Miguel Gotor: “Doveroso che il ministro venga subito in Parlamento, noi lo ascolteremo.”

Politica
Intervista a Miguel Gotor

Alessandra Longo, La Repubblica

“Lotti venga alla Camera, al Senato, dove vuole lui. E parli, chiarisca. Le mozioni di sfiducia si possono anche evitare. Noi ascolteremo e poi decideremo cosa fare. Il “noi” che usa il senatore Miguel Gotor sta per noi del Movimento Democratico e Progressista, cioè gli scissionisti del Pd. Appena usciti dal partito, ecco che assistono da fuori alla tempesta. E non le mandano a dire.

Senatore, l’inchiesta Consip ogni giorno regala nuovi dettagli. Come vi comporterete in Parlamento?

“Prima di tutto una premessa che non è banale: bisogna distinguere la dimensione penale da quella politica. La magistratura faccia quello che deve fare e, nel frattempo, è d’obbligo un atteggiamento garantista”.

Questo sul fronte penale. Su quello politico? Voterete la mozione di sfiducia dei Cinque Stelle al ministro Lotti?

“Prima di arrivare al voto mi aspetterei che da parte di Lotti ci fosse un atto di chiarezza che giudico doveroso. Chi ha responsabilità politiche dirette o indirette è bene che parli subito evitando che si inneschi la solita macchina dell’uso politico della giustizia”.

Ma l’atteggiamento dei suoi qual è?

“Discuteremo nel merito con i gruppi di Camera e Senato quando arriverà il momento”.

Essere fuori dal Pd la fa sentire ora più “leggero”?

“Certamente più libero ma la libertà è anche responsabilità”.

Che cosa emerge secondo lei da questa vicenda?

“Direi che emergono tre cose, peraltro da me e altri sempre denunciate. Emerge per primo il familismo. Dando per scontato che le colpe dei padri non ricadono sui figli, dovrebbe essere politicamente lapalissiana l’inopportunità che questi padri – mi riferisco a Boschi e Renzi – frequentino o lavorino in ambienti sensibili al sistema di relazioni che ruota intorno ai figli divenuti potenti”.

Per esempio?

“Per esempio sarebbe stato meglio se il padre della Boschi si fosse astenuto dall’incontrare Flavio Carboni. E sarebbe stato meglio che Tiziano Renzi avesse evitato il rischio dell’influenza, avendo un figlio premier. Vale il detto: “La moglie di Cesare deve essere insospettabile”.

Lei ha accennato che sono tre le cose che emergono. La seconda?

“La seconda è che c’è troppo potere in poco spazio. Ci sono reti troppo corte, un inconfondibile odore di Strapaese”.

Si riferisce al Giglio Magico?

“Mi riferisco al mondo che promana da questa inchiesta, che non avrà magari alla fine rilievo penale, ma racconta un’aria appunto da Strapaese, molto toscana”.

Essere provinciali non è un reato.

“Infatti è un valore! Viva la provincia! Però se lo Strapaese diventa una maschera e dietro ci sono reti di micropoteri e di microrelazioni, anche ambigue, allora non va più bene. Cosa c’entra tutto questo con il progetto di modernizzazione dell’Italia e del capitalismo italiano? Per 3 anni pezzi interi di classi dirigenti, pur consapevoli di questa attitudine allo Strapaese, al guinzaglio corto, si sono assuefatte”.

Il terzo elemento di riflessione?

“Da subito ho pensato che la rottamazione, al di là della retorica della rottura, fosse in realtà la parola d’ordine per celare il trasformismo funzionale poi a preparare la palude dei Verdini e dell’opacità delle relazioni”.

A proposito di Verdini, è messo male.

“Nel sistema di potere di cui parlavo c’è dentro anche lui. Sono sempre stato convinto che il Patto del Nazareno fosse un patto di potere che non riguardava solo la politica ma interessi grandi e micro di carattere economico e finanziario ancora vivi. Dentro ci stava anche la tutela giudiziaria…”.