Mentre qualche sindaco e qualche uomo politico medita di non celebrare il 25 aprile, succede anche questo. Che al teatro Pacini di Fucecchio, di fronte a una platea attenta e commossa, in gran parte rappresentata da giovani, vada in scena una delle pagine più nere di storia italiana, l’eccidio del Padule per mano dei soldati nazisti in ritirata, che sfogavano sui civili la brutalità degli sconfitti.
Si intitola L’Eccidio e si tratta di un lavoro che ha radici lontane. Ma andiamo per ordine.
L’eccidio del Padule, nelle campagne toscane tra Pisa e Firenze, fu un crimine di guerra commesso da un reparto della 26 divisione corazzata tedesca che, il 23 agosto del ‘44, in fase di ritirata, sterminò con artiglieria pesante 174 civili irrompendo nelle loro case di prima mattina, con la collaborazione di fascisti del territorio. Bambini, donne e anziani che nelle campagne avevano cercato scampo ai rastrellamenti ma anche contadini che vivevano in case isolate, piccoli agglomerati che favorivano lo sviluppo di comunità separate, con scarse relazioni tra loro.
Per questo lo stato di eccidio è stato riconosciuto solo in un secondo momento e per questo la tragedia del Padule è stata per molto tempo tra le meno conosciute sul piano storico nazionale.
Pochi i documenti certificati a cui riferirsi e anche le testimonianze dei sopravvissuti, suscettibili di rimozione e sensi di colpa, non hanno permesso una ricostruzione precisa dei fatti.
È per merito del giornalista Riccardo Cardellicchio, della sua capillare ricerca fondata su testimonianze dirette, condotta insieme al fotografo Marco Matteoli all’inizio degli anni ’70, raccolta nel volume L’estate del ’44 edito nel ’74 da Libreria Fiorentina, che questa strage venne riconsiderata nella sua natura di eccidio: non esecuzioni isolate ma prodotto di una pianificazione sistematica all’interno di un territorio definito.
E benché solo nel ’94, trascorsi cinquant’anni, siano stati desecretati gli archivi tedeschi e si sia potuto accedere a documenti fino a quel momento inaccessibili, il libro di Cardellicchio, ristampato più volte e diffuso nelle scuole, ha innescato un circolo virtuoso che ha prodotto ulteriori ricerche e approfondimenti.
Nonché i due allestimenti teatrali precedenti, del ’93 e del 2002, nell’elaborazione drammaturgica di Andrea Mancini, titolati L’eccidio, che innesta anche dei passi da Lamentazione 1944 di Enza Fabiani. Il primo, in particolare, ebbe molto successo e un altissimo numero di repliche e battezzò il Teatrino dei Fondi imprimendo alla Titivillus l’ormai consolidata vocazione teatrale.
Oggi questo testo è tornato in scena per la regia di Enrico Falaschi e l’interpretazione di Alberto Ierardi, Marta Paganelli e Giorgio Vierda – debutto a Fucecchio in prima nazionale il 12 aprile scorso e repliche in cartellone la prossima stagione. Un oratorio a tre voci, narratore, donna e poeta, che cede la parola ai sopravvissuti: in modo sommesso e pudico, i tre attori si muovono (poco ma in modo incisivo) all’interno di una scenografia stilizzata, costituita da cubi e parallelepipedi bianchi, modulari, con cui stabiliscono un’interlocuzione costante, creando e immaginando spazi differenti, su piani e dislivelli diversi.
Sul fondale, anch’esso di un biancore innocente, vengono proiettate le illustrazioni grafiche, molto belle, eseguite in diretta da Alessio Trillini, che riproducono e reinventano luoghi e personaggi.
Mentre il racconto si snoda intervallando i ricordi restituiti come tali a momenti in cui si fanno ravvicinati e ‘violenti’, fino a incorporarsi in un qui e ora che ci trascina dentro.
In mezzo ai covoni di grano che non si è potuto trebbiare; agli oliveti o ai filari di vite divelti dai soldati nazisti; nelle proprie case, tra vetri rotti e vecchi mobili fatti a pezzi per fare legna da ardere, o in chiesa, insieme alle donne raccolte in preghiera, dove ‘libera nos Domine’ diventa ‘libera i nostr’omini’. Oppure in mezzo ai corpi dei morti caduti a terra per una raffica di mitragliatrice, tra cui ci sentiamo anche noi soli e perduti come chi li osserva e non si capacita di essere vivo.
La sera della prima ha visto il saluto commosso e struggente della signora Vittoria, classe 1937, testimone sopravvissuta alla famiglia, di fronte a una platea che sicuramente celebrerà il 25 aprile.
Perché “oggi – dice Falaschi – tre quarti di secolo dopo l’eccidio, crediamo sia ancora più importante rinnovare l’impegno nel conservare e diffondere la memoria di quei tragici fatti del passato. Memoria che certamente può essere, per giovani e meno giovani, un prezioso strumento nel tentativo di interpretare e soppesare quello che sta accadendo nel nostro presente”.
L’Eccidio, di Riccardo Cardellicchio. Adattamento teatrale di Andrea Mancini. Regia di Enrico Falaschi