D’Alema e la lezione francese: “Una sinistra dall’identità forte è in grado di contenere le spinte a destra”

Esteri

Intervista a Massimo D’Alema
Alessandro De Angelis, Huffington Post

Presidente Massimo D’Alema, Macron ha fermato i populisti, questa la lettura dominante. C’è da brindare in Europa?

Innanzitutto, mi permetto di contestare l’uso dell’espressione populismo, ambigua e demonizzante. La tendenza forte, in Europa, è quella anti-establishment. Da questo punto di vista il voto francese conferma la tendenza. L’establishment tradizionale è uscito travolto, come mostra il risultato socialista e gollista.

Non la sento partecipe di tanto entusiasmo europeista, da scampato pericolo.

Perché personalmente non ho mai pensato che avrebbe vinto la Le Pen né che la Francia potesse finire come l’Ungheria, in questo clima da pericolo incombente. Bastava vedere i dati delle regionali, dove la destra ha perso tutti i ballottaggi… Insomma, la Francia è la Francia, con un tessuto anti-fascista che tiene, una solidità dello Stato, una borghesia, una struttura.

Torniamo alla catastrofe dei partiti della Quinta Repubblica.

Frutto di errori politici evidenti. I gollisti non hanno avuto la forza di rinnovare la loro leadership e si sono presentati in modo suicida. Se avessero presentato una candidatura più credibile sarebbero andati loro al ballottaggio.

I socialisti, invece, sono pressoché scomparsi.

Attenzione a una analisi superficiale. I socialisti non sono scomparsi. Hanno pagato il prezzo del fallimento di Hollande, unico presidente uscente che non si sia ricandidato. E questo li ha portati a dividersi. Una parte ha sostenuto apertamente Macron, persino le dichiarazioni di Hollande andavano in questa direzione, oltre all’appoggio esplicito di Valls, un’altra parte ha sostenuto Hamon e altri ancora Mélenchon. Il socialismo francese ha sempre avuto più anime – quella più radicale e critica verso l’Europa e quella più europeista alla Rocard – che sono state tenute insieme da forti leadership, in questo caso si sono separate. Detto questo non è già scritto che alle legislative i socialisti debbano avere il sei per cento. Non credo che il risultato di Hamon misuri la forza reale del partito socialista.

Però non c’è dubbio che, all’interno di queste anime, c’è stato un cambio dei rapporti di forza verso la sinistra più radicale.

Con un dato significativo: mi pare del tutto evidente come il successo della candidatura Mélenchon abbia sottratto alla destra una parte del voto popolare che ha costituito in questi anni uno dei volani del successo del cosiddetto populismo di destra.

Sta dicendo che il merito di aver arginato la Le Pen è di Mélenchon più di Macron?

I numeri non sono opinabili. Un pezzo del voto popolare, operaio, delle periferie è stato sottratto alla Le Pen da Mélenchon. Il che vuol dire che una sinistra che torni ad avere una identità forte è in grado di contenere le spinte a destra. Con una candidatura più debole dell’estrema sinistra la Le Pen avrebbe avuto un risultato maggiore. Anche la candidatura di Hamon era più debole ma andava in quella direzione. Aggiungo che la somma dei voti Mélenchon e Hamon fa il 26 per cento…

Non la sento neanche particolarmente entusiasta sul risultato di Macron, e sul tipo di novità politica che rappresenta.

Con molta abilità Macron ha preparato la sua candidatura uscendo dal governo, costruendo l’immagine di una novità, facendo dimenticare la sua esperienza di ministro con Hollande. La verità è che in questo voto ha prevalso la percezione delle novità, il bisogno di cambiamento, il rifiuto dei partiti tradizionali. Questo ha limitato l’espansione della Le Pen, perché non era lei da sola contro il sistema, anche Macron appariva come un candidato contro i partiti e Mélenchon anche contro il sistema. Questa è la verità: si è diviso il voto anti-sistema. Detto questo, Macron è un candidato pieno di incognite.

Spieghi meglio.

Nel suo programma ci sono elementi di modernizzazione neo liberale che in un paese statalista come la Francia sono anche in parte ragionevoli, si avverte molto forte il peso del sistema imprenditoriale e delle sue necessità, ma ci sono elementi di un programma sociale come un miglioramento netto del salario minimo. Il suo è un programma pieno di belle promesse. Si tratta di vedere le priorità concrete nell’azione di governo. Questa è l’incognita: non appare chiaro che tipo di maggioranza parlamentare si potrà costituire, se si potrà costituire, attorno alla presidenza Macron. La prova del budino, come si diceva una volta, è mangiarlo.

È il vincitore annunciato.

Certo, e io lo auspico. Ma non è detto che i suoi candidati vadano al ballottaggio dappertutto e che tipo di maggioranza parlamentare si formerà. Io non credo che i socialisti stiano al 6 per cento al voto politico, e credo che ci sarà una dialettica diversa, al netto del forte effetto di trascinamento del voto presidenziale. Tuttavia non essendoci un grande partito “En marche” siamo, come le dicevo, di fronte a una grande incognita. Un patto con i gollisti? Uno con i socialisti? La coabitazione, in Francia, c’è già stata e con risultati non sempre brillanti.

La lezione francese, dunque, per lei non è una traduzione del programma di Macron in Italia.

La lezione francese è, innanzitutto, per quel che riguarda la sinistra, l’unità. E la necessità di una certa radicalità e di una chiarezza sul piano sociale. La sinistra, anche in Italia, deve prospettare una svolta rispetto alle politiche neo-liberiste, altrimenti si disperde. Nella esperienza italiana questo può voler dire che a sinistra del Pd non c’è spazio per tre, quattro liste. Sarebbe un suicidio collettivo.

Sta dicendo che tutte le sigle e i movimenti a sinistra del Pd dovrebbero fondersi, di qui alle politiche.

Auspico una fase costituente che porti a un movimento unico, aperto e plurale che unisca Articolo 1, Sinistra italiana, Campo progressista, con l’obiettivo di creare una forza in grado di incidere. In Italia c’è un contesto del tutto diverso rispetto alla Francia – non c’è il doppio turno, il ballottaggio – ma si può prospettare uno scenario analogo, con una forza neocentrista come il Pd di Renzi al 23 per cento come Macron, e non è una cifra irrealistica, e una forza alla sua sinistra che abbia una consistenza tale da consentirle di esercitare un peso effettivo nella vita politica italiana.

Anche lei fa la similitudine tra Renzi e Macron, in sintonia con la narrazione del Macron italiano?

Non mi pare. Anche se i tratti del Pd sono quelli di un partito neocentrista c’è una differenza fondamentale. E cioè che è difficile per Renzi presentarsi come il nuovo, perché Renzi ha sulle spalle tre anni di esperienza di governo il cui esito è stato fallimentare, sul piano economico, sociale, delle riforme. Se nel voto francese c’è una componente anti-establishment, come abbiamo detto, la differenza è enorme: Macron si è presentato come alternativo al vecchio ordine, Renzi del vecchio ordine è il caposaldo.

I renziani però esultano, di fronte al voto francese.

Che le devo dire… Sono persone dall’esultanza facile, diciamo. Hanno esultato anche quando hanno perso il referendum, esaltando il loro 40 per cento e dimenticandosi del 60 per cento degli italiani che avevano votato contro.