Torna in corteo la scuola, torna in battaglia in tutta Italia, trasferendosi per un giorno dalle aule alle piazze, per ribadire la propria contrarietà ad uno degli aspetti più controversi della cosiddetta Buona scuola del duo Renzi-Giannini, ossia il percorso di alternanza scuola-lavoro. Bersani, qualche tempo fa, asserì di essere sorpreso dal fatto che non sia ancora scoppiato un nuovo Sessantotto, in quanto siamo al cospetto – disse – di una “generazione umiliata”, lesa nei propri diritti e nella propria dignità.
Sono gli stessi sentimenti che ci ha espresso in un breve colloquio Giammarco Manfreda, portavoce della Rete degli Studenti, il quale sul punto è chiarissimo: “Abbiamo lanciato la piattaforma: Ora tocca a noi! Cambiamo la scuola per cambiare il Paese. Abbiamo, infatti, una scuola troppo povera, sottofinanziata, senza investimenti in fatto di diritto allo studio ed edilizia scolastica e con gli edifici che ormai ci cadono in testa. Siamo usciti ieri dal ministero, dove abbiamo discusso della Carta dei diritti e dei doveri degli studenti, con l’impressione che sarà l’ennesimo buco nell’acqua. Pertanto siamo scesi in piazza, chiedendo che questo Paese cambi, migliori e si doti di una scuola che smetta di essere selettiva e punitiva e torni, invece, a consentire anche al famoso figlio di un operaio di diventare dottore: ne abbiamo bisogno come l’aria”.
Non accettano, questi ragazzi, di essere mandati a raccogliere le olive, a lavare i piatti o i bagni: non perché questi mestieri umili non abbiano una propria dignità e una propria utilità sociale ma perché sono l’emblema del peggior sfruttamento, oltre a non prevedere alcuna formazione né valorizzazione di ciò che hanno studiato, dunque a risultare inutili ai fini del proprio percorso di crescita.
Ci spiega ancora Manfreda: “Non abbiamo tutele all’interno dei percorsi di alternanza: possiamo essere costretti a svolgerli in qualunque momento, persino all’interno di soggetti che non compiono alcuna formazione, quindi totalmente inutili, privi di respiro e di valore per i ragazzi. Vogliamo, al contrario, che ci siano competenze e criteri sensati per scegliere i luoghi in cui svolgere questo percorso: al momento, siamo stanchi, oberati, stressati e non abbiamo più il tempo necessario per condurre la nostra vita”.
Infine l’amarezza, racchiusa in questa riflessione che è anche una disamina e uno dei commenti più lucidi circa l’andamento della legislatura che sta per volgere al termine: “Non è vero che i ragazzi siano disorientati: i ragazzi sono molto orientati, però verso altro, in quanto la politica oggi non parla ai loro bisogni, non ha l’umiltà di ascoltare chi è giovane e vuole realmente cambiare questo Paese”.
Non è furia la sua: è una rabbia ponderata, una protesta molto matura e consapevole, di una maturità quasi sorprendente se si considera la sua giovane età e la devastazione, avvenuta in questi anni, di ogni forma di politica attiva e di partecipazione, soprattutto all’interno dei partiti e di quello che sarebbe dovuto essere il principale interlocutore degli studenti.
“Domani – ci dice Giammarco – torneremo nelle nostre scuole perché questo percorso di lotta non finisce oggi: siamo convinti che l’alternanza scuola-lavoro sia un percorso che debba stare all’interno di una riforma complessiva della scuola, ragionando sugli obiettivi formativi e su ciò che deve essere la scuola nel contesto della modernità, pensando innanzitutto alla società del futuro”.
Stessi sentimenti che abbiamo riscontrato scoprendo, ad esempio, che la Rete della Conoscenza, di cui è portavoce Martina Carpani, già attiva sul fronte del NO ai tempi del referendum, ha promosso ben due iniziative: “Formazione precaria” e “The education”, per combattere ogni forma di sfruttamento e spronare la politica, e in particolare le forze di sinistra, a battersi al fianco degli studenti nella richiesta di dignità, diritti, tutele e di una scuola che torni a valorizzare il sapere e a costituire un effettivo ascensore sociale.
Torneranno in piazza, statene certi: torneranno a svolgere gli scioperi al contrario, ispirandosi alle battaglie siciliane di Danilo Dolci, torneranno a rivendicare una scuola più giusta, una società migliore e un modello di sviluppo in netto contrasto con la visione mercatista e iperproduttivistica che ha caratterizzato la lunga stagione del liberismo sfrenato; torneranno a chiedere, in poche parole, di non essere lasciati soli e di poter essere protagonisti del proprio domani.
Continueranno ad essere una comunità: ciò di cui avvertono maggiormente il bisogno, al crepuscolo dell’egemonia culturale della destra che, negli ultimi trentacinque anni, ha posto al centro il macroscopico ego dei soliti noti, facendo sì che tutti gli altri si chiudessero nel proprio guscio e smettessero di partecipare e di credere in qualcosa.
La nuova generazione, figlia della crisi, dell’incertezza e dell’assoluta mancanza di stabilità e di prospettive, ha deciso di ribellarsi alla dittatura dell’apparenza e al verticismo di cui la narrazione e l’operato dei governi Renzi e Gentiloni hanno costituito l’apice: sarà bene continuare ad ascoltarli o, per meglio dire, ricominciare a farlo.