Italia, dove sei? Il ponte di Genova e il crollo della decenza

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Ho esitato a scrivere questo articolo. Non avevo voglia, questa volta, di aggiungere anche la mia voce alla cacofonia lurida che è esplosa in questi giorni. Del resto, vorrei lanciare un messaggio nella bottiglia, un timido segnale a chi pensa, come me, che i giorni trascorsi dalla catastrofe di Genova abbiano segnato un punto ancora più basso per la nostra morale italiana.
Sempre più allo sbando.
Sempre più degenere.
Sempre meno umana.

Non è mia intenzione puntare il dito verso nessuna parte politica in particolare. La degenerazione è stata corale, comune.
Tutti quanti aspettavano la strage di Genova.
La desideravano visceralmente.

Questa frase mi è esplosa in mente una mattina di un paio di giorni fa, mentre percorrendo il Brennero ripensavo alla tragedia, a come non ci si possa sentire sicuri nemmeno percorrendo un’autostrada. Dal ragionamento blando sulla fatalità, e sulla molto italiana trasandatezza nella manutenzione di cose basilari (chi ha sbagliato dovrà pagare, amaramente), sono però passato a riflettere sulle reazioni che ho visto.

Quel sangue, i corpi di quelle persone. Sono stati usati, da tutti. Frantumati, di nuovo e da capo, e usati come malta per le proprie argomentazioni. Come facciamo a non vergognarci nemmeno un po’?
Quel sangue è stato usato da tutti i principali protagonisti politici, schizzato addosso dall’altra parte, in una macabra partita di ping pong dal vomitevole risultato.

“Noi l’avevamo detto che era pericolante”
“Voi avete parlato di favoletta”
“Il ponte è stato realizzato con il benestare di tizio”
“In questa giornata triste, abbiamo con successo respinto migranti”.

E il dramma è che questo modo di pensare, questo disgustoso servirsi di una tragedia che ha colpito decine di famiglie, è permeato fino agli strati più bassi della società. Fino a noi, cittadini comuni. Io ho visto miei parenti, persone che normalmente giudico di un pietà e di un’umiltà sovrana, scagliarsi chi contro Renzi, chi contro Salvini, usando come leva i corpi ancora caldi dei morti.
E poi meravigliarsi che la metà abbondante delle famiglie delle vittime abbia rinunciato ai funerali di Stato. Non voglio mettere loro in bocca parole che non hanno detto, né certamente esprimere un giudizio sulle famiglie che invece hanno deciso di accettare il rito.
Ma quelle famiglie hanno voluto, credo, limitare un ennesimo utilizzo dei loro cari, questa volta in funzione di passerella.

Tutti quanti aspettavano la strage di Genova. Perché, al giorno d’oggi, il silenzio non lo sappiamo osservare, nemmeno di fronte ai morti. Concedere una tregua alle famiglie, e ai nostri cervelli disastrati e presuntuosi, è proprio una cosa che non ci riesce.
Anzi.
In tempi incivili come questi, il sangue delle persone diventa anch’esso un’arma da usare.
Privatizzazioni. Ingegneria civile. I Benetton. Il blog di Grillo. Il Governo Renzi.
Siamo così bravi a vomitare sentenze che non sapremmo nemmeno scrivere.

Ma di vergognarci, no. Di quello non siamo più capaci.
Così come di avere umanità.
O empatia.
O decenza.

Gabriele Grosso

Lavoratore millennial, classe 1990. Project Manager e Operations Specialist per Talent Garden. Metà vita a Milano, metà a Napoli, e una spolverata di Veneto. Sempre amato capire come le cose funzionano, dagli atomi alla politica. Fanatico dell’azione, convinto che una sola parola, al posto e nel momento giusto, possa cambiare tutto.