Liberi e Uguali: ora una vera fase costituente per fare un vero partito

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Il processo costituente di “Liberi e Uguali”, dopo non poche incertezze, sembra finalmente partito. Com’è noto, lunedì 9 luglio si è riunito per la prima volta il Comitato Promotore Nazionale, e sono state fissate alcune tappe per i prossimi mesi.

Ma saremmo ingenui se pensassimo che tutto, d’ora in avanti, procederà senza intoppi. Anzi, proprio ora occorre avere il massimo della chiarezza: chi ritiene che la prospettiva di un nuovo partito sia irrealistica o impraticabile, è bene che esponga apertamente i suoi dubbi, e proponga eventualmente qualcosa di diverso.

Io sono un convinto sostenitore di questo processo costituente e, proprio per essere chiari, non penso che possa approdare a un non meglio precisato “soggetto politico”, il cui compito sia quello di ricostruire un “nuovo centrosinistra”. Credo che sia necessario affermare con forza che lo sbocco, intanto, sia quello di costruire un partito, con una sua identità e una sua autonomia, e che questa identità e questa autonomia siano le premesse necessarie per poter contribuire alla creazione di uno schieramento democratico e di sinistra, che si opponga alla destra, e si ponga come credibile alternativa di governo.

Voglio dare un contributo a questa discussione, facendo – come si suol dire – l’avvocato del diavolo, e quindi esporre, e criticare, alcuni argomenti che non sempre sono esposti fino in fondo e che pure circolano ampiamente.

E’ inutile girarci attorno: la questione è la crisi del Partito Democratico e i suoi possibili esiti. In questo partito sembra si sia aperto (in modo molto parziale e insufficiente) un processo di riflessione critica, c’è un nuovo segretario, c’è un gran lavorio (quelli che in gergo vengono definiti “ri-posizionamenti”); e si svolgerà un “congresso”, anche se non è chiaro quando e soprattutto in che modo. Quale sarà lo scenario dei prossimi mesi è imprevedibile: e non è nemmeno da escludere che il renzismo mantenga la sua presa sul partito. In questo quadro, si può fare strada una tentazione, tra quanti hanno condiviso l’impresa di Leu: pensare che, a questo punto, – se la prospettiva è quella di un piccolo partito con una “vocazione minoritaria” – tanto vale “dare a una mano” a chi, nel Pd, si pone nella prospettiva di un vero rilancio a sinistra di questo partito.

Questa tentazione, a mio parere, è – prima che criticabile politicamente – del tutto illusoria: che vuol dire, concretamente¸ intervenire nei processi in corso all’interno del Pd (allo scopo, ovviamente, di influire sui loro esiti)? Riprendere la “tessera”? Non credo che si pensi a questo, ma in ogni caso, com’è noto, per come è fatto oggi il Pd, non serve letteralmente a nulla “iscriversi”. E infatti, alcune voci, dall’interno del Pd, si stanno ponendo il problema delle regole che oggi reggono la vita di questo partito: è del tutto evidente che, se tutto si ridurrà ancora una volta, a una “conta” nei gazebo, nessun processo di reale rinnovamento di questo partito sarà possibile. Ma per cambiare le regole, occorre che ci sia, negli attuali organismi, composti in gran parte da persone elette “al seguito” di Renzi, una maggioranza che le cambi, queste regole! E non sembra facile. La minaccia renziana (“ci rivediamo al congresso e riperderete!”) non è solo bullismo provocatorio: nasce dalla precisa convinzione che, per la mutazione genetica che il Pd ha subito in questi anni, la rete di potere e di influenza del renzismo difficilmente sarà attaccabile. In ogni caso, extrema ratio, niente vieta che, se ci saranno ancora le “primarie” nella forma che conosciamo, si possa anche pensare di partecipare e “dare una mano”, appunto, a un eventuale candidato che si opponga chiaramente a Renzi e al suo Alter Ego… (se, individualmente, si ritiene giusto farlo: tanto non costa nulla… a parte i due euro!). Ma non credo che saranno in molti, tra i tanti che hanno abbandonato il Pd, quelli che si sentiranno veramente interessati alla sorte del Pd. E, in ogni caso, è una prospettiva politica credibile e appetibile? Non sarebbe un modo per svilire il senso e la dignità politica di quanto è accaduto a partire dal febbraio-marzo del 2017? Non significherebbe dire: “Scusate, abbiamo scherzato”?

E allora, siccome mi hanno insegnato a cogliere sempre l’elemento di “verità” insito anche nelle posizioni che non condivido, provo a dire in che modo rispondere a quanti temono che un nuovo partito che nasca da LeU sia inevitabilmente destinato a un ruolo minoritario ed “estremista”. Penso che, intanto, questo rischio possa essere evitato partecipando attivamente al processo costituente; e ponendosi alcuni obiettivi:

  1. fare di LeU un nuovo partito della sinistra che dia una “casa” a tutti coloro, militanti ed elettori, che comunque hanno creduto in questo progetto e che in ogni caso non credono più che il Pd (anche un Pd eventualmente “de-renzizzato”) possa essere l’unico spazio, inclusivo e onnicomprensivo, della “sinistra” e che quindi non son nemmeno disposti ad attendere quel che accadrà nel Pd o limitarsi a “tifare” per un possibile candidato alle primarie;
  2. puntare a un profilo innovativo del nuovo partito, che superi la vecchia distinzione tra le “due sinistre” (quella “moderata” e quella “radicale”): un partito che contribuisca a rinnovare la cultura politica della sinistra, con tutte le necessarie rotture con il passato, ma fermamente ancorato a una visione politica riformatrice, che si ponga l’obiettivo di essere forza di governo e agente della trasformazione sociale; non una forza di “testimonianza”.
  3. un partito, quindi, aperto alle possibili alleanze, alla costruzione di schieramenti unitari, sulla base dei programmi: un partito con una sua identità e autonomia, che quindi non ha paura di “contaminarsi”. “Piccolo”, forse, all’inizio, ma in grado di essere soggetto politico attivo nella costruzione di una nuova sinistra. Nessuna presunzione di autosufficienza: ma nemmeno sentirsi figli di un “dio minore”.
  4. un partito veramente democratico nel suo modo di operare: che valorizzi, anche in forme innovative, la partecipazione degli iscritti; e che dia a tutti la possibilità di discutere, confrontarsi, decidere collegialmente: non un “votificio”, ma uno spazio di dialogo e di elaborazione politica collettiva. E’ solo su questo terreno, quello della democrazia interna, che si può superare quella “maledizione” che porta oggi a cristallizzare in divisioni organizzative quelle che potrebbero essere salutari differenze di opinioni e punti di vista.

Nel frattempo, tutti coloro che gravitano nell’area di LeU non debbono certo rinchiudersi tra quattro mura: devono contribuire al dibattito e alla riflessione critica ovunque essa si svolga, anzi costruendo attivamente questi spazi: un buon esempio è l’incontro svoltosi a Roma il 6 luglio scorso, organizzato da un gruppo di associazioni di sinistra, e aperto dalle relazioni di Alfredo D’Attorre e Peppe Provenzano.

E’ questo l’unico modo per “dare una mano” davvero a quanti ancora credono che sia possibile “riformare” o  “salvare” il Pd: personalmente non ci credo, penso che la cosa migliore per tutti sia che questo partito si sciolga, dando vita a una forza centrista, da una parte, e a una nuova forza della sinistra dall’altra. Ma questi sono solo scenari futuribili, su cui non si può scommettere e su cui è del tutto inutile speculare. Qui e ora, i compiti sono altri.

 

Antonio Floridia

Dirige l'Osservatorio elettorale e il settore "Partecipazione" della Regione Toscana. E' stato Presidente (2014-2017) della Società Italiana di Studi Elettorali. Tra le sue più recenti pubblicazioni, il volume "Un'idea deliberativa della democrazia" (Il Mulino, 2017), il saggio "Costi della politica e teoria democratica", nel volume "Il finanziamento alla politica in Italia", a cura di D. Piccio (Carocci, 2018), e "Un partito sbagliato. Democrazia e organizzazione nel Partito democratico" (Castelvecchi, 2019).