Osservazioni di un costituzionalista sul libro di Federico Fornaro

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Anzitutto una duplice premessa. Segnalo per prima la cornice dentro cui si colloca la ricostruzione di Fornaro: la cornice è il processo costituente lungo. Caratteristica dell’Italia è infatti un processo che si snoda dal 25 luglio 1943 al 18 aprile 1948: quasi 5 anni, con baricentro nell’elezione della Costituente, con il passaggio fondamentale per gli equilibri di Governo nella crisi della primavera 1947. Quello francese, per fare un paragone, parte dalla liberazione di Parigi del giugno 1944 (sbarco in Normandia) e arriva al 13 ottobre 1946 (referendum di approvazione della Costituzione della IV Repubblica): poco più di 2 anni. Quello tedesco si può far iniziare col documento di Francoforte dei governatori militari alleati dell’1 luglio 1948 e termina con le elezioni del 14 agosto 1949 (poco più di un anno). La lunghezza del nostro processo costituente incide sul contenuto: favorisce il consenso costituente nonostante la divaricazione sul governo, consenso che invece si spezza in Francia nel fronte Resistenziale per la rottura tra De Gaulle e i partiti e che in Germania è limitato dalla divisione del Paese e dalla costruzione di una democrazia che si vuole protetta contro le forze estreme.
La seconda premessa è costituita dal richiamo alle due Costituzioni provvisorie ben ricostruite nel testo:
-il Dlgt 25 giugno 1944 n. 151 stabilisce l’elezione Costituente
-il Dlgt 16 marzo 1946 n. 98 stabilisce il referendum contestuale all’elezione dell’Assemblea.
Visto nella scansione temporale di oggi, il referendum di 75 anni fa è baricentrico rispetto ai 150 anni dalla legge del 1871 di spostamento della Capitale da Roma a Firenze ed esprime un significato opposto ai plebisciti del secolo precedente con cui la Monarchia sabauda aveva visto approvare il suo Statuto originariamente concesso come Carta comune del Paese.
Sottolineo poi quattro aspetti puntuali.
Il primo dato ricorrente nel testo di Fornaro è il gioco delle influenze internazionali, in particolare inglesi (sempre meno) e americane (sempre più). Emergono chiaramente le due figure che più di altre avevano capito questo carattere strutturale per il nostro sistema, quelle di Gasperi e di Togliatti: si poteva scegliere il COME stare nell’area di influenza Usa, ma non il SE.
Il secondo è il peso ancora vivo del passato, come consenso di massa al Regime e come continuità nell’amministrazione, che richiedeva una particolare prudenza in tutti i passaggi della transizione, mantenendo livelli alti di consenso tra le forze politiche e sociali contro le ipotesi elitarie dell’area laica (sia quella di una mera restaurazione del passato voluta dai liberali sia quella opposta, di radicale rottura, auspicata dagli azionisti).
Il terzo è che l’avvento di De Gasperi dopo Parri (descritto a pagina 123) è la risultante di questi due elementi e si colloca lungo la linea divisoria tra partiti di massa e partiti elitari e così anche la scelta del referendum per tenere al riparo la Costituente da una scelta binaria inevitabilmente lacerante, ben spiegata a pagina 134.
Da segnalare poi, come quarto ed ulteriore elemento, anche la ricostruzione del mito dei brogli (pagina 170) che è analogo al mito che è stato riproposto anche nel 2006: si scambia la catena informativa politica, di servizio, che fa capo al Viminale, con quella giuridica, che va dai magistrati alla Cassazione, che è l’unica che realmente conta.
Federico Fornaro, 2 giugno 1946 – Storia di un referendum. Bollati Boringhieri, 14 euro.
Stefano Ceccanti

Parlamentare del Pd e costituzionalista. Già presidente della FUCI.