La quarta via: c’è una luce in fondo al tunnel della sinistra

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La crisi della globalizzazione si è tradotta in una insostenibile diseguaglianza socio-economica tale da determinare la deflagrazione nei rapporti fra generazioni, fra centro e periferia, fra ricchi e poveri. La “sinistra illuminata”, come di recente apostrofata da Massimo D’Alema, deve affrancarsi dalla subalternità culturale ai vecchi slogan del liberismo, deve recuperare la propria identità, calarsi in una logica di ‘governance’ e con coraggio proporre un’alternativa, ovvero un nuovo modello sociale; quello che a me piace chiamare, parafrasando il passato nei fatti sconfitto, la “Quarta via”.

Cerchiamo di contestualizzare la situazione a cui siamo giunti per trarre prima la “lesson learned” e determinare poi lo “start-up” per l’ineludibile cambio di passo. La cosiddetta Terza Via, accompagnata da una visione dello Stato come semplice “ancella del capitale privato”, con la speranza che la maggior ricchezza dei ricchi prima o poi si riversasse sui poveri (fenomeno di “trickle-down” teorizzato dalla globalizzazione), non ha prodotto effetti positivi, anzi ne ha prodotti di controproducenti. A conti fatti, è raddoppiato il numero dei poveri; i giovani continuano ad essere estranei ai flussi di lavoro; i lavoratori della ‘middle age’ restano abbandonati nel guado; il rapporto di lavoro è sempre più accompagnato da perdita dei diritti; la concertazione fra le parti sociali è praticamente scomparsa.

Il trend è stato questo anche da noi; aggravato da un governo accondiscendente e deresponsabilizzato, poco propenso a finalità strategiche di lungo corso. Sono stati così assecondati i movimenti speculativi dei grandi capitali privati. Così, lo Stato compra a prezzi alti e poi rivende a prezzi bassi qualche pezzo di capitale industriale (vedi, ad esempio, caso Alitalia) in modo da sgravare i privati dalle perdite e predisporli poi ad ulteriori guadagni. Tali interventi implicano anche l’aumento del debito pubblico, come nel recente caso del soccorso alle Banche venete e toscane.

L’apparato pubblico, come riconosciuto dal capitalismo mondiale, si è spesso adoperato per garantire la ripresa e la stabilizzazione dei profitti dopo la “grande recessione” del 2008. Secondo una recente ricerca dell’OCSE, effettuata sulle prime 2000 aziende della classifica mondiale Forbes, si evince che le imprese a partecipazione statale presentano un rapporto tra utili e ricavi significativamente maggiore rispetto alle imprese private ed un rapporto tra profitto e capitale pressoché uguale. Tutto questo ci dice della crisi irreversibile della globalizzazione, almeno se lasciata al mercato senza regole!

Credo che solo la sinistra possa imporre il “cambio di passo” se ritroverà la sua identità, se riuscirà in maniera chiara e netta a “dire e fare cose di sinistra” senza soggezione. Inizia a soffiare un vento nuovo fra le strade europee: Corbyn e Melenchon hanno ottenuto un notevole risultato elettorale con un programma basato su un ritorno dell’intervento statale in un’ottica di lungo periodo che prevede pure la nazionalizzazione di alcuni settori chiave.

Sembra farsi avanti l’idea di un diverso modello di sviluppo, con un ruolo centrale per gli investimenti pubblici strategici, come strumento di crescita. Occorre intercettare i cambiamenti del capitalismo, sfruttarne le contraddizioni; questo richiede cambiamenti macroeconomici imponenti: la messa in discussione della centralità del mercato azionario e la libertà dei movimenti di capitale.

Come sperimento anche con Sanders negli USA, questi fenomeni politici emergenti sono anche trainati da una nuova generazione di elettori, costituita da giovani lavoratori e studenti; questo è un chiaro punto di forza. I giovani che si muovono istintivamente a sinistra non esprimono però un voto d’opinione. La loro scelta sembra piuttosto la risultante di un profondo mutamento dei rapporti di lavoro, fatto di deregolamentazioni e precarietà, che negli ultimi anni ha inasprito le disuguaglianze di classe. Questi giovani sperimentano lo sfruttamento, crescono già disillusi perciò vaccinati contro le suggestioni dell’individualismo liberista.

Organizzare una tale massa di disincantati intorno ad un progetto di progresso e di riequilibrio sociale non è impresa facile. Nell’attuale desertificazione culturale e politica, la loro rabbia può sfociare facilmente a destra o nel populismo ideologico, più attrezzati nella propaganda ad effetto. E nel nostro Paese che ha fatto la Sinistra?…..forse tramortita dalla globalizzazione lasciata a “briglie sciolte”, ha subito incapace di offrire l’alternativa.

Ma da un po’ qualcosa sta cambiando, e la Sinistra sta ritornando a parlare alla sua gente. Che cosa dobbiamo fare (e stiamo facendo):

invertire la tendenza sociale, ahimè diffusa, verso il disimpegno e la ipersemplificazione;
rompere con gli schemi di un recente passato tesi all’indistinta e improduttiva protesta;
elaborare un programma economico che abbia come orizzonte la crescita, l’equità sociale ed il riequilibrio della ricchezza che si produce;
indicare un nuovo modello di società che sia percepito credibile e riaccenda l’entusiasmo;
contribuire al governo del Paese, attraverso una forza politica a “due digit” non come fine ma come strumento per la realizzazione del cambiamento che la nostra gente con insistenza chiede.

La sinistra sa da che parte stare e chi deve rappresentare, ma deve ritornare a parlare il linguaggio dei disincantati, disimpegnati, delusi, emarginati, arrabbiati che nella stragrande maggioranza è rappresentata dai giovani. Non basta riconoscersi e magari andare a rimorchio delle idee e suggestioni d’oltremanica! Lasciamo perdere la possibilità di rosicchiare qualche punticino dal partito liberale di massa (il PD odierno) poiché si ridurrebbe, nel caso, ad una vera e propria “partita di giro”.

Nuovo centrosinistra va bene ma… con quale centro? Quello ondivago spesso ispirato al trasformismo e retto da notabili con clientele ad assetto variale? Cerchiamo piuttosto di dialogare con i giovani, con la nostra gente che ci ha abbandonato e proviamo a convincere quel 35% del popolo del “non voto” che continuano nella sfiducia a dire: ”andate tutti a pascolare”!

Rosario Muto

Laureato in Ingegneria Elettrotecnica c/o Politecnico di Napoli. Lavora nel Settore Aeronautico di Leonardo-Finmeccanica c/o Stabilimento di Pomigliano d’Arco (NA). Si interessa di Business Development & Program Management nell’ambito delle nuove iniziative industriali. Autore di studi su “Programmazione Industriale nell’area metropolitana di Napoli tra suggestione e realtà”. Esperienze maturate anche nelle Istituzioni Locali.