Gotor: non bastano le lezioni in presenza. La scuola a due velocità

Primo piano e Scuola

Pubblicato su Repubblica

di Miguel Gotor

A dieci giorni dall’inizio della scuola, i primi dati della diffusione dei contagi purtroppo non sono incoraggianti. Circa seicento classi e quindicimila studenti si trovano già in didattica a distanza e l’isolamento domiciliare che si sta sperimentando aula per aula presenta il limite di non essere uguale per tutti perché sono previsti sette giorni per i vaccinati e dieci per i non vaccinati con conseguenti problemi di organizzazione della didattica.

Nonostante questi dati preoccupanti bisogna resistere senza farsi scoraggiare perché eravamo preavvisati del fatto che il ritorno a scuola avrebbe rappresentato un test importante, ma complicato, per verificare le nostre capacità di ripartenza in un settore fondamentale come l’istruzione. Ora che, al netto del susseguirsi delle varianti del virus, il cielo si va rischiarando grazie alla diffusione del vaccino e alla funzione persuasiva di “semaforo verde” del Green Pass. Tanto più che proprio il mondo della scuola ha risposto con grande senso di responsabilità alla chiamata per il vaccino e oggi il 93 per cento degli insegnanti, del personale amministrativo e di quello Ata risulta vaccinato.

Per l’equilibrio psicofisico di una generazione di studenti è troppo importante recuperare il valore e la pratica della didattica in presenza, così come è decisiva la sfida di pensare già adesso la scuola dopo l’emergenza. Infatti, sarebbe sbagliato perdere di vista i problemi strutturali che esistevano prima dell’epidemia e che continueranno a esserci anche dopo. Ne segnaliamo tre, quelli secondo noi più urgenti che le risorse del Recovery Plan possono finalmente consentire di affrontare.

Il primo riguarda la definizione di percorsi univoci e stabili per accedere all’insegnamento. Negli ultimi vent’anni per troppe volte si è cambiata strada, prima scegliendo il cammino della formazione professionalizzante, poi quello dei mega-concorsi, rompendo un elementare patto di cittadinanza tra le istituzioni e gli aspiranti insegnanti, costretti a un precariato sempre più difficile da gestire sul piano psicologico e sociale. Ciò consentirebbe di ridurre il numero degli alunni per classe, di aumentare la diffusione delle scuole nei territori e di dare un insegnamento stabile e continuativo agli studenti, tutte esigenze ineludibili per avere un’economia e una cultura della conoscenza di livello europeo.

Il secondo concerne l’elevazione dell’obbligo scolastico per rafforzare un’idea di scuola dell’inclusione che possa ritornare a essere un ascensore sociale come richiesto dall’articolo 3 della Costituzione. Si tratta di una prova cruciale per sciogliere i nodi della povertà educativa e quelli dei neet, ossia dei giovani che non studiano, non lavorano e neppure lo cercano e vivono in uno stato depressivo più o meno mascherato: in Italia sono il 23 per cento a fronte di una media europea di dieci punti inferiore.

Il terzo attiene alle risorse e alla loro adeguata gestione. Sarebbe utile individuare delle aree di “istruzione prioritaria”, equamente distribuite sull’intero territorio nazionale, per intervenire con investimenti speciali sul personale docente, sulla riduzione del numero degli studenti per classe e sulle politiche in favore degli alunni con disabilità. La faglia del disagio, infatti, non è più quella Nord/Sud, ma esistono tanti centri e periferie che convivono nella stessa città, persino con uno slittamento da quartiere a quartiere.

Così anche bisogna finanziare progetti di manutenzione e di ammodernamento delle scuole già esistenti, riqualificandole sul piano della sicurezza e del risparmio energetico, ma anche degli spazi annessi agli edifici scolastici come palestre, mense, biblioteche, architettonicamente accessibili e sostenibili. Un intervento che avrebbe effetti benefici anche sul tessuto economico di prossimità, chiamando al lavoro imprese edili, idraulici, elettricisti e piccoli artigiani di migliaia di Comuni italiani.

Insomma, affinché la scuola possa svolgere sino in fondo quella funzione di «potente antivirus» ricordata di recente dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella bisogna adottare un modello di intervento a due velocità: la prima per fare fronte di volta in volta alle emergenze derivanti dalla necessità di convivere con il virus, la seconda per prendere di petto i problemi basilari della scuola. Questa è l’unica strada che può permettere di trasformare una simile tragedia in un’opportunità di crescita in un ambito decisivo come quello dell’istruzione non per pensare al domani come spesso si dice ma, da subito, al tormentato mondo di oggi.