziale degli insegnanti

 

Vi è grande preoccupazione per la possibile approvazione di misure (l’aggiunta di 60 crediti al percorso già previsto per le lauree magistrali come prerequisito per le prove di accesso a ruolo) che rischiano di compromettere la tenuta del sistema universitario in uno dei suoi compiti primari, la didattica, e di non accordarsi con la programmazione del fabbisogno di personale nelle scuole secondarie. Occorre invece costruire un percorso chiaro e ben organizzato per la formazione all’insegnamento nelle scuole secondarie. Non un percorso fai da te, ma un periodo di formazione espressamente dedicato al raggiungimento dei profili docenti che scuola e università congiuntamente definiscono.

 

  1. Reclutamento, stabilizzazione insegnanti

 

Una riflessione a parte riguarda il reclutamento e la stabilizzazione dei precari, in particolare di coloro per i quali la condizione di precariato si sta protraendo da almeno tre anni. Anche in questo caso occorre costruire un percorso chiaro e un concorso conforme a quello che è il lavoro dell’insegnante, ascoltando e tenendo aperto il dialogo con i sindacati.

Sulla formazione dei docenti precari è necessaria un’ulteriore riflessione che riguarda il fenomeno della mercificazione della conoscenza e la conseguente discriminazione che ne deriva, in atto ormai da diversi anni e che riguarda, in particolare, le modalità di acquisizione dei 24 cfu, requisito necessario sia per la partecipazione ai concorsi ordinari sia per i nuovi inserimenti nelle graduatorie GPS, e le modalità di acquisizione di certificazioni di titoli che danno diritto a un punteggio nelle graduatorie supplenti.

Un analogo discorso può essere fatto riguardo al conseguimento dell’abilitazione all’insegnamento e della specializzazione per il sostegno.

 

  1. Aumenti salariali per gli insegnanti di ogni ordine e grado

 

Aumentare gli stipendi in modo orizzontale e paritario portandoli al livello della media europea, interrogandosi sulla possibilità di uno sviluppo professionale degli insegnanti.

È una questione da affrontare con determinazione e con professionalità: non intendiamo sostituirci ai compiti propri dei sindacati, bensì sollecitare la politica al suo ruolo e al suo impegno per garantire, anche con il giusto riconoscimento economico, dignità e autorevolezza agli addetti di un settore strategico e centrale per lo sviluppo del Paese.

 

  1. No alla sperimentazione dei licei quadriennali

 

La sperimentazione dei licei quadriennali ha ancora una volta il senso di proporre “meno scuola e meno conoscenze” per gli studenti e per le studentesse del nostro Paese. L’approccio appare improprio anche nel metodo: si tratta, infatti, di una riforma mascherata, per altro sostenuta con motivazioni che non reggono alla prova dei fatti (i giovani entrano nel mercato del lavoro pressoché alla stessa età in tutta Europa; e gli esiti dei Test Invalsi di chi ha studiato 4 anni sono simili a quelli di chi ha studiato 5 anni).

 

  1. Quali Invalsi?

 

L’Invalsi va ridefinito e rivisto radicalmente, recuperando l’obiettivo originario di strumento di indagine che, in sé, può senz’altro contribuire al miglioramento del sistema, fornendo elementi utili per orientare e definire al meglio l’azione di intervento in ciascuna istituzione scolastica.

Accanto quindi a una seria attività di indagine, finalizzata a contribuire al miglioramento del sistema, Invalsi potrebbe produrre test e materiali di valutazione su varie discipline di ogni ordine di scuola, e tali test e materiali potrebbero essere utili agli insegnanti, che li personalizzerebbero rispetto al gruppo-classe e/o ai singoli discenti.

Questi materiali potrebbero diventare per gli insegnanti un utile strumento di lavoro quotidiano, un aiuto per orientarsi nel loro percorso didattico.

Non devono in nessun caso essere utilizzati per valutare gli studenti, gli insegnanti o le stesse scuole né avere valore orientante. Men che meno pensare che i risultati dei test possano sostituire altre valutazioni (come gli esami).

 

Università

 

  1. Maggiori finanziamenti

 

Bisogna agganciare il FFO dell’università allo 0,75% del Pil, all’incirca come avviene in Spagna e molto meno di quanto accade in Francia e in Germania (ora siamo allo 0,45-0,5%, all’incirca 8-8,5 miliardi): per garantire dovuti riconoscimenti, anche salariali, a professori, ricercatori, funzionari, impiegati tecnici e amministrativi e per garantire fondi di ricerca ordinari a tutti i professori e ricercatori.

 

  1. Stipendi

 

Soddisfare le richieste giuridico-salariali relative al blocco degli stipendi negli anni 2011-2015, dotare gli Atenei di una sufficiente disponibilità di risorse per finanziare medio-piccoli progetti di Ateneo, per far sì che a tutti i ricercatori e professori sia consentito, sia pure con limitate risorse, di poter svolgere una attività di ricerca (che comprende strumentazioni, missioni per conferenze, inviti a soggiornare per collaborazioni e interazioni magari per periodi medio-brevi, scienziati di fama internazionale).

 

  1. Eliminazione del tetto al turnover nazionale

 

Attualmente, il turnover, cioè la sostituzione con nuove assunzioni del personale andato in pensione, non può superare, nazionalmente, il 100 per cento, il che significa che per tanti che sono andati in pensione, tanti saranno assunti, non uno di più.

Da più parti si chiede l’abolizione dello strumento «Punto organico» (che indica quanti professori ordinari equivalenti puoi assumere), che è stato escogitato per consentire al governo di controllare le assunzioni da parte degli atenei, e l’eliminazione del tetto nazionale del turnover massimo del 100 per cento.

Recentissimi studi hanno mostrato come, a legislazione vigente, senza aumentare il FFO di un solo centesimo, eliminando il vincolo di non poter assumere nazionalmente più professori e ricercatori di quanti siano andati in pensione l’anno precedente, con la sola ovvia disponibilità di fondi, molte università del Sud, in regola con i bilanci, potrebbero assumere addirittura più personale di quello andato in pensione.

 

  1. Diritto allo studio

 

Il sistema del diritto allo studio, in senso stretto, si configura nell’erogazione della borsa di studio, del posto letto per i fuori sede e del contributo di mobilità internazionale – se gli studenti borsisti vanno in mobilità – nonché nell’esonero delle tasse universitarie.

Cosa occorre?

  • Informazione sul sistema di sostegno a partire dagli ultimi due anni delle scuole secondarie di II grado: chi può accedervi, i limiti ISEE e ISPE per accedervi e a cosa si ha diritto;
  • Un unico sistema su tutto il territorio nazionale per richiedere la borsa di studio (analogamente al sistema per effettuare le iscrizioni);
  • Erogazione anticipata della rata di borsa (mentre attualmente avviene ad anno accademico inoltrato);
  • Revisione del sistema di finanziamento: lo Stato deve cofinanziare almeno per il 70% del fabbisogno regionale al netto del gettito della tassa regionale per il DSU affinché scompaia per sempre la figura dell’idoneo non beneficiario;
  • Introduzione di un contributo affitto per gli studenti con ISEE basso (in luogo della detrazione che è di importo irrisorio e che viene erogato come rimborso spese);
  • Tariffe agevolate per il trasporto pubblico: protocollo a livello nazionale;
  • Cofinanziamento statale a favore delle strutture ristorative (mense) affinché i locali vengano rinnovati;
  • Realizzazione di una piattaforma web per annunci di affitti per studenti a canone agevolato.

 

  1. Reclutamento

 

Il DDL 2285 su cui sta lavorando la VII Commissione del Senato (che opera in sede redigente) consiste in una riforma del sistema di reclutamento universitario. Questa riforma purtroppo non mette in discussione il quadro generale che insiste dall’approvazione della L. 240/2010, ovvero, l’assunto che i lavoratori della ricerca vadano inquadrati unicamente in contrattualizzazioni a tempo determinato, né comporta un serio investimento di risorse in grado di far invertire il trend di complessiva riduzione dell’organico universitario.

Ciò detto, la riforma, che tra le sue origini vede le proposte che hanno caratterizzato la campagna “Ricercatori determinati”, promossa da FLC-CGIL e ADI nel 2019-2020, ha l’apprezzabile obiettivo di ridurre la durata della precarietà nel pre-ruolo universitario.

In particolare, si nota positivamente la riduzione del tempo massimo in cui si può restare in regime di assegno di ricerca (dai 12 attuali a 4 anni) e l’introduzione di un unico contratto da ricercatore in tenure track in sostituzione del sistema binario di RTD-A e RTD-B (solo quest’ultimo in tenure) attualmente in vigore: il Ricercatore a Tempo Determinato (RTD), un “ruolo” della durata di 7 anni al termine dei quali, ottenuta una abilitazione nazionale, l’Ateneo valuta l’attività del RTD e può “promuoverlo” nei ruoli di Professore Associato).

Le criticità presenti in questo testo sono di due tipi. La prima è la non cancellazione della forma contrattuale più precaria attualmente esistente, la “borsa di ricerca”, che in questo testo viene ricondotta a un uso propedeutico all’ingresso in un Dottorato di ricerca.

Ma le maggiori criticità emergono quando si tratteggia il sistema transitorio necessario, nel caso dell’approvazione di questa riforma, a traghettare il comparto dal sistema attuale a quello previsto nel DDL: senza una divisione dei futuri posti disponibili “per quote” tra soggetti già attualmente titolari di RTD-A e quelli in corso di post-doc o di dottorato si scatenerebbe un preoccupante “tutti contro tutti” che rischierebbe di invalidare i benefici contenuti nel testo suddetto.

 

  1. Valutazione

 

L’ANVUR, agenzia tecnocratica di valutazione del sistema universitario, ha di fatto assunto il ruolo di arbitro della politica universitaria, esorbitando dalle sue funzioni originarie. Importanti scelte di distribuzione delle risorse sono determinate non da un’analisi politica, che tenga conto di fattori sociali, economici e culturali, ma dal risultato di parametri dalla discutibile base scientifica che, dando l’idea di essere univocamente determinate, in realtà nascondono scelte arbitrarie. Come è stato ampiamente documentato, questo modello legittima le differenze già esistenti sulla base delle quali è oggi distribuita la quota cosiddetta premiale dei finanziamenti alle università.

Per questo motivo serve un cambio radicale dell’ANVUR. Bisogna passare da una valutazione sostanzialmente punitiva ed escludente a una valutazione che individui e monitori carenze, ritardi, omissioni, debolezze e consenta ai governi di intervenire per aiutare a superare le difficoltà registrate su tutto il territorio nazionale.

 

Enti Pubblici di Ricerca

Il ruolo degli Enti pubblici di ricerca (EPR) deve essere inserito in un sistema virtuoso basato sulla forte interazione tra la formazione, l’alta formazione e la ricerca. Questo sistema si deve impegnare a coinvolgere tutti i portatori di interesse del sistema Paese: dagli studenti e insegnanti della scuola ai ricercatori, dai comuni cittadini agli esponenti del sistema produttivo che vogliono innovare.

Un Paese che intende dirsi moderno costruisce se stesso sull’integrazione delle conoscenze, delle competenze e dei bisogni sociali e non sulla continua contrapposizione di interessi. Per alcuni degli EPR italiani (si veda, ad esempio, il CNR) questo principio di funzionamento è parte significativa della propria stessa missione.

È importante mettere in evidenza che fra le attività e le competenze che attengono agli EPR non bisogna trascurare quelle relative alla progettazione/realizzazione/gestione di grandi, medie e piccole infrastrutture sia a supporto della ricerca sia a tutela del territorio e dei cittadini.

Non può essere, inoltre, considerato secondario il fatto che tale forte interazione spesso avviene su scala locale: di conseguenza, ogni impoverimento di ciascuna delle componenti sopra citate non può che avere gravissime ripercussioni sull’intero tessuto sociale prima a livello locale e poi inevitabilmente globale.

Affinché questo obiettivo possa efficacemente realizzarsi è necessario affrontare e risolvere il doppio problema che affligge il comparto della ricerca:

  1. l’elevata età media del personale (soprattutto quello ricercatore e tecnologico);
  2. un’elevatissima percentuale di rapporti di lavoro a termine e/o precario.

Senza un vero piano strutturale che preveda un coinvolgimento di nuove leve nel settore della ricerca ogni possibilità di superare tale difficoltà sembra vana.

Per quanto concerne in maniera più specifica gli EPR (il CNR in primis, ad esempio), la limitata quota di finanziamento ordinario (FOE) proveniente dai Ministeri competenti (nello specifico il MIUR), nonostante i recenti ma minimi aggiornamenti, non è in grado di garantire neanche più il mero funzionamento delle strutture e infrastrutture mettendo a rischio tutte le attività (non solo quelle di ricerca).

Si consideri, ad esempio, che ultimamente la direzione del CNR ha messo in campo la possibilità di attingere quote significative delle risorse finanziare provenienti da progetti (sono ormai decenni che la ricerca in Italia si finanzia quasi completamente tramite la partecipazione a “call” nazionali ed europee e non grazie a risorse messe a disposizione dal Ministero) per sostenere il funzionamento ordinario dell’Ente.

Si consideri, inoltre, che la parte maggioritaria delle collaborazioni di giovani ricercatori alle attività dell’Ente è finanziata usando le risorse rese disponibili dai suddetti progetti, ma un sistema che non è in grado di attrarre e conservare il necessario contributo di energie giovani è insano e destinato a implodere.

Alcuni spunti di riflessione che attengono alla vita professionale e alla qualità delle condizioni di lavoro nell’ambito della ricerca riguardano:
a) i processi di valutazione della ricerca che non stanno solo «burocratizzando» all’estremo un processo utile e necessario, ma stanno soprattutto condizionando gli interessi e gli obiettivi della stessa attività sempre più orientata verso i «trend topics» (alla ricerca spasmodica di «pubblicazioni» e «citazioni» per gli «h-index» e altri parametri con cui, anche a dispetto di precise norme di legge, vengono valutati ricercatori e tecnologi). Ciò avviene a detrimento di obiettivi raggiungibili soltanto a medio-lungo termine, non utili però a fini di carriera e per la valutazione anno per anno;

  1. b) la rappresentanza dei ricercatori/tecnologi negli organi e nei processi di gestione e controllo degli Enti: emblematiche sono le battaglie sostenute negli ultimi anni da alcune sigle sindacali quali la FLC- CGIL e l’ANPRI perché fossero recepite in merito le indicazioni della «Carta Europea dei Ricercatori»;
  2. c) i meccanismi per le progressioni di carriera previsti dai vari Contratti collettivi ma di fatto bloccati da molti anni.

 

Infine, vogliamo rafforzare il collegamento e l’integrazione del sistema italiano della Ricerca con quello europeo. La nascita di una o più grandi infrastrutture pubbliche della Ricerca Europea è un nostro obiettivo strategico.