No al governo delle larghe nomine, che sposterebbe l’Italia più a destra

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Il virus si chiama Governissimo, il vero caso clinico della democrazia italiana. La Corona se la spartiscono i due Matteo, perché – si sa – le nomine di Eni, Enel, Finmeccanica luccicano come diamanti e illuminano contemporaneamente il Sole delle Alpi e l’Arno d’argento. La partita è questa, il resto sono chiacchiere da malati di retroscenismo.

La preoccupazione diffusa di ampi strati popolari per il rischio epidemia e i comuni in quarantena sono soltanto la leva cinica e spregiudicata per realizzare questo disegno. Far saltare Conte significa spostare l’equilibrio politico in Italia più a destra.

La direzione di marcia è chiara: sindaco d’Italia (o più prosaicamente il presidenzialismo) e mano libera sulla flat tax, le privatizzazioni selvagge, un mercato del lavoro sempre più flessibile.

E tutto questo per un puro calcolo di bottega: il governo Conte ormai è una gabbia per il postrottamatore e il centro tanto agognato – sempre più confinante con la destra – non può realizzarsi nel tempo della formula giallorossa.

La giocata è ad alto rischio, passa per una crisi parlamentare e le dimissioni di Conte. Una sorta di #enricostaisereno 2.0.

E’ chiaro che uno sbocco del genere radicalizzerebbe i grillini allontanandoli dalla prospettiva di un nuovo centrosinistra, cancellerebbe l’ipotesi di una nuova legge elettorale proporzionale, condurrebbe il paese verso una saldatura inedita tra populismo liberista e populismo sovranista.

D’altra parte, non sarebbe la prima volta che un pezzo delle élites di questo paese consegna le chiavi del proprio destino all’uomo forte attraverso il lasciapassare dei cosiddetti liberali.

Tutto condito dalla retorica della solidarietà nazionale, che – anziché indirizzarsi verso le cose da fare insieme per contenere il Corona Virus – diventa l’occasione per un’operazione di potere senza precedenti nella storia italiana: il governo delle larghe nomine.

Italia Viva si trasformerebbe nel cavallo di Troia che sdogana definitivamente la Lega dei pieni poteri come forza di governo dei prossimi cinque anni. I liberali.

Eppure questo tentativo, più avanzato di quanto appaia, non si combatte con il rigurgito moralista. Può essere fermato solo se c’è uno scatto delle forze democratiche che – nell’emergenza – faccia prevalere i fondamentali di un disegno di governo che non è solo il bon ton, ma un’idea di società alternativa a chi vuole consegnare l’Italia a un destino di paura e di egoismo sociale. Non un cronoprogramma di buoni propositi, ma una bandiera che indichi una direzione di marcia per l’ipotesi giallorossa che vada oltre la quotidianità: si chiama questione sociale e vale di più di mille manovre parlamentari. Se non prevale questa impostazione, i due Matteo incasseranno il dividendo.

Magari attraverso un commissariamento dell’economia, un’accelerazione dell’autonomia differenziata fino ad imporci persino l’obolo di un Ministro della Salute in mascherina.

Segno che nemmeno il biglietto del circo saremo più costretti a pagare.

Arturo Scotto

Nato a Torre del Greco il 15 maggio 1978, militante e dirigente della Sinistra giovanile e dei Ds dal 1992, non aderisce al Pd e partecipa alla costruzione di Sinistra democratica; eletto la prima volta alla Camera a 27 anni nel 2006 con l'Ulivo, ex capogruppo di Sel alla Camera, cofondatore di Articolo Uno di cui è coordinatore politico nazionale. Laureato in Scienze politiche, ha tre figli.