L’Ucraina, la guerra e la manomissione delle parole

| Esteri

Gianrico Carofiglio scrisse qualche anno fa un libro indimenticabile: si chiamava “La manomissione delle parole”. Quando le parole vengono svuotate di significato a soffrire è innanzitutto la democrazia, che perde qualsiasi funzione pedagogica, perché finisce per essere soppiantata dalla semplificazione populista. Ho l’impressione che il racconto della vicenda ucraina ci parli esattamente di questo paradosso. Siamo sommersi da un mare di slogan e di proclami. E invece avremmo bisogno di argomenti, non di banalizzazioni. Perché rimettere il linguaggio in ordine aiuta la comprensione. Senza comprensione la libertà finisce per essere soltanto una pratica illusoria. Ripetiamolo insieme: le parole sono importanti. E vanno custodite con gelosia, non piegate ad un uso contingente e maldestro.

1. L’invasione dell’Ucraina non è un’operazione militare speciale come racconta la propaganda di Putin. È una guerra. E chi provoca una guerra fa schifo. Sempre. Dunque, Putin fa schifo.

2. Russia e Ucraina non sono la stessa cosa. C’è un aggressore e un aggredito. E un popolo in fuga dalla propria terra, dai propri affetti, dalle proprie radici è la vittima che va difesa, sostenuta e accolta. Tra i cow boy e gli indiani non ho mai avuto dubbi su chi fosse l’aggressore e l’aggredito. Vale anche oggi.

3. Il Governo ucraino non è una banda di drogati e neonazisti come dichiara la propaganda russa. È un governo legittimo e riconosciuto dall’Onu. Chi lo vuole scalzare con l’uso della forza viola il diritto internazionale. E dunque le regole di una coesistenza pacifica che dovrebbe essere la bussola principale delle relazioni tra gli stati.

4. Zelensky è un politico che difende il suo popolo. Chi lo biasima per questo è in malafede. Non sappiamo tuttavia quale sia la sua ideologia né quali interessi sociali rappresenti nel suo paese. Per questo eviterei di unirmi al coro di chi lo battezza come l’erede di Allende. Il Presidente del Cile era un socialista. Lo fecero fuori perché aveva avviato riforme sociali radicali. Perché restituiva la terra ai contadini e difendeva i diritti sindacali degli operai. Perché nazionalizzava le risorse naturali su cui facevano affari poderosi le multinazionali statunitensi. Il golpe di Pinochet arrivò per queste ragioni. Un’altra storia. Irripetibile.

5. Putin non è l’erede del Comunismo. Non vuole ricostruire l’Unione Sovietica. Pensa che l’origine del nazionalismo ucraino sia da attribuire al bolscevismo di Lenin, ispirato al principio (poi ripetutamente violato in seguito dai suoi stessi eredi) dell’autodeterminazione dei popoli. Lo dico a qualche commentatore superficiale – ce ne sono a bizzeffe in giro in queste settimane -, ma anche ai “compagni” – si contano sulle dita della mano per la verità – che pensano che la storia sia di nuovo tornata a muoversi. Non è così. La storia sta tornando indietro. Di centocinquant’anni. Putin vuole rinverdire soltanto i fasti dell’imperialismo russo. La bandiera dei Romanov nel suo ufficio parla chiaro. Ha bisogno di ristabilire un’area di influenza. La retorica è tutta nazionalista. Il comunismo non c’azzecca niente.

6. Eviterei paralleli indecenti. Putin non è Hitler. Questa comparazione sminuisce innanzitutto cosa sia stato Hitler. Ed è talmente esagerata che rende poco credibile persino la critica a Putin. Il nazismo non ha paragoni nella storia dell’umanità.

7. Quando Zelensky parla alla Knesset e paragona la guerra in Ucraina con l’Olocausto antepone la propaganda alla realtà. Se fosse valido il suo assunto, la follia degli esseri umani avrebbe provocato decine di olocausti dopo il 1945. Dal Vietnam al Ruanda, dai Balcani allo Yemen, dall’Afghanistan alla Siria. Non è così. Sono state guerre terribili, con una scia infinita di lutti di civili innocenti, ma la pianificazione scientifica dello sterminio di un popolo non ha precedenti nella storia. È una bestemmia solo accennarlo.

8. Faccio fatica a classificare questo conflitto come lo scontro finale tra le democrazie e le dittature. È una semplificazione che alla lunga mette persino sullo stesso piano i torti e le ragioni. Quando il ricorso alla complessità viene scambiato per intelligenza con il nemico, siamo già sul ciglio del regime. La Russia non è una democrazia, nonostante si voti ogni quattro anni. L’Ucraina è una democrazia altrettanto immatura, tant’è che Zelensky mette al bando undici partiti di opposizione. Nella NATO e nell’Unione Europea ci sono paesi pienamente democratici e paesi un po’ zoppicanti, per usare un eufemismo. Polonia e Ungheria non mi pare siano modelli di pluralismo politico: le procedure di infrazione sullo stato di diritto sono lì a testimoniarlo. E la stessa Turchia non mi pare particolarmente messa bene: chiedere ai curdi, se ci fosse bisogno di qualche conferma. Il relativismo etico rischia di diventare il peggior nemico della democrazia. Perché la banalizza.

9. La Nato e l’Ue si sovrappongono sul piano militare, ma non su quello politico. Almeno così dovrebbe essere. Ed è la cosa su cui sarebbe bene si esercitassero le classi dirigenti europee per riscrivere le regole della cooperazione e della sicurezza nel nostro continente. Se vogliono ritrovare un ruolo questo è il minimo sindacale. Ma non sono sicuro che andrà così. E non è una buona notizia. Da questo conflitto dovrebbe uscire un’accelerazione per una politica estera comune, non la corsa al riarmo di ciascun singolo paese. Perché nel medio periodo il nazionalismo chiama altro nazionalismo. Sempre.

10. Infine, sembra quasi che la guerra in Ucraina sia stata scatenata dai pacifisti. Cioè da quelli che in questi anni hanno chiesto giustamente che venissero vendute meno armi ai russi. Anche da parte dell’Italia. Tecnicamente si chiama eterogenesi dei fini. O, più prosaicamente, coda di paglia.

Arturo Scotto

Nato a Torre del Greco il 15 maggio 1978, militante e dirigente della Sinistra giovanile e dei Ds dal 1992, non aderisce al Pd e partecipa alla costruzione di Sinistra democratica; eletto la prima volta alla Camera a 27 anni nel 2006 con l'Ulivo, ex capogruppo di Sel alla Camera, cofondatore di Articolo Uno di cui è coordinatore politico nazionale. Laureato in Scienze politiche, ha tre figli.