Migranti, una politica impotente che si riduce a esibizione del potere

| L_Antonio

Eccola la nuda vita. Si fa strada attraverso il Mediterraneo, utilizza gommoni o barconi semiaffondati per lasciare l’Africa e arrivare sulle nostre coste, ci mostra sguardi spaesati, impauriti, smarriti, corpi sofferenti, e un misto di stanchezza, rassegnazione, resistenza, pietà. La nuda vita è ben più che il volto di un immigrato, è ben più che la semplice immigrazione, siamo già oltre. È un’umanità che perde le sue caratteristiche, che non ha nulla, che non ha diritti né tantomeno la forza di affermarli, che è debole e senza un nome. L’anomia, il silenzio, l’assenza di un’espressione, l’attesa sono le sue caratteristiche basilari, come fossero stigmate.

I giornali si chiedono perché Salvini abbia deciso di puntare proprio queste donne e questi uomini in particolare, che le Ong issano a bordo e tentano di far sbarcare a terra. E ignori la mole ben superiore di migranti che utilizza i barchini e raggiunge le nostre coste quasi alla spicciolata, senza che gli obiettivi delle telecamere ci mostrino nulla. Eppure nel 2019 le Ong hanno sbarcato appena 297 persone, contro le 3.082 approdate da barchini, pescherecci, piccole imbarcazioni. Le donne e gli uomini con cui ci si accanisce sono il 10% scarso (e forse ancor meno) di chi tenta la via del mare per arrivare clandestinamente in Italia. Per non parlare dei tanti che utilizzano direttamente Schengen oppure usufruiscono di un visto turistico e scendono comodamente dagli aerei. Perché?

Perché non c’è nulla di più efficace e di tentatore che scaricare la propria forza contro chi non possiede alcuna forza, e che arriva stremato dopo giorni e giorni di ‘no’ e di minacce, insulti, ingenerosità, nel pieno di una guerra mediatica-politica. Cosa c’è di meglio della nuda vita, dei corpi spogli, delle membra indifese per scatenare la potenza geometrica del potere? Un potere anche gradasso, ma che il popolo italiano ha eletto nelle urne e ancora continua a sostenere? Cosa di meglio dei deboli, dei poveri, di chi non ha nulla ed è stremato per innalzare l’effige della forza e scatenarla? Cosa di meglio degli ultimi e dei deboli per mostrarsi forti?

È sbagliato pensare al salvinismo, e interpretare il suo personale duello con le Ong, solo nei margini stretti del perimetro che circoscrive il fenomeno delle migrazioni. Non è sufficiente, e per certi aspetti circoscrive e porta persino fuori strada. Perché i migranti contro cui si scaglia il Ministro dell’Interno sono una specie particolare di essi, sono i più poveri, sono i corpi più nudi, quelli che simboleggiano più di altri il grado massimamente basso e spoglio della vita umana.

Il salvinismo è la peggiore metafora del potere, è il potere che sceglie il più debole per esercitarsi. Che tenta di combinare virulenza politica ed efficacia mediatica per rappresentarsi. È il potere che mostra la propria ingordigia e la propria tracotanza su chi non ha rivestimento simbolico, ed appare perciò nessuno. Su chi non ha riconoscimento. Perché non c’è nulla di peggiore dell’assenza di nome. Nulla di peggio della nudità simbolica. La prima cosa di cui la vita viene spogliata quando il tallone chiodato sta per precipitare è proprio il nome: si diventa matricole, numeri, cifre, pura immagine, e si perdono i simboli che ci identificano. L’umanità si riduce alla soglia minima, le persone diventano cose, i corpi si denudano, l’anima fugge via, ed è come se davanti a sé ci fosse una pietra, un ramo, un metallo, non più un essere animato. Su questi corpi preme con forza il potere sovrano, quello che invece i titoli, i simboli, i fasti li ha tutti e li mostra impettito.

E lasciamo stare che questi fasti spesso si riducano a un panino trangugiato in una diretta facebook. Resta il fatto che all’alterità della cosa si contrappongono i segni del potere (l’ordinanza di chiusura, i diktat, la potenza militare), così da renderla ancor più cosa e ancor più nuda. La politica, ridotta a comunicazione e governismo, priva ormai di rappresentanza, controllo e partecipazione, riesce ormai a esibire la propria forza soltanto nel confronto con i deboli, con i sofferenti, con gli anonimi accalcati su pescherecci o barconi semiaffondati. Ma proprio laddove esprime una presunta potenza, in realtà mostra in modo palmare tutta la propria crisi.

Cosa manca in questo teatro della miseria? Qual è la grande assente che consente a dei parvenu di mostrarsi impudentemente bulletti? È l’Europa, oggi preda dei poteri economici e vittima delle proprie paure. Un’Europa che sceglie di immunizzarsi contro l’Altro, che ne teme la diversità, le differenze, che si rintana preoccupata di perdere chissà quale status o privilegio per sé e per i propri abitanti. Un continente assediato che non intravede per sé una vera identità, scambiandola soltanto per le proprie angosce.

C’è un solo modo per uscire da questa palude, per evitare che l’immunizzazione divenga una malattia autoimmune, ed è quello di pensare l’intero continente come apertura: da una parte offrendo accoglienza ai rifugiati e ai sofferenti come se fossimo davvero una grande comunità, un grande spazio comune; dall’altra, mettendo in campo risorse che riequilibrino le disuguaglianze e colmino le fenditure sociali e globali. Un’Europa che sia comunità di comunità, apertura di aperture: senza di questo è solo una deriva economicista, di indici, di compatibilità, di vincoli, di ripiani del debito, di banche e tecnica. Vale per la destra e vale per la sinistra.

Un’Europa che si sporga verso l’esterno, che si apra al mondo come protagonista, che sappia mostrare pietà e non arroganza, misericordia e non superbia, ascolto e non sordità: questo serve. Crediamo che non vi siano altre vie, a meno che non si pensi a una rinascita dei nazionalismi, delle dogane, dei muri, dei confini che sono soltanto l’altro volto della paura e dell’egoismo che l’Europa, peraltro, già mostra solennemente al resto del mondo.

Forse (forse) solo quando tenderemo una mano alla nuda vita, solo quando si tratterà di esercitare la compassione, solo quando si presterà ascolto di chi non ha nome e il tema non sarà quello di ‘vincere’ alcunché conquistando consenso alla purchessia, solo allora la crisi curverà verso la rinascita. Fino ad allora il copione resterà lo stesso: un parvenu, un outsider, un miliardario qualunque potranno accomodarsi a Palazzo Chigi nel tripudio intermittente del popolo italiano. E la miseria politica continuerà a soffocarci come una coltre grigia.

Alfredo Morganti Giorgio Piccarreta

Alfredo Morganti è da sempre appassionato di politica e di sinistra. Ama scrivere. Suona la batteria. Da qualche tempo si è scoperto poeta. Giorgio Piccarreta è funzionario del Comune di Roma. Coltiva orti, letture, l’amore e, fin da piccolo, la passione per la politica. Di sinistra.